Dalla parte di Umberto Ambrosoli ricordando il padre Giorgio

29 Nov 2012

A me, cronista di tanti putridumi che si sono svolti nei sotterranei d’Italia, è capitato per anni di pensare che la nostra società si stesse suddividendo un po’ elementarmente in due schieramenti: da una parte quelli per Michele Sindona, il bancarottiere alleato con politici potenti, mafiosi, esponenti della finanza vaticana, dall’altra parte, quelli per Giorgio Ambrosoli, il padre di Umberto, fatto assassinare da Sindona sul marciapiede sotto casa.

Ambrosoli può vincere. Anzi, deve vincere. Perché c’è ancora un conto aperto con la storia avvelenata del nostro Paese. A me, cronista di tanti putridumi che si sono svolti nei sotterranei d’Italia, è capitato per anni di pensare che la nostra società si stesse suddividendo un po’ elementarmente in due schieramenti: da una parte quelli per Michele Sindona, il bancarottiere alleato con politici potenti, mafiosi, esponenti della finanza vaticana, sparsi nel mondo e privi di limiti morali, e, dall’altra parte, quelli per Giorgio Ambrosoli, il padre di Umberto fatto assassinare da  Sindona sul marciapiede sotto casa, in una notte d’estate a Milano, col suo carico di luminosi princìpi, portatore di valori assai forti, dall’onestà limpida al profondo e indomito senso del dovere. Nel mezzo, tra i due schieramenti, tutti quelli (e sono stati tanti) che, per pavidità o disinteresse o convenienza non hanno mai voluto capire fino in fondo lo scontro e  hanno scelto una colpevole neutralità che, di fatto, ha lasciato prosperare, non troppo disturbati, i manigoldi. Ho seguito, come giornalista prima a Panorama, quando era diretto da Lamberto Sechi, e poi all’Espresso di Livio Zanetti, i fatti d’Italia avendo dentro di me queste convinzioni.

Avevo conosciuto personalmente Giorgio Ambrosoli e mi era parso di capire le sue preoccupazioni e le sue soddisfazioni, mentre sulla lavagna nell’ufficio alla banca Privata andava giorno per giorno ricostruendo gli sporchi percorsi dei denari affidati in buona fede da tanti cittadini alle banche di Sindona. Ci eravamo intesi, con Ambrosoli: mi piacevano le sue battute, mi colpiva la sua lucidità e, soprattutto, apprezzavo il suo coraggio e la sua determinazione di uomo solitario e perbene. Quando fu assassinato temetti che lo scontro che avevo sempre presente dentro di me fosse concluso, con la vittoria della parte ignobile. Poi è venuta l’amicizia sempre più profonda con Umberto, con la sua mamma, con i fratelli, con il maresciallo Silvio Novembre, generoso e integerrimo collaboratore di Ambrosoli. E ho capito che Sindona con tutti i suoi puzzolenti alleati e complici non poteva, non doveva vincere. Sono stati anni di lotta, anche di solitudine, di fatiche e di ricerche. Non ho mai potuto dimenticare che nessuno degli uomini di governo, di alto potere pubblico, escluso il governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi, partecipò ai funerali di Giorgio Ambrosoli e gli rese il dovuto omaggio.

Via via negli anni il profilo di Sindona è andato sbiadendo, sostituito da agguerriti seguaci, accomunati dalla voglia di non rispettare in alcun modo le regole. Anzi, di costruirsele a loro piacimento e godimento. E sempre, continuo, lo scontro con i pochi che non volevano dimenticare l’insegnamento di Ambrosoli. Così fino a oggi.

La candidatura di Umberto alla guida della Lombardia rappresenta, lo voglia o non lo voglia l’interessato, un alto, spero l’ultimo capitolo, di quella lunga storia. Nessuno vuole caricare il giovane Ambrosoli di un peso così grosso: lui ha da solo la capacità di guidare, capire, scegliere. E’ bravo, ha dentro di sé i princìpi e la preparazione giusta, è onesto e intelligente. Può e deve vincere perché merita, al di là del suo cognome, di essere scelto, soprattutto dopo le squallide turbolenze lombarde del passato regionale recente. Ai miei occhi di cronista già il suo impegno in politica è oggettivamente la significativa tappa di un percorso lungo e drammatico dove alla fine mi auguro che inaspettatamente sia davvero il giusto ad aver ragione. In bocca al lupo, Umberto.

* L’autore è stato giornalista prima di Panorama e poi dell’Espresso

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