La battaglia di Ilaria Cucchi e il partito di Giovanardi

06 Feb 2013

La battaglia di Ilaria Cucchi per la verità sulla morte di Stefano, suo fratello, la rende non degna di candidarsi al Parlamento. Così, pensa Giovanardi, strumentalizza quella tragedia familiare. Ilaria sarà ospite del nostro circolo a Piombino il 15 febbraio insieme ad altri candidati del centrosinistra

Il mondo in cui vive Carlo Giovanardi è un mondo semplice. Da una parte il bene, dall’altro il male. Bianco o nero. Non esiste complessità.
Lui, naturalmente, è dalla parte delle persone per bene. E un tossicodipendente e spacciatore non può esserlo, per definizione.
Se dopo l’arresto muore, forse per le percosse subite e per l’abbandono successivo, la colpa è sua. Al massimo gli si può concedere che era una persona debole, vittima della sua condizione.
E non può essere per bene  nemmeno chi, anche se è sua sorella, ne difende la memoria e la dignità dopo la morte.
La battaglia di Ilaria Cucchi per la verità sulla morte di Stefano, suo fratello, la rende non degna di candidarsi al Parlamento. Così, pensa Giovanardi, strumentalizza quella tragedia familiare.
Quello che colpisce nel ragionare dell’ex democristiano e cattolicissimo Giovanardi è la sua fede incrollabile nell’ordine costituito, ma soprattutto la mancanza di solidarietà umana e di pietas verso la vittima e i suoi familiari.
Non lo sfiora il dubbio (che saranno i giudici a risolvere) che nel caso di Stefano Cucchi qualche carabiniere o agente di custodia o medico abbia potuto comportarsi in modo violento o negligente.
E quindi, pensa Giovanardi, le lesioni che certamente Stefano ha subito gliele hanno procurate i suoi “amici spacciatori”. E lui ha rifiutato cure e alimentazione. Come dire: se l’è andata a cercare.
E’ una posizione coerente con lo spirito con cui Giovanardi ha voluto la legge che porta anche il suo nome e quello di Fini e che dal 2006, oltre a parificare per gli aspetti penali le droghe leggere a quelle pesanti, punta per la lotta alla diffusione degli stupefacenti su una presunzione – se la quantità detenuta supera determinati, ristretti livelli – che il detentore/consumatore sia anche spacciatore. Il giudice deciderà poi se l’accusa di detenzione per lo spaccio sia fondata e solo in questo caso condannerà, ma intanto la persona può essere arrestata in base ai primi accertamenti.
Quello che soprattutto colpisce delle dichiarazioni di Giovanardi, però, è la durezza dei giudizi su Ilaria Cucchi: strumentalizza una tragedia familiare.
Giovanardi, giustamente, si è ben guardato da giudizi del genere, per esempio, nei casi di Olga D’Antona o di Rosa Calipari che, da parlamentari, hanno onorato il loro ruolo e il ricordo dei loro mariti uccisi. Troppo alto e nobile era il bersaglio.
Ma qui si tratta di droga e chi difende la memoria di un tossicodipendente non merita rispetto.
Ben diverse furono, dopo la morte di Stefano, le parole di Livio Pepino, su “La Repubblica del 4 novembre 2009: “non riesco a levarmi dagli occhi l’immagine del viso martoriato di Stefano Cucchi (…) Non posso e non voglio rimuoverlo. Non lo voglio come cittadino e come magistrato di questa infelice repubblica. Non so come sia morto quel ragazzo (a volte sorridente, a volte disperato, come tutti noi). Non so chi di quella morte porti la responsabilità, o la responsabilità maggiore. Vedo (…) la dignità di una famiglia che chiede rispetto per chi non c’è più (…) E sento perfino scaricare la colpa di quella fine orribile sulla vittima, colpevole di nascondere sotto il lenzuolo il proprio volto tumefatto e di non volersi alimentare”.
Né condanne né assoluzioni preventive dunque, ma, prima di tutto, grande pietà per un giovane morto quantomeno per incuria di chi doveva custodirlo, mentre era – non solo la sua sorte giudiziaria, ma anzitutto il suo corpo – affidato allo stato, impersonato da carabinieri, agenti di custodia, medici. E magistrati.
Pepino denunciava “le smorfie insensibili dei tanti burocrati che hanno attraversato la vicenda” e ricordava il dovere dei magistrati di stare sempre dalla parte dei deboli, rispettando fino in fondo l’art. 3 della Costituzione e il principio di uguaglianza.
La morte di Stefano Cucchi poteva essere l’occasione per riflessioni su tutto questo. Occasione mancata da tutti, magistratura compresa, che non ha sentito su di sé neanche un po’ della responsabilità istituzionale che le competeva per la morte di un ragazzo sottoposto a processo che sarebbe dovuto essere “giusto”, rispettoso e garantista non solo della forma e della tecnica ma prima di tutto dell’incolumità della persona sottoposta a giudizio e, si tenga presente,  innocente fino a prova del contrario. Dunque morto da innocente.
Per questo la battaglia di Ilaria Cucchi dovrebbe essere condivisa da tutti, perché è una battaglia di legalità e prima ancora di civiltà.
Ma a Giovanardi preme soltanto che le candidature al Parlamento non nascano da “casi giudiziari”. Forse poteva pensarci anche quando il giornalista Renato Farina, l’agente Betulla del caso Abu Omar, fu smascherato come collaboratore del SISMI, costretto a patteggiare la pena per avere depistato le indagini e  candidato al Parlamento. Per il PDL, il partito di Giovanardi.

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