Sistema politico a rischio Grecia

29 Ott 2012

L’unica certezza, ora, è che a 5-6 mesi dal voto per il Parlamento, siamo l’unico paese civile, occidentale e democratico che non sa né quali partiti i cittadini troveranno indicati nella scheda, né – ed è ancora peggio – con quale sistema elettorale si andrà a votare.

E adesso? Cos’altro può accadere in questo sventurato paese dopo la delirante conferenza stampa e il “ritorno in campo” del vecchio Berlusconi, antiMonti, antieuropeo, estremista, all’attacco della Germania, della Merkel e della “dittatura” dei magistrati? Se davvero il Cavaliere farà mancare la fiducia al governo Monti nelle prossime settimane (ma forse il suo partito non lo seguirà in quest’ultima follia), si potrebbe precipitare verso le elezioni a febbraio. Nulla è chiaro e prevedibile, ora. E una eventuale nuova legge elettorale che sostituisca il ‘porcellum’ forse non vedrà mai la luce, in questa situazione di massima confusione, con voci e grida inconsulte ad ogni angolo della casa politica.
Al Senato, la bozza Malan (Pdl) sul sistema di voto andrà in aula, per una possibile approvazione, solo fra una decina di giorni, nella prima decade di novembre. I tempi per il varo della legge (dopo palazzo Madama le disposizioni devono passare il vaglio – molto laborioso e incerto – di Montecitorio) sono ormai quasi scaduti, pur se vogliamo tenere fermo l’appuntamento dei primi di aprile per il voto.
In questo caso le Camere saranno sciolte entro la metà di febbraio. Quindi restano pochissime settimane (al netto del periodo natalizio) per la discussione nei due rami del Parlamento.
Il testo di Malan attorno al quale ancora si lavora, non raccoglie il vasto consenso che sarebbe opportuno e necessario per cambiare una legge elettorale. I democratici si esprimono contro la proposta, che  prevede un sistema proporzionale corretto, con sbarramento al 5 per cento, 2/3 dei seggi assegnati con le preferenze, un terzo con listino bloccato e un premio di governabilità del 12,5 per cento (cioè 76 seggi alla Camera e 37 al Senato) alla coalizione vincente.
Tuttavia, il componente della commissione Affari costituzionali a Montecitorio Pino Pisicchio (Api), già vicepresidente della Giunta delle elezioni, osserva che  “il premio è solo un piccolo regalo, che non risolve il problema della governabilità…”. Possiamo spiegare il perché, attraverso l’analisi del prof.Roberto D’Alimonte (sul ‘Sole 24 Ore’), esperto di sistemi elettorali, che si esprime in base all’ipotesi Malan. L’unica coalizione oggi in gara è quella formata da Pd-Sel-Psi: “I sondaggi” osserva D’Alimonte, “la danno intorno al 33 per cento dei voti. Senza voti dispersi avrebbe 255 seggi. Basterebbe l’aggiunta dell’Udc per arrivare a 316? E basterebbe una maggioranza così risicata per governare in una situazione così difficile?”. Spiega ancora il tecnico (il quale valuta anche il peso dei voti ‘sprecati’, cioè dati alle liste che non prenderanno seggi) che, per come “è strutturato, il premio Malan non è del 12,5 per cento, ma molto più basso”. In concreto, per  avere la maggioranza “la coalizione deve avere il 45 per cento dei voti. Se ne prendesse anche solo il 44, si fermerebbe a 314 seggi, cioè due seggi sotto la soglia necessaria”. Ricorda ancora D’Alimonte che in Francia “con un livello di frammentazione simile al nostro, il premio grazie al quale il partito socialista governa è pari a 23 punti percentuali, cioè la differenza tra il 29 per cento dei voti conquistati e il 52% dei seggi nell’Assemblea nazionale. Il premio Malan è circa un terzo”. Ma a Parigi le elezioni sono con quel sistema maggioritario a doppio turno che il politologo  Giovanni Sartori definisce “tanto semplice che non si farà mai” in Italia.
