«Sono molto sereno. Come dicevano i latini “ira furor brevis”». Marco Alessandrini, avvocato, 42 anni a Natale, è consigliere comunale Pd ed ex capogruppo. Una carica che ha lasciato l’estate scorsa per poter rispondere alle molte richieste in Italia di intervento e di testimonianza civile come figlio del magistrato Emilio Alessandrini, assassinato a Milano il 29 gennaio 1979 da un commando di Prima Linea. Nel 2009 Marco Alessandrini è stato candidato sindaco dal centrosinistra contro Luigi Albore Mascia. Una partita sfortunata, accettata con coraggio e inconscienza, perché la città andava al voto dopo l’arresto del suo sindaco Pd Luciano D’Alfonso, allora segretario regionale del partito, e dopo l’arresto del governatore Pd della Regione Ottaviano Del Turco. In questi giorni molti davano Alessandrini candidato sicuro al Parlamento. O almeno, candidato sicuro alle primarie. Ma non accradrà nè l’una nè l’altra cosa. Avvocato Alessandrini, perché ha deciso di non correre alle primarie? «Vede, mercoledì sera c’è stata la cena di Natale del Pd, un’occasione per incontrare amministratori e parlamentari del partito. Quest’anno c’era in verità poca gente, ma è stata l’occasione per ascoltare i candidati o chi intendeva presentarsi candidato. Io ho preso la parola e ho detto che non sarei stato disponibile a fare la foglia di fico del partito per la seconda volta». In che senso? «Ho affrontato un’elezione del 2009 in un momento difficile ricevendo l’aiuto che in quel momento il partito poteva dare. E non era molto, perché veniva da una stagione giudiziaria importante. Quattro anni dopo vedo che ci sono le primarie, che sono una bella parola perché significa partecipazione, ma se penso a queste primarie mi viene da citare un giurista come Franco Cordero: “frode delle etichette”». Non le piace come sono state organizzate? «In realtà si tratta di primarie d’apparato aperte a un pubblico ristretto. E credo (ed è un giudizio penso unanime), che siano scarsamente contendibili per una persona come me, per chi ha accesso a un pezzo minimo, a una frazione del partito provinciale. E’ successo insomma che uno della società civile come me, perché io nasco politicamente solo nel 2008, non ha trovato nessuno nel partito disposto a sostenerlo in questa battaglia». Ma le primarie le piacciono come strumento di democrazia allargata? «Mi sono piaciute le primarie di Matteo Renzi e il partito ha fatto molto bene a farle. Queste sono diventate una rissa vera e propria. Perché la brevità del tempo a disposizione, il fatto che le regole siano venute fuori solo lunedì e che ci sono adempimenti formali da svolgere, riduce le primarie a una corsa affannosa di una sola settimana. Questo fatto avvantaggia inevitabilmente gli uomini d’apparato». Il regolamento impone la raccolta di firme di iscritti. «Entro venerdì alle 20 scadono i tempi di presentazione della candidatura con 60 firme di almeno 3 circoli. Io però non ho chiaramente le liste degli iscritti dei circoli, anche se sono dati facilmente recuperabili, ma poi devi avere una macchina di partito per raccoglierle. E il risultato è che le candidature sono tutte interne. Certo, sono tutte degnissime persone, ma si tratta esclusivamente di persone di partito». Ha parlato con Roma? «No, con Roma ci sono contatti episodici, ma non li voglio neanche. E poi queste sono primarie locali vere. Io continuo a pensare che il metodo sia buono, ma la domanda è: chi bisogna mettere in campo? In un paese precario non ci possiamo permettere una classe dirigente precaria. In un certo senso se penso all’esperienza del governo Monti mi viene una riflessione su cos’è la politica: qui abbiamo visto che è potere, lì che è autorità. Non so se sono un marziano, ma se penso a certe cose do ragione a un vecchio socialista come Formica, che diceva che la politica è sangue e merda». Formica ne ha viste tante. Andrà a votare alle primarie? «Sì ci andrò. Ho avuto la tentazione di non farlo ma ci andrò». E poi che cosa farà? «Faccio il consigliere comunale, concluderò il mandato, poi si vedrà».
Caro Marco, a posteriori, sulla base dell’esperienza concreta vissuta sul territorio in occasione delle primarie, si può affermare senza ombra di dubbio che la tua è stata la scelta giusta. Chi ha tentato infatti di misurarsi con la gioiosa macchina da guerra degli apparati di partito è rimasto scottato. Già raccogliere le firme a sostegno della candidatura in un solo giorno è stata impresa ardua, visto che le tessere di partito erano in massima parte prenotate a favore dei funzionari locali. Dopodiché, senza il minimo tempo necessario per far circolare il proprio nome, con due soli giorni a disposizione dopo le feste natalizie, nel silenzio assoluto dei mezzi d’informazione locali, senza il supporto dei militanti, i soli in grado di presidiare il territorio, con una partecipazione al voto assai limitata, la possibilità di prevalere per un candidato estraneo all’apparato o privo dell’appoggio dei vertici nazionali era pressoché nulla.
D’altra parte questo era l’obiettivo, peraltro abbastanza esplicito, di Bersani in vista delle elezioni: raccogliere voti attraverso le strutture dirigenti del partito. Auguri!