La democrazia dei cittadini dall’Ulivo al Pd, ricordando Pietro Scoppola

18 Dic 2012

Alla base dell’Ulivo, nella concezione di Pietro Scoppola, c’è la democrazia dei cittadini. Va subito detto che per Scoppola la democrazia dei cittadini non è in contrasto con la democrazia dei partiti e tanto meno la negazione del ruolo dei partiti.

Alla base dell’Ulivo, nella concezione di Pietro Scoppola, c’è la democrazia dei cittadini. Va subito detto che per Scoppola la democrazia dei cittadini non è in contrasto con la democrazia dei partiti e tanto meno la negazione del ruolo dei partiti. A partire dagli anni Ottanta, dopo il delitto Moro, anche in seguito alla esperienza parlamentare, ma soprattutto lavorando al suo libro di storia più importante “La repubblica dei partiti” si convince che la crisi italiana e i processi di integrazione europea e internazionali richiedono di procedere in direzione di una identità nazionale democratica più robusta, superando le identità separate partitiche, che pure negli anni precedenti avevano svolto una funzione controversa, ma, tutto sommato, positiva. I partiti vanno profondamente riformati. Partiti nuovi, in cui il rapporto con i cittadini sia molto più forte e diretto. Soprattutto più forte e diretto doveva essere il rapporto tra cittadini e istituzioni democratiche e tra cittadini e il governo del paese.