Da noi, attualmente,se resterà in vigore la famigerata legge ‘porcellum’ di Calderoli (con le liste bloccate e i nominati), la coalizione vincente, qualunque sia la percentuale di voti ottenuta, avrà alla Camera il 54 per cento dei deputati. Quindi viene garantito un minimo di 340 seggi.
Ma sull’organizzazione futura del nostro sistema politico pesano, oltre al ritorno in campo di B., anche altri motivi di incertezza: quali saranno le reazioni dei partiti ai risultati delle elezioni siciliane di ieri? Come sarà configurato il Centro? Con quali e quante liste (Casini, Montezemolo)? E il Pdl, il centrodestra e la Lega, come usciranno dalla crisi? E Vendola quali decisioni prenderà dopo la sentenza del 31 ottobre? Come si concluderanno le primarie del Pd?
L’unica certezza, ora, è che a 5-6 mesi dal voto per il Parlamento, siamo l’unico paese civile, occidentale e democratico che non sa né quali partiti i cittadini troveranno indicati nella scheda, né – ed è ancora peggio – con quale sistema elettorale si  andrà a votare. Incredibile. E poi pretendiamo che all’estero abbiano fiducia in noi (e nei nostri titoli di Stato)…!
Finora abbiamo guardato alle possibili conseguenze del voto per la Camera dei deputati. Al Senato la situazione di precarietà è addirittura più grave rispetto a Montecitorio. A palazzo Madama infatti si applica l’articolo 57 della Costituzione: “Il Senato è eletto a base regionale….la ripartizione dei seggi fra le Regioni…si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento….””. Ma il calcolo dei voti, e anche l’attribuzione del premio di maggioranza, Regione per Regione (anzichè unitariamente su base nazionale), crea discrasie e diversità, per cui in sede locale può ottenere meno seggi un partito che invece nei conteggi su tutto il territorio, alla Camera, è vincente. Così una maggioranza sicura a Montecitorio è a rischio, o più debole, al Senato. Come è già accaduto.
Tanto che, ci spiega il relatore Pd sulla legge elettorale a palazzo Madama, Enzo Bianco, si sta lavorando su una interpretazione ‘evolutiva’ dell’articolo 57 (che non richieda una modifica costituzionale), e che sia meno limitativa di quella finora applicata. Per cui “anche al Senato il premio di maggioranza sarebbe dato – ecco il  punto – su base nazionale e poi ripartito alla prima coalizione, regione per regione. Abbiamo consultato molti giuristi e ci hanno rassicurato”. In questo modo, forse, si potrebbe avere uniformità di risultato tra Camera e Senato. Ma se si andrà al voto col ‘Porcellum’ la norma non muterà, perché è del tutto improbabile che il centrodestra accetti di intervenire su questo profilo, agevolando in pratica a palazzo Madama la vittoria probabile del centrosinistra.
Infine c’è un’altra incongruenza, grave, nella legge Calderoli e che è stata segnalata più volte, in via incidentale, in sentenze della Corte Costituzionale: non esiste una soglia minima in percentuale di voti, per ottenere il premio di maggioranza. Si può vincere con il 25-30 per cento dei consensi e avere lo stesso i 340 deputati previsti.
La Consulta nella sentenza numero 15 del 16 gennaio 2008 (presidente Bile, redattore Silvestri) osserva che la Corte non può esimersi “dal dovere di segnalare al Parlamento l’esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o seggi”. Naturalmente nulla è stato fatto per seguire questo fermo monito della Corte e solo adesso, in extremo limine della legislatura, ci si pone il problema.
Se il dibattito sulla nuova legge elettorale finirà arenato al Senato o alla Camera (se arriverà in questa sede, prima o poi), non si può neppure escludere che il Capo dello Stato decida di inviare un messaggio al Parlamento, nel quale potrebbe almeno invitare i legislatori a dare ascolto alla Consulta modificando la Calderoli e imponendo quindi una soglia minima per poter godere del premio di governabilità.