Tutti i “no tu no” che Monti dovrà dire

17 Dic 2012

L’unica consolazione è che sapremo presto come andrà a finire, visto che la marcia verso le elezioni ha tempi strettissimi. Ma per il resto, nonostante la confusione sia grande sotto il cielo, la situazione è tutt’altro che eccellente. Perché nella politica italiana, da sempre, la confusione stimola la fantasia e partorisce bizantinismi d’ogni sorta. Mario Monti sembrava lontano anni luce da questo italico vizio…

L’unica consolazione è che sapremo presto come andrà a finire, visto che la marcia verso le elezioni ha tempi strettissimi. Ma per il resto, nonostante la confusione sia grande sotto il cielo, la situazione è tutt’altro che eccellente. Perché nella politica italiana, da sempre, la confusione stimola la fantasia e partorisce bizantinismi d’ogni sorta. Mario Monti sembrava lontano anni luce da questo italico vizio, e invece oggi ci si trova immerso fino al collo. Forse perché è sinceramente preoccupato di non far perdere la rotta al paese. Forse perché le pressioni internazionali pesano sul suo amor proprio. O forse per tutte queste ragioni e altre ancora. Di fatto, l’ipotesi più gettonata in queste ore è che il premier trovi il modo di essere presente alle prossime elezioni con un manifesto di intenti che faccia emergere consensi e dissensi reali attorno alla sua famosa “agenda”.
Una cosa va chiarita subito: se il contesto italiano fosse normale, sarebbe bello avere un uomo come lui a capo di un centro destra pulito, che compete con le armi del programma contro un centro sinistra guidato da Bersani. Si potrebbe discutere di cose concrete e scegliere in base a queste il campo in cui schierarsi, senza temere che la vittoria avversaria possa mettere in pericolo la democrazia. Ma il nostro contesto non è normale: vent’anni di berlusconismo hanno intossicato l’aria e avvelenato i pozzi. Guarire sarà un processo né facile né rapido.
Il Professore, se vuole essere presente alle elezioni anche per interposti Casini o Montezemolo, dovrà schivare alcuni rischi. Prima di tutto quello di imbarcare personaggi controproducenti. Non vale quasi la pena di citare Berlusconi, che Monti sa benissimo di dover tenere lontano. Non solo il Cavaliere suscita un sentimento di disprezzo planetario, ma anche in Italia il suo sostegno rischia di essere mortale. Quale credibilità può avere presso l’elettorato un personaggio che prima ti sfiducia e poi ti candida, che dopo averti candidato continua a farti la guerra attraverso i suoi giornali, che giura di condividere il tuo programma e poi annuncia sulle sue tv che abolirà l’Imu, dimenticando furbescamente di aver firmato lui in Europa l’impegno ad introdurla? Suvvia.
L’unico modo che avrebbe Berlusconi per aiutare Monti è quello di andarsene alle Cayman, o nel resort keniano di Briatore, e restarci fino alla fine dei tempi. Non lo farà.
Oltre Berlusconi, però, ci sono molti dei suoi pretoriani che adesso sgomitano intorno al Professore. Ed è un elenco da brivido: si va da Cicchitto a Brunetta, da Alemanno a Formigoni, dalla Polverini a Stracquadanio. E chi più ne ha più ne metta. Il premier dovrà dire molti “no tu no” per tener lontani i troppi reduci in cerca di riciclaggio, gente che fa perdere voti invece di portarne.
L’altro rischio per Monti è di mettere in piedi un cartello di forze rispettabili ma di non ottenere un successo elettorale significativo. L’ipotesi è tutt’altro che peregrina. Se la lista intestata al premier non dovesse comprendere il Pdl, la sua base elettorale si ridurrà sul versante destro, perché comunque Berlusconi riuscirà a raccogliere, secondo i sondaggi, un 15-16 per cento. E sul versante sinistro potrà strappare qualcosa al Pd, ma difficilmente si tratterà di numeri significativi. Il risultato potrebbe essere deludente. Le stime sono ballerine: si va dall’8 al 20 per cento. Ma se anche fosse il 20, comunque per Monti si tratterebbe di una diminutio, non certo di un trionfo. Certo, poi magari potrà trattare col Pd presumibile vincitore. Ma non è una grande consolazione.
Si dice che l’intento vero del Professore sia di mettere in piedi un’operazione alla Kadima, il partito israeliano che riunì pezzi di laburisti e di conservatori per far fronte alla sfida palestinese. Lo spirito emergenziale c’è nell’Italia in crisi come c’era allora in Israele, ma queste alchimie non funzionano troppo bene. Infatti Kadima prima ha vinto, ma poi ha perso e oggi è un partito in dissoluzione. In Italia l’idea di smontare questo bipolarismo forzoso per costruirne uno sano è saggia, ma richiederebbe molto più tempo di quello oggi disponibile.
E tuttavia qualcosa di buono c’è in tutto questo. Se Monti, in persona o indirettamente, sarà presente nella contesa elettorale, lo scontro, come molti hanno già detto e scritto, sarà tra lui e Bersani. Il candidato premier del Pd ne soffrirà. Ma più di lui soffrirà Berlusconi, costretto a recitare la parte di un caratterista petulante e marginale. Sarà interessante vedere come si comporteranno i tg Mediaset e quali share otterranno le prevedibili esternazioni-fiume del Cavaliere. E i faccia a faccia a tre? Basta immaginarli per regalarsi un po’ di buonumore.

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