I cardini di questa concezione sono noti: 1. introdurre il principio di alternanza democratica a livello del governo; 2. dare la possibilità al cittadino elettore di scegliere e quindi di votare direttamente la maggioranza di governo, senza passare attraverso la mediazione parlamentare dei partiti; 3.superare, anche a costo di una rottura, l’unità dei cattolici e l’unità della sinistra, che sono stati e sono un ostacolo pregiudiziale, di natura prevalentemente ideologica, alla formazione di schieramenti alternativi basati su una nuova visione programmatica e valoriale.
Nei primi anni Novanta, dopo il crollo del comunismo e lo scioglimento del PCI, divenne uno dei protagonisti, accanto a Mario Segni, della campagna referendaria per l’introduzione del maggioritario e del bipolarismo. Più tardi, nell’ultimo periodo della sua vita, rifletterà anche autocriticamente su quella esperienza, “ Abbiamo avuto l’illusione- dirà- che il passaggio al maggioritario e al bipolarismo garantisse di per sé solo il compimento della democrazia”.
Anche sulla riforma elettorale ha avuto dei ripensamenti: dal modello tedesco del periodo senatoriale è giunto a considerare positivamente il modello spagnolo, pur restando ferma la sua preferenza nei confronti di un sistema politico bipolare.1
“Perché la Costituzione è debole nella coscienza popolare? Perché non è diventata elemento vissuto, motivo di appartenenza nel nostro Paese?” Perché è così povero “il patriottismo della Costituzione”? Si chiede Pietro Scoppola, in un bellissimo discorso tenuto in occasione della campagna elettorale contro la riforma costituzionale voluta dalla destra nel giugno 20062 “ Il processo di compimento fondativo della democrazia -. dirà in un discorso successivo, l’ultimo che ha tenuto in pubblico, – non è compiuto (o è stato interrotto o inceppato). Non è stato compiuto a livello etico, a livello di cittadinanza; non è stato compiuto a livello istituzionale”.
La risposta la trova nella storia del nostro paese, dove esiste una destra senza storia e senza cultura democratica e una sinistra irrisolta e ambigua; e dove permane una continua tentazione al populismo e persino al sovversivismo, come testimonia il berlusconismo. Anche il Vaticano ha le sue “colpe”, a partire dalla ostilità al Risorgimento nazionale, alla lunga subalternità al fascismo fino all’atteggiamento “tiepido” verso la Costituzione repubblicana.
L’incompiutezza democratica nazionale si aggrava dinanzi alla crisi più generale della democrazia. Credo che Pietro sarebbe stato d’accordo con Tzsvetan Todorov, quando scrive che i nemici della democrazia non sono tanto esterni, ma interni, quali il messianismo politico, l’eccesso e la tirannia dell’ individualismo, il neoliberismo avido e sfrenato, la deriva populistica3.La minaccia è la dismisura. C’è una frase che Pietro ripeteva spesso: nella società dei due terzi , come la nostra, la democrazia rappresenta gli interessi costituiti ed è sempre meno capace di dare voce agli esclusi e ai poveri. La maggioranza numerica oggi gioca a sfavore dei più deboli. Senza l’afflato della giustizia la democrazia si affloscia.
La democrazia si rilancia se trova nuova linfa, se viene innervata da nuove tensioni morali e intellettuali, da nuova spiritualità. La religione cristiana, e in particolare quella cattolica, può e deve svolgere una funzione molto importante per il radicamento e per il compimento della democrazia nel nostro paese. La Chiesa ha dunque una grande responsabilità.
Per Scoppola la democrazia dei cittadini è la democrazia dei cristiani. Questo è il titolo del libro-intervista, in collaborazione con Giuseppe Tognon. L’espressione è per alcuni versi polemica, quasi da pamphlet. Intendo però dire subito che mi sembra del tutto fuori luogo ogni interpretazione che tenda a considerare la democrazia dei cristiani come una riproposizione di integralismo cattolico, in direzione di una rinnovata res pubblica christiana. Se c’è una radice ben ferma nel pensiero di Pietro è la laicità, che per lui non è soltanto separazione ra Stato e Chiesa; è tolleranza, rispetto e garanzia del diritto altrui a pensare diversamente, ma soprattutto comprensione dell’altrui verità. Comprensione che ovviamente non esclude il confronto ed anche la battaglia etico-culturale. Scrive Pietro in “Un cattolico a modo suo”, gli spazi del credere e del non credere sono gli spazi comuni a tutti gli uomini pensanti: sono gli spazi comuni alla condizione umana…ben presenti nella Bibbia” Il riferimento alla Sacra Scrittura è quanto mai significativo 4
Ecco, a mio parere, il senso profondo della “democrazia dei cristiani”: “Laicità e libertà religiosa – dice- sono valori irrinunciabili; laicità dello Stato è la condizione essenziale della convivenza pacifica; ma dobbiamo forse ripensare la laicità in termini che non escludano, anzi valorizzino l’apporto delle esperienze religiose alla formazione del tessuto etico della società. Se non vogliamo che del fattore religioso, del cristianesimo si impadroniscano i teo-con, gli atei devoti, per i loro obiettivi politici” 5
Il suo messaggio è evidente: ribadire il suo no al partito dei cattolici; e non soltanto perché la democrazia cristiana è finita e sarebbe sbagliato cercare di resuscitarla. Ma per una ragione più di fondo: non è vero che la Chiesa con il partito dei cattolici si salva, evitando di immischiarsi nel pantano della politica, ma è il contrario. Scopo dei cattolici e della Chiesa è quello di immettere nell’azione politica una testimonianza etica, giacché la politica non può essere avulsa dalla morale. Ma ciò richiede che la religione sia separata dalla politica e dallo Stato, lontana da suggestioni fondamentaliste; e soprattutto non sia vista in modo strumentale. Il messaggio è indirizzato sia aI cristiani che non devono abdicare alla propria missione e tradizione, e alla loro visibilità, sia ai laici, specialmente a quelli dell’Ulivo, che hanno bisogno dell’apporto della tradizione cristiana.
A questi ultimi ricorda sulla scorta del teologo domenicano Yves Congar, che la tradizione va intesa come “ principio di continuità e di identità di una spiritualità attraverso il succedersi delle generazioni”, concetto di non facile interpretazione sul quale Scoppola ha lavorato storicamente tutta la vita, unitamente alla ricerca su soggettività e libertà personale. 6
L’intervista su “la democrazia dei cristiani”, venne stesa a cavallo tra il 2004 e il 2005, in cui Scoppola soffre – ne ho testimonianza diretta- per il rapporto tra il mondo cattolico e la Chiesa e l’Ulivo, rapporto che egli vede allentarsi, smottare fino al punto non solo di venire meno, ma di porsi contro ll partito nuovo che sta nascendo.” La nostra riflessione sulla democrazia dei cristiani – si legge nella prefazione della seconda edizione – non esclude e anzi in qualche modo legittima la scelta di alcuni cattolici democratici di spendersi per un partito socialdemocratico e riformista, ma sembra difficile che questa scelta possa rappresentare la via maestra per la conquista del consenso di larghi settori della base cattolica e per la riconquista oggi quanto mai necessaria della Chiesa gerarchica a posizioni meno legate a suggestioni conservatrici”.
“Quello che è avvenuto in Francia, con figure di grande prestigio come un Delors –dirà ancora più nettamente successivamente- non può avvenire in Italia per tre ragioni che si riassumono in tre parole: per la forza maggiore nel nostro paese della tradizione politica cattolico-democratica, per la debolezza della tradizione socialdemocratica e per il peso della eredità comunista nella nostra storia”che, secondo lui, come aveva insegnato nel corso universitario del 1995-19967, nonostante l’originaria cultura negativa di matrice rivoluzionaria e giacobina. ha i tratti di una religione secolare, riscontrabile nella tensione morale e civile dei militanti.

