Monti-Bersani: perché cresce il fossato

07 Gen 2013

Alle urne si arriva in anticipo, col fiato corto. Il quadro che conoscevamo da vent’anni si è scomposto. Assieme a Berlusconi e ai progressisti, guidati dal Pd di Bersani, ci sono il terzo polo di Monti e lo schieramento antagonista, rappresentato da Grillo e da Ingroia. Una contesa quadrangolare. Di tutti contro tutti.

La campagna elettorale è appena all’inizio, ma ha già preso forme molto aggressive. Alle urne si arriva in anticipo, col fiato corto. E in uno scenario del tutto nuovo. Non più dominato dalla legge di un secco bipolarismo: il centrodestra, alleato con la Lega, da una parte; il centrosinistra, dall’altra. Il quadro che conoscevamo da vent’anni si è scomposto. Assieme a Berlusconi e ai progressisti, guidati dal Pd di Bersani, ci sono il terzo polo di Monti e lo schieramento antagonista, rappresentato da Grillo e da Ingroia. Una contesa quadrangolare. Di tutti contro tutti.

Ha cominciato Berlusconi, con l’invasione radiotelevisiva, schema collaudato delle sue precedenti campagne. Ma anche Monti si è mosso subito con molta aggressività. Probabilmente è normale per una forza nuova. Il terzo polo, sotto la guida del Professore, è una new entry. Nulla a che vedere con la vecchia scialuppa centrista, che aveva Casini come unico timoniere. Ma ciò non toglie che la “salita”di Monti in politica abbia sorpreso molti, e non certo benevolmente. Il protagonismo del presidente del Consiglio si è presentato talvolta con accenti berlusconiani. Anche lui tende a sovrapporre la sua immagine a quella dello schieramento che lo sostiene. Certo, lo stile è ben diverso. Però, anche Monti si pone come l’unico detentore della medicina necessaria per tirare fuori il paese dalla crisi.

Le prime mosse del presidente del consiglio sono state contro chi lo aveva preceduto a Palazzo Chigi. La chiusura verso Berlusconi è netta. Per ragioni politiche e culturali. Ma anche per strategia elettorale. Se vuole fare crescere il terzo polo, Monti deve, infatti, conquistare l’elettorato moderato in fuga dal Pdl. Ma questo non basta. Il professore deve anche inasprire i toni verso Bersani. Tenere la porta aperta a sinistra,  mentre concentra i suoi sforzi contro la destra berlusconiana, gli creerebbe problemi con l’elettorato moderato. Per occupare il maggiore spazio possibile, deve, quindi, allargare il fossato che lo separa dal Pd. Il “gentlemens’agreeement” fra terzo polo e partito democratico, sul quale alcuni avevano volenterosamente puntato, è andato ben presto in crisi. Da semplice “competitore”, Bersani è diventato “avversario”

Monti ha un progetto ambizioso: disarticolare il bipolarismo; rompere lo schema destra-sinistra, sostituendolo con quello rinnovamento-conservazione; riaggregare i moderati. Ma è difficile conciliare queste idee con la realtà di una coalizione minoritaria, che si muove, allo stato delle cose, dentro un contenitore angusto. I sondaggi odierni lo danno dietro la destra berlusconiana, a rischio d’essere sopravanzato anche dal Movimento 5 Stelle di Grillo. E allora? Restano i dubbi sulle ragioni che possono avere indotto il Professore ad affrontare una sfida così rischiosa che potrebbe compromettere la sua credibilità personale e la fiducia che si è conquistato presso gli italiani. Hanno pesato le aspettative della comunità internazionale, da Obama alla Merkel?  Gli inviti delle gerarchie ecclesiastiche? Il timore che con lui, rimasto al di fuori della politica attiva, il processo avviato dal governo tecnico sarebbe stato compromesso? Ma l’agenda Monti non sembra in contrasto col programma di Bersani. I due programmi in buona parte coincidono. Bastano a compromettere questa “coincidenza” lo zoccolo duro che permane nel Pd, le ali estreme che Monti, con poca eleganza, invita Bersani a “silenziare”?

Francamente, non riusciamo a dare una risposta a questi dubbi. In un anno di governo, Monti ha salvato l’Italia dal baratro in cui stava precipitando e le ha restituito, sulla scena internazionale,  il prestigio perduto. Ma una cosa è gestire il potere dall’alto, come da Palazzo Chigi gli è stato possibile, e altra cosa è conquistarselo dal basso, questo potere. Faccia attenzione, il Professore, perché, nella pratica quotidiana, rischia di assimilarsi a Casini. Gli argomenti polemici usati sono vicini a quelli del terzaforzismo del segretario Udc: né destra, né sinistra, avanti al centro contro gli opposti estremismi. Da tutto ciò, Casini trae una ruvida conclusione: ”Se Bersani non avrà la maggioranza anche al Senato, potrà scordarsi di fare il presidente del Consiglio”. Già, perché la vittoria del centrosinistra è data per certa alla Camera, ma è in dubbio al Senato, per effetto della perversa legge elettorale con la quale andiamo alle urne. E, allora, in condizioni di difficile governabilità, toccherebbe a Monti tornare alla guida di un esecutivo di larga coalizione, pur essendo il leader di una formazione politica minoritaria?

Soluzioni di questo tipo le abbiamo conosciute ai tempi della Prima Repubblica. Nacque così il governo Spadolini, e fu un’esperienza positiva, in una fase assai difficile. Ma i ricordi ci portano altrove. Ad altre esperienze, di segno ben diverso. Alla cosiddetta “cooperazione competitiva” tra Craxi e De Mita. Pensare di riproporla oggi, sia pure aggiornata, sarebbe un’idea folle. Se si ritiene che c’è bisogno della collaborazione tra il centrosinistra e il partito montiano, non serve inventarsi bersagli di comodo, prendendo platealmente le distanze dal Pd. Il progetto va discusso e ragionato, senza sospetti e ritorsioni. Altrimenti, si ripropongono i vizi peggiori del passato. Un pessimo servizio reso al Paese.

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