Il populismo in Parlamento

25 Feb 2013

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Il caos che un conglomerato di eletti non uniti in partito e, soprattutto, senza idee guida “in positivo”, ma uniti principalmente dalla rabbia anti-sistema, è purtroppo prevedibile. L’unica speranza è che, proprio a causa della loro inconsistenza come partito, gli eletti del M5S si sentano totalmente liberi di seguire il loro buon senso; che, insomma, rappresentino solo se stessi al meglio della ragionevolezza di cui sono capaci.

LA DEMAGOGIA non si traduce facilmente in rappresentanza parlamentare. Vive di politica diretta e il suo più grande ostacolo è la normalità che segue il voto. Si adatta meglio ad una permanente campagna elettorale perché retta sull’espressività e sull’arte affabulatrice del leader, la ricerca dell’applauso e del contatto diretto con il pubblico. La demagogia si avvale di una retorica spesso aggressiva. Erinasce ogni qual volta la distanza tra chi sta dentro e chi sta fuori i luoghi del potere si allarga fino ad aprire una falla nella quale si fa strada questa forma alternativa di espressione politica, la cui linfa vitale sono emozioni di opposizione, come la rabbia o l’esasperazione. La demagogia prende energia dalla relazione di vicinanza del leader con la folla: egli porta la massa dove vuole e deve farsi portare da essa per meglio eccitarla e averla sua. La demagogia non vive di azione differita, vuole un rapporto fisico diretto, come quello tra Beppe Grillo e le folle che si assembrano ai piedi del suo palco inscenando una drammatizzazione delle vicende politiche più problematiche e delle difficoltà sociali ed economiche che le accompagnano. Che cosa ci si deve aspettare dalla politica demagogica ora che le urne si chiudono e una folta pattuglia di eletti entra in Parlamento?
C’è un’incertezza palpabile su quel che sarà il post-elezioni dei movimenti populisti – certamente del M5S – proprio per l’oggettiva difficoltà a tradurre le emozioni delle folle in rappresentanza politica. Le ragioni dello scontento che fa da benzina al demopopulismo sono più che giustificate. È giustificato il disgusto urlato nelle piazze oceaniche che raduna Grillo per il modo con il quale amministratori delegati governano banche e imprese nel proclamato dispregio delle regole e con arbitrio – cloni di una classe politica che Mario Monti ha chiamato “cialtrona”. È giustificata l’angoscia per il domani anche a causa di politiche di austerità senza progetto che hanno impoverito troppi italiani, senza peraltro riuscire a risolvere i problemi che dovevano risolvere. È comprensibile il disagio di molti onesti cittadini di fronte ai potenti che vorrebbero appropriarsi del bene della giustizia per garantirsi impunità. Indignazione giusta e sacrosanta che però stenterà a trovare un’efficace rappresentanza se si affiderà alla guida demagogica.
La demagogia che riempie le piazze e i siti Internet ha il potere di attrarre consenso ma non ha probabilmente alcun interesse a creare stabilità nel dopo le elezioni. La sua forza (che si paventa molto consistente) può essere di impedimento alla formazione di una maggioranza duratura. La stabilità del governo è del resto il nemico dei movimenti demopopulisti, la cui aspirazione sono piazze piene di scontenti (che restino tali). La democrazia consente di tenere i giochi aperti; a questo serve la regola della ciclicità elettorale, a mediare stabilità e mutamento, apertura del contenzioso e sua temporanea chiusura. È questa regola fondamentale che la demagogia mal digerisce e fa di tutto per sovvertire, per essere forza mobilitante permanente.
Inoltre la demagogia non è rappresentabile; rabbia e indignazione sono emozioni difficili da tradurre in progetti politici condivisi. Anche per questo ha senso temere scenari di instabilità. Che cosa faranno i rappresentanti del M5S in Parlamento? Dove si posizioneranno in rapporto alla maggioranza che si formerà?
E che proposte porteranno avanti che possano rappresentare quella rabbia che il loro leader fa montare ogni ora che passa? È vero che il M5S ha dimostrato, nelle amministrazioni locali, di esprimere eletti di buon senso. Ma il Parlamento non è un consiglio comunale e i pochi punti di programma che Grillo propone non sono paragonabili in efficacia e per portata alla voglia azzeratrice che la sua retorica alimenta.
Il caos che un conglomerato di eletti non uniti in partito e, soprattutto, senza idee guida “in positivo”, ma uniti principalmente dalla rabbia anti-sistema, è purtroppo prevedibile. L’unica speranza è che, proprio a causa della loro inconsistenza come partito, gli eletti del M5S si sentano totalmente liberi di seguire il loro buon senso; che, insomma, rappresentino solo se stessi al meglio della ragionevolezza di cui sono capaci. Non si può non vedere il paradosso: gli eletti di questo movimento demagogico non devono dar conto a nessuno e proprio da questa assenza di mandato politico e di controllo dipende la stabilità del quadro politico post-elettorale. Portati in Parlamento sull’onda dell’emozione, dobbiamo sperare che molti di loro sappiano e vogliano esprimere l’indignazione e la rabbia con comportamenti ragionevoli, volti a promuovere stabilità per potere picconare per davvero gli effetti del malgoverno che si è accumulato in questi anni di cialtroneria sistemica.

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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