La Rete “I cittadini per l’Ulivo”

Nel convegno-seminario che segna l’inizio della Rete “I cittadini per l’Ulivo” di cui Scoppola era di fatto il presidente, tenutosi a Chianciano il 26-27 ottobre 2002, egli svolge la relazione principale che significativamente si intitola “L’Ulivo che vogliamo”.
“ L’intuizione originaria. da cui l’Ulivo è nato – dice- non è stata solo quella di dar vita ad un cartello elettorale per far fronte e battere il centrodestra di Berlusconi, ma di costruire un valido soggetto per il bipolarismo italiano nascente” E sottolinea “Non deve essere una riedizione del centro sinistra e tanto meno della solidarietà nazionale, ma un soggetto politico nuovo…che si fonda su una doppia ipotesi: fine dell’unità politica dei cattolici, fine dell’unità a sinistra”.
A mio parere “I cittadini per l’Ulivo” , che non hanno goduto della necessaria attenzione da parte dei mezzi di informazione, sono stati considerati da Scoppola un laboratorio sperimentale della democrazia dei cittadini. Sono durati cinque anni, dal 2002 al 2007, allorché è nato il PD. Nel momento di maggiore successo la Rete è stata composta da oltre 456 comitati territoriali e circa 15 mila aderenti volontari,diffusi in tutto il paese. Aveva un obiettivo di fondo, indicato con nettezza, nel manifesto costitutivo: dare vita ad una assemblea costituente dell’Ulivo, che doveva essere composto da tre pilastri: i partiti ulivisti, gli eletti ai vari livelli, le realtà associative dei cittadini.
A questo fine promossero parecchie iniziative anche innovative, quali le primarie per la scelta degli incarichi istituzionali, in particolare quelli monocratici, (la prima proposta è stata presentata nel seminario Chianciano, poi ripresa da altri), l’albo degli elettori, con tanto di regolamento, insieme a Libertà e Giustizia una proposta di legge di iniziativa popolare per la riforma elettorale. Più volte si fecero promotori del coordinamento tra le varie realtà associative e movimenti, compresi i “i girotondi” e tra questi e i partiti ulivisti.
I comitati de “I cittadini per l’Ulivo” erano composti anche da iscritti ai partiti, non soltanto da non iscritti, anche se questi erano in larga maggioranza. Questa loro peculiarità dava ad essi un ruolo di cerniera tra i partiti e i movimenti , ovviamente sulla base del processo di costruzione del soggetto politico nuovo. L’altra peculiarità consisteva nel fatto che la forma partito che essi preferivano era la federazione, con un coinvolgimento molto intenso delle realtà di base, non il partito unico e tanto meno verticistico.
Scoppola parlava con lo stesso linguaggio e la stessa autorevolezza ai partiti e ai maggiori esponenti di essi ( residence Ripetta, 12 aprile 2003) e ai girotondi (teatro Vittoria, 26 gennaio 2004), sottolineando agli uni che “l’Ulivo non poteva attendere” e agli altri,, incerti o addirittura avversi, che non c’era progetto senza soggetto” e che “ il progetto dell’Ulivo esigeva la costruzione di un soggetto politico nuovo”, che avesse una cultura di governo, cioè fosse in grado non soltanto di dire dei no, ma di dire dei sì con proposte concrete.
Scoppola, anche grazie alla Rete dei CpU, non soltanto per l’amicizia con Romano Prodi, fu chiamato a svolgere un ruolo di leadership in più occasioni, in particolare, nel 2003, per dare vita al processo di Costituente dell’Ulivo, che poi fu arenato dai partiti; e nel febbraio 2005, quando venne formata la federazione dell’Ulivo. Ma anche questa durò lo spazio di un mattino al Teatro Brancaccio di Roma, anche perché, come sottolineò subito Pietro, lo statuto fondativo non teneva nel dovuto conto le realtà associative di base. Dopo le elezioni regionali del 2005, in cui ci fu una aspra contesa tra i partiti dell’Ulivo, specialmente tra DS e Margherita; e soprattutto dopo le primarie dell’ottobre 2005 che videro il grande successo di Romano Prodi,ci fu una improvvisa e probabilmente affrettata accelerazione nella costruzione del PD verso il partito unico. Scomparve la federazione e insieme ad essa anche, praticamente, l’Ulivo.

