Da Sderot, terra della paura

19 Nov 2012

L’incontro a Sderot con Nomica Zion dell’associazione “The Other Voice” ha il contorno della paura.
Non tanto perché, come tutti i giorni, alcuni missili “cassan” erano arrivati sparati dalla vicinissima striscia di Gaza la notte precedente il nostro arrivo e nella mattinata erano già suonati tre volte gli allarmi.

Sono da poco tornato dalla “missione di Pace in Israele e Palestina” che la Tavola della Pace ha organizzato ai primi di novembre: di fronte alle notizie allarmanti che provengono da quei luoghi, sento il bisogno di condividere una testimonianza.

L’incontro a  Sderot con Nomica Zion  dell’associazione “The Other Voice” ha il contorno della paura.
Non tanto perché, come tutti i giorni, alcuni missili “cassan” erano arrivati sparati dalla vicinissima striscia di Gaza la notte precedente il nostro arrivo e nella mattinata erano già suonati tre volte gli allarmi.
Parlo di una  paura che per fortuna non ci appartiene, che noi non conosciamo, ma che respiri immediatamente e capisci che per gli abitanti di questo paese è la vita quotidiana: dormi con la paura, mangi con la paura, parli, lavori, giochi con la paura: nel parco giochi dei bambini nel quale ci portano girando per il paese c’è un grande bruco mela verde, ma è un rifugio nel quale sanno che devono scappare se sentono la sirena dell’allarme.
Ma andiamo con ordine.
Nella mattinata s’intrecciano telefonate: nella nottata tre missili erano caduti nei paraggi, aerei israeliani erano passati bassi sul paese ed avevano scaricato poco più in là (Gaza è a due/tre chilometri) su qualche “obiettivo strategico”  i loro missili di precisione e nelle prime ore del mattino già tre volte era risuonato l’allarme.
Si decide di andare e quando arriviamo Nomica, che ci accoglie in strada poco lontani dal suo “Kibbuz di città”, ci ringrazia perché la nostra presenza “le dà coraggio” ( dice proprio così!) e dopo un giro a piedi nel paese  per mostrarci i rifugi che ogni casa si è costruito accanto, la nuova scuola che bassa, con un tetto in cemento armato enorme e finestrelli non apribili dotati di vetro antisfondamento, pare più una prigione che un luogo didattico, il parco giochi a cui accennavo prima.
Poi ci propone di andare sulla collina poco distante da cui si  vede la città di Gaza con i suoi edifici moderni ed alti e, sulla destra, il “muro” che la chiude e la divide da Israele fino al mare.
“Io, dice Nomica facendoci questa proposta, oggi non avrei mai trovato il coraggio di andare sulla collina da sola, ma con voi posso farcela: la vostra vicinanza mi aiuta a vincere la paura ed io vi aiuto a vedere, a capire….”
Alla collina ci si arriva per una strada stretta in un primo tratto asfaltata, poi una strada di terra e nel percorso si passa davanti ad un grande kibbuz di coloni, completamente circondato da muri e filo spinato, con guardie armate all’ingresso e, poco dopo, da una caserma militare da cui provengono incessanti i colpi di fucile che si sparano per addestramento nel poligono di tiro.
In cima ci sono installazioni militari, alcune in disuso, ma nessun controllo particolare: la città di Gaza  si mostra poco lontana, preceduta da una “terra di nessuno” vuota e desolata, resa volutamente arida ed incolta,  con un filo spinato elettrificato nel mezzo ed in cui nessuno può avventurarsi pena la certezza di “essere sparato” .
E’ prossimo il tramonto e guardiamo in grande silenzio col sottofondo degli spari provenienti dalla caserma: fotografiamo nella luce incerta come dev’essere la vita in questo posto dimenticato da Dio (La Terra Santa!) e ne ricaviamo delle immagini sfuocate, proprio come è fuori fuoco la storia quotidianamente drammatica di questi territori e di questa gente.
Si torna in paese e ci ritroviamo nell’ampio soggiorno, dove Nomica ha preparato una sedia per tutti, e comincia a raccontare…..sembra un fiume in piena e chi ci traduce fatica a finire la traduzione tanto è il suo bisogno di parlare.
Prima ancora delle tante cose che ci racconta, ci colpisce questa sua ansia di dire, ci commuove la sua “paura” che più ancora che dai missili , sembra  prodotta dalla perdita di speranza.
Lei, israeliana, con la sua piccola comunità vive da molti anni in questo paese spesso alle cronache appunto perché  bersagliato dai missili che vengono lanciati dalla striscia di Gaza, e oltre a condividere la paura di tutti, deve far fronte anche all’isolamento, se non alla contestazione, dei suoi stessi compaesani: la sua voce pacifista non è affatto ben vista.
“ quando sulle nostre teste passano gli elicotteri o i caccia che vanno a bombardare nella striscia di Gaza, molti dei miei compaesani applaudono, ma io mi sento più triste perché so che la pace si allontana ogni volta di più, mi sento sempre più in ansia perché quelle incursioni provocano lutti di là dalla frontiera senza dare a noi nessuna maggior sicurezza, mi sento impotente perchè si perpetua una situazione in cui non si sa ormai nemmeno capire chi attacca o chi risponde”.

“ Ho scritto molte lettere al Presidente e al Primo Ministro del mio paese per dire che questa scelta non produce alcuna sicurezza per noi cittadini, che anni ed anni di questa politica non ha fatto altro che allargare l’odio, le divisioni, i rancori, le vendette, le ritorsioni allontanando ogni possibile dialogo, compromesso, convivenza e serenità, ma inutilmente…”.
“ Quando ci fu l’operazione “piombo fuso” ho vissuto in diretta con amici di Gaza la loro tragedia sotto i bombardamenti: sentivo le esplosioni sia dalle finestre della mia casa, sia attraverso il telefonino, sentivo i pianti dei bambini, il terrore nelle voci degli adulti…..provavo disperazione quando la mia chiamata rimaneva senza risposta o quando qualcuno non chiamava più….”.

Vorrei sentirla oggi, Nomica, mentre i telegiornali riferiscono dei carri armati israeliani che si stanno ammassando alle frontiere, dei 75.000 riservisti che sono stati richiamati, degli aerei ed elicotteri che sorvegliano e sparano ( probabilmente proprio accanto al sua casa di Sderot sta avvenendo tutto questo), dei missili palestinesi che raggiungono ormai città e villaggi che finora sembravano “sicuri”.
Mi sembra quasi impossibile che qualche giorno fa fossi in quei luoghi a sentire quelle parole, a condividere quella voglia e quel bisogno di pace: ancora una volta la speranza di tanta gente di buona volontà sembra sconfitta da una storia  che si  ripete e  perpetua la sofferenza di interi popoli in nome di logiche di un Potere i cui fini non sono certamente il bene comune.

* L’autore è coordinatore di LeG Mantova

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