L’intervento di Don Colmegna

08 Feb 2013

C’è un gran bisogno di buona politica e alla nuova politica serve un nuovo vocabolario.
C’è un grande bisogno di una nuova Stagione Costituzionale, nella quale dobbiamo dare assolutamente la parola anche a quei luoghi, che io definisco laboratori, che accolgono e raccontano esperienze che mettono al centro del loro operato una cultura del bene comune, segnata da sentimenti di solidarietà, da legami di giustizia e legalità. Questi laboratori possono, anzi debbono essere quelli dove si stanno impegnando già tante persone, che con la loro professionalità e la loro intelligenza umana, i loro stili di vita, ascoltano le storie dell’altro, osservano i volti dei diversi, di chi soffre, di chi vive ai margini, di chi non ce la fa a tirare alla fine del mese, di chi viene da lontano. È in questi laboratori che si sente profondamente la tensione al bene comune, la fraternità condivisa. É in questi luoghi che può rinascere forte quello spirito costituente che è nato da impostazioni culturalmente anche diverse ma che hanno trovato un punto di convergenza nella visione di Paese legata profondamente a principi di giustizia, di democrazia, di solidarietà partecipata. Solidarietà nel nuovo vocabolario della politica, è tempo di ripulire questa parola, da significati minimalisti, che la fanno coincidere solo con l’aiuto, l’assistenza e il soccorso di chi è svantaggiato. Quello solidale è un modello di società, che presuppone scelte politiche ben più strategiche di quelle più strettamente assistenziali. L’esercizio della solidarietà deve partire dall’attenzione al quotidiano delle fasce più deboli della popolazione, dalle loro storie, dai rischi di esclusione e di sofferenza. La povertà non chiede solo analisi che ne danno la dimensione quantitativa e che si limitano a descriverla, la povertà chiede di essere concretamente affrontata, chiede di essere il fulcro della strategia per una politica di cittadinanza vera. Raccogliere l’indignazione, il grido di chi vive ai margini, trasferirlo dentro la propria esistenza di impegno sociale e politico, con una passione, con una sobrietà che deve essere testimoniata come responsabilità.
Questa è la sfida che può essere vinta mettendo al vertice dei valori la gratuità che come orientamento profondo, come disinteresse, è stile di vita e scelta politica.
Una città intelligente è quella che incontra i luoghi da cui partire e guardare, che vive relazioni solidali. La politica è o dovrebbe essere il luogo dove si è sfidati a riportare l’utopia sulla terra, a lottare contro le disuguaglianze, a rompere con un atteggiamento apparentemente caritatevole, che finisce per sancire e consolidare le disuguaglianze. La politica è passione di giustizia, vi è una visione spirituale intensa, che motiva la discesa in campo di una soggettività innovativa, che abita dove si respira prossimità, tenerezza e commozione per sentire il motore della cittadinanza inclusiva, dei diritti che devono indirizzare alla politica del futuro.
Chi sta nel mezzo delle tante povertà, chi vive attraversato dalla debolezza e sofferenza, non può stare zitto, deve riprendere parola.
Quando vediamo che si taglia il fondo per la non autosufficienza, quando siamo costretti ad assistere allo sciopero della fame dei malati di SLA per supplire a dimenticanze di chi governa, quando assistiamo alla disperazione di famiglie che hanno in casa la sofferenza anche mentale e sono costretti a metterla in piazza in una disarmante solitudine, avvertiamo perché abbiamo bisogno di una politica equa, che sia praticata da chi, promuovendo condivisione, esprime una soggettività nuova, una cultura direi al femminile che fa della cura, del prendersi cura degli altri, una scelta di sviluppo e di cambiamento sociale.
Il sociale non è assistenzialismo, chiede un’integrazione robusta tra sanitario e sociale e non una separazione come esiste invece in questa regione. Qui sta quell’intelligenza sociale che il Cardinal Martini chiamava “l’eccedenza della carità”. Va pretesa una politica senza sconti, non violenta, capace di ridare il gusto e la scelta della pace con la sua radicalità e con il suo bisogno di diplomazia di pace, così come va pretesa una coerenza anche a livello personale.
C’è un gran bisogno di competenza certamente, ma di una competenza concreta, spesa nel quotidiano, capace di promuovere socialità, coerenza, diritti e responsabilità praticate. Una competenza che nel nostro paese, forse più che in altri, è nei tanti luoghi dove vi è vivacità sociale.
É un mondo di donne, giovani, uomini che sono in fermento, chiediamo che si liberi il tappo che li blocca, che li rende marginali, semplici testimoni e non protagonisti di una nuova politica.
Vi è questa urgenza, la si sente, la si avverte, ci riempie di speranza, essa chiede svolte, permettetemi: Francesco nel suo tempo si spogliò di alcune sicurezze e con un atto di contrizione, anche di fronte alla propria famiglia contro l’imborghesimento intuì che la povertà non era da allontanare, ma conteneva una dinamica di futuro e di sviluppo, proiettava un nuovo sguardo sulla creazione. Da lì è nata quella che noi chiamiamo economia sociale, in questi anni il motore vuoto è appesantito, è stata la ricchezza, spesso diventata orgia di consumi e di illegalità. La freschezza di stili di vita, di nuovi linguaggi, si ripropone oggi come urgente, c’è un grande bisogno di buona politica anche per respingere identità chiuse e contrapposte.
La lotta alla povertà è il vero centro della politica, deve diventare una priorità, abbondiamo di dati che misurano la povertà crescente delle famiglie. L’aggravarsi della crisi è documentata giorno per giorno, ma noi dobbiamo sperimentare il cambiamento, dobbiamo dire che difendere il welfare è scelta di sviluppo, dobbiamo affermare che occorre un respiro etico, che sottragga il mondo finanziario da meccanismi perversi.
Dobbiamo pretendere una classe dirigente che stia nel mezzo delle sofferenze, che nei fatti faccia professione di condivisione, Qui, in questo territorio solidale troviamo tanta intelligenza politica, troviamo giovani con energie fresche che vogliono superare ogni assistenzialismo di emergenza, spesso solo di testimonianza, che vogliono consolidare cultura di cittadinanza.
“Casa della carità” compie in questi giorni 10 anni, lunedì porteremo all’università Bicocca l’antropologo americano Appadurai, un grande accademico che riflette sul cosmopolitismo dei poveri, un’anticipazione del suo messaggio mi pare particolarmente adatta in questo contesto: parla di democrazia profonda, che è quella più prossima, più a portata di mano, la democrazia di quartiere, delle comunità, delle relazioni di sangue e dell’amicizia, che si esprime nelle pratiche quotidiane della condivisione delle informazioni, della costruzione delle abitazioni e della formazione del risparmio, democrazia della sofferenza, della fiducia e del lavoro. Ebbene io credo
che noi abbiamo bisogno di questa democrazia profonda, imparando da chi possiede la fonte più vitale del senso di comunità, la fonte della pazienza e della sapienza, nella lotta quotidiana per mantenere la sicurezza a dispetto del senso di crisi e minaccia proveniente da molte direzioni. Questa democrazia ha per protagoniste le donne. Riprendiamo fiducia, diamoci forme quotidiane di consapevolezza e di comportamento, ascoltando le voci dei più poveri e dei più deboli.
La democrazia profonda è democrazia pubblica e pretende che la tenerezza ridiventi sentimento nobile, capace di immergersi nei sentieri di una buona politica per rintracciare i segni di speranza.
Per Italo Calvino ci sono due modi per non soffrire, il primo riesce facile a molti, accettare l’inferno, diventarne parte fino al punto di non vederlo più; il secondo è rischioso, esige attenzione e apprendimento continuo: cercare e sapere riconoscere chi e che cosa in mezzo all’inferno non è inferno e farlo durare dagli spazi, mentre un grande testimone dei nostri tempi come Ernesto Balducci, scriveva nel suo diario “solo la conoscenza di un mondo diverso da quello di oggi e tuttavia reale, può aiutare l’uomo a distanziarsi dalle carenze del proprio tempo e solo il passato può offrirgli questa conoscenza”. La Stagione Costituzionale chiede di riprendere questo spirito adesso.

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