Il PD, partito ipotetico

Scoppola venne chiamato a contribuire alla nascita del PD. E ancora una volta rispose con la consueta generosità. Portando nella discussione un contributo sicuramente originale nella relazione che tenne al seminario di Orvieto del 7 ottobre 2006. Il PD, se vuole avere un futuro, non deve fondarsi solo sul programma, pure indispensabile, ma avere un disegno storico, quasi una missione di riforma democratica e morale del paese. La sua preoccupazione dominante è la crisi di identità umana, personale e comunitaria, e specialmente la libertà delle nuove generazioni sempre più dipendenti e subalterne dinanzi “al determinismo frutto del sistema economico e della rincorsa tecnologica”. ” Crisi di identità e questione democratica, dice, determinismo e libertà, paura e speranza di futuro, solitudine e amicizia sono queste alcune delle dicotomie sulle quali un partito nuovo dovrebbe costruire la sua identità e il suo progetto”. Ma non si ferma alla enunciazione dei valori, non esita a indicare proposte concrete che concernono la necessità di un nuovo modello di sviluppo economico e sociale (questa è l’espressione che usa), nel quale siano essenziali, accanto alla pace e alla convivenza civile, il rispetto della natura e dell’ambiente e l’attenzione alla povertà e alla giustizia sociale e all’equità, in Occidente e nel mondo; e la costruzione di un Welfare rinnovato e riformato in cui conta più dello Stato la solidarietà della comunità e dell’amicizia. Al centro di ogni politica – così termina- ci deve essere la dignità della persona umana.
Infine il PD deve essere nuovo anche nella forma. Per due ragioni sostanziali: il rapporto tra laici e cattolici che richiede un partito “realmente diverso”; il rapporto con i movimenti e le associazioni di base che cercano di animare “una società civile debolissima”, “La democrazia non può vivere se il terreno è piatto – ripete con Alexis de Tocqueville, uno degli autori preferiti- se il terreno non è increspato dalle associazioni, dalle mille iniziative di cittadinanza libera che sono quelle che creano il tessuto vivo della democrazia”.8
Insiste su una riforma elettorale che dia più potere ai cittadini e sull’applicazione dell’articolo 49 della Costituzione , che stabilisca i criteri sulla democraticità della vita interna, sulle selezione delle candidature nei ruoli istituzionali, sulla regolarità delle adesioni, sulla trasparenza e pubblicità dei finanziamenti e dei bilanci. Senza queste riforme non può nascere un PD realmente nuovo.
La forma partito da Scoppola preferita è una forma aperta, basata non più sulle tessere, un modello sorpassato e spesso inquinato dal correntismo e dal clientelismo, ma su realtà associative basate su obiettivi, su progetti, su iniziative anche specifiche, sebbene non vada esclusa l’adesione individuale.
Anche per questo, non solo per i motivi detti in precedenza, esclude il modello socialdemocratico. “ E’ un modello vecchio e comunque estraneo al problema che ho riassunto nella formula del compimento del processo fondativo della democrazia”. “Estraneo” è un aggettivo forse troppo pesante, ma a me pare chiaro che cosa vuole dire Scoppola: è avverso al partito-apparato, o meglio al partito-Stato, che è espressione di una sovraordinazione della politica rispetto alla altre funzioni sociali.
Più aperto è sulla dimensione internazionale ed europea del nuovo partito, che comunque dovrà essere deciso dagli aderenti , non prima, ma dopo, cioè una volta che esso si sia costituito e stabilizzato.
Dopo il seminario di Orvieto è nominato nel comitato dei dodici saggi che ebbero il compito di redigere il manifesto costitutivo del PD. Era incerto se accettare o meno, come mi confessò, e comunque , al termine dei lavori, ne uscì parzialmente insoddisfatto.

Nell’ultimo discorso pubblico, dedicato proprio a quel Manifesto e rivolto ai cittadini per l’Ulivo, dice con amarezza: “Non credo alla formuletta dei riformismi che si incontrano perché di riformismo in questo paese ce ne è stato poco per molti decenni: prima è stato bloccato dal conflitto ideologico con il comunismo, poi, nel centrosinistra, è stato travolto dalle logiche di partito. Il riformismo italiano più che una espressione di grandi e forti tradizioni politiche è stato un fatto di élites illuminate….in questa forma, come fenomeno culturale, è riemerso dopo il crollo delle ideologie e contribuisce oggi indubbiamente ad offrire utili elementi al PD. Ma da solo sarebbe poca cosa, certo insufficiente a dare vita ad un partito nuovo”. Ma la formuletta ha resistito ed è rimasta.
Alla fine si chiede: “ Il PD ha radici profonde nella storia del Paese o è una invenzione estemporanea e contingente senza radici e perciò senza futuro?” E ancora: “ Nella storia del Paese vi sono motivi profondi di resistenza, di incompatibilità, rispetto al progetto del PD?”
E soprattutto: c’è una leadership autorevole in grado di guidare un processo così difficile?Domande tanto più angosciose per Scoppola perché riguardano non soltanto il nascente PD, ma la transizione italiana, che dal delitto Moro in poi si è contorta su se stessa senza trovare una via di uscita, lungo un declino del paese e delle sue classi dirigenti che pare inarrestabile. Una transizione non dalla prima alla seconda repubblica o persino alla terza come si sostiene oggi, formule che Scoppola non amava e non utilizzava, ma la messa in opera di un disegno, chiaro e credibile, di superamento della crisi italiana nell’ambito di una Europa sempre più integrata e federale, e di compimento della democrazia costituzionale, di cui il PD sia protagonista.

Partito ipotetico ha definito il PD Edmondo Berselli al momento della nascita.

A cinque anni dalla nascita i nodi restano, a partire da quelli posti con lucidità da Scoppola: il disegno incompiuto sulla transizione italiana, il rapporto tra la sinistra e i cattolici e in particolare con la gerarchia della Chiesa, la scelta , ingarbugliata e contorta nell’attuale statuto, tra il modello socialdemocratico e/o una forma più affine al partito democratico statunitense, l’ascolto e la partecipazione della società civile e dei movimenti, l’incerta dimensione internazionale. Le primarie delle settimane scorse, durante le quali si è svolto per la prima volta un confronto reale di idee e di leadership, hanno fatto emergere un’ampia e importante identità elettorale. Ma i nodi politici restano.
“Sì, la politica mi ha appassionato, non strumentalmente come mezzo per un fine diverso dalla politica stessa, ma come politica in sé, come disegno per il futuro, come valutazione razionale del possibile e come sofferenza per l’impossibile, come chiamata ideale dei cittadini a nuovi traguardi, come aspirazione a una uguaglianza irrealizzabile , che è tuttavia il tormento della storia umana. Mi ha interessato la politica per quello che non riesce ad essere molto più di quello che è”. Questa confessione si trova in “ Un cattolico a modo suo” ed è stata scritta, “tra una chemioterapia e l’altra” nell’ estate.

Pietro Scoppola è morto il 25 ottobre 2007, due giorni prima che il PD nascesse ufficialmente.

1 “Il manifesto del PD e le attese dei cittadini, 17 marzo 2007. Tutti gli interventi dal 2002 al 2007 sono tratti da P.Scoppola, La democrazia dei cittadini, a cura di i.Ariemma, Ediesse 2009 .

2 “Le radici profonde della Costituzione e il no al referendum, 21 maggio 2006, .

3 Tzsvetan Todorov , I nemici intimi della democrazia, Gaznati, 2012

4. P.Scoppola, Un cattolico a modo suo, Morcelliana, 2008, p 54

5 I popolari e il PD,29 settembre 2006

6 Agostino Giovagnoli, La chiesa e la democrazia, Laterza 2001, p 91

7 .P.Scoppola, Le lezioni del Novecento, curato da Umberto Gentiloni, Laterza 2010 p.99

8 Citato da P.Scoppola, in “Cambiare il passo”, 2 dicembre2006 . La citazione è da “Democrazia in America”.

* L’autore è dirigente politico e giornalista. Ha fondato nel 2002 con Pietro Scoppola l’associazione “Cittadini per l’Ulivo”

 

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