Economia reale e moralità per ripartire

01 Mar 2013

Perché si è trovato il tempo per riformare in 21 giorni le pensioni e in un anno non si è fatto nulla per ridurre gli abnormi abusi che si annidano negli eccessivi costi della politica? Credo che la bufera politica che si sta consumando in questi giorni abbia molto a che fare con questa domanda.

Perché si è trovato il tempo per riformare in 21 giorni le pensioni e in un anno non si è fatto nulla per ridurre gli abnormi abusi che si annidano negli eccessivi costi della politica? Credo che la bufera politica che si sta consumando in questi giorni abbia molto a che fare con questa domanda. La richiesta di forte discontinuità che montava nel Paese, come ha giustamente osservato ieri il Sole 24 Ore nell’editoriale del suo direttore, è stata troppo a lungo ignorata. E ora ci ritroviamo con un Parlamento bloccato, proprio nel momento in cui più avremmo bisogno di capacità di azione e di governo.
Quando il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, fa riferimento a un “rischio enorme e reale” che potrebbe presto riproporsi, riportandoci alla situazione drammatica del novembre 2011, dice una verità finanche edulcorata. L’Italia è in questi mesi nel buco più nero della crisi, con la sua economia reale che continua ad arretrare e una situazione sociale esplosiva.

Si parla di segnali di ripresa per la fine dell’anno. Dove sono? I dati che conosco io, dai consumi alla produzione, dagli ordinativi al credito, non lasciano intravedere nessuna luce in fondo al tunnel. Come possiamo pensare di crescere se le banche stanno dando ancora in queste settimane direttive alle proprie filiali di rientrare il più possibile sulle proprie esposizioni? La stretta creditizia sta aumentando. E quello che è peggio, le banche, affamate di liquidità, finiscono per chiedere i soldi proprio a quelle poche aziende che si stanno riprendendo operando sui mercati internazionali, per il semplice motivo che sono le uniche a poter pagare.

Come è possibile, davanti a questa situazione, che i partiti, tutti i partiti, abbiano continuato a fare melina sui costi del sistema politico? Sappiamo tutti che non è dalla riduzione di quei costi che si potrà finanziare lo sviluppo, e tuttavia la lettura delle tabelle sui rimborsi di queste elezioni fa indignare. Al Pd 46 milioni, al Movimento 5 Stelle (che li restituirà) 42, al Pdl 38, a Monti 8 e così via. Nel 2008 erano stati ancora di più, ma resta un fiume di denaro, al quale si aggiungono le infinite prebende di una politica che a tutti i livelli istituzionali e locali drena risorse dal sistema. Io non sono necessariamente contro il finanziamento pubblico della politica, ma andrebbe ricordato che c’è stato un referendum, prontamente aggirato, che lo ha abolito.

Eccola allora l’enorme frattura che si è determinata tra il Paese reale e Paese virtuale. Il Paese reale arranca e soffre, tra un lavoro che non c’è, il credito che sfuma, l’umiliazione quotidiana di cercare un percorso di vita comunque più modesto di quello dei propri padri; quello virtuale discute eternamente di alchimie elettorali, poi porta gli elettori a votare con il Porcellum e ora si accinge a intascare senza battere ciglio 159 milioni di rimborsi elettorali.

Cosa devono pensare, allora, quegli imprenditori che attendono da anni il pagamento dei crediti che vantano con la pubblica amministrazione? Sono 100 miliardi. L’ultimo governo, con il ministro Passera, ne ha tanto parlato, ma solo polvere di quella montagna di denaro è stata intaccata. Pensare al Paese reale significa sbloccare, per esempio, quei pagamenti. E se si tratterà di far salire di tre/quattro punti  il dato ufficiale del rapporto debito/Pil, poco male: sono debiti che esistono e che tutta Europa già conosce, farli emergere non sposta la nostra situazione reale di indebitamento finanziario, ma sicuramente immette liquidità importante nel sistema delle imprese, permettendo a tante aziende di salvare il proprio futuro e quello dei propri dipendenti.

In fondo è anche questo il cambiamento, la discontinuità, che gli italiani chiedono. Vogliono una politica più sobria e più capace di dare risposte al proprio malessere, vogliono qualcuno che li ascolti, qualcuno che dia la percezione che si sta occupando di loro.

Nessuno, bisogna ammetterlo, aveva avuto coscienza piena di quanto fosse forte questo vento di cambiamento.  Ed è un fatto grave per una politica che dovrebbe avere tra le sue missioni proprio l’ascolto del Paese. Sarebbe ancora più grave, però, se ora quella politica non dimostrasse di aver compreso la lezione.

Non mi intendo di alchimie parlamentari, ma so per certo che nuovi, incomprensibili, tatticismi aggraverebbero una situazione che invece ha bisogno di una gestione il più possibile chiara e trasparente. Un governo a tempo, quindi, in grado di portare in Parlamento un programma capace di riconciliare il Paese. Su due assi: da una parte l’etica pubblica, con il taglio del costo della politica, il dimezzamento del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto, la riduzione delle sovrapposizioni tra i livelli di governo, norme più severe sulla corruzione; dall’altra l’economia, e quindi il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, una spinta agli investimenti pubblico-privati per creare un po’ di lavoro, tagli mirati alla pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese.

Moralità pubblica ed economia reale. Sono le due facce di una stessa medaglia. In Italia la crisi economica si è fatta crisi morale, e viceversa. Non è più evidentemente (solo) una questione di spread.  In gioco è il futuro dell’Italia, come nazione capace di sentirsi tale nell’oggi e ancor più nel futuro. I segnali di disgregazione ormai sono sotto gli occhi di tutti. Il tempo per gli uomini di buona volontà è ora. Se non ci sarà una buona politica capace di agire immediatamente, il Paese si avviterà nella disperazione e nel rancore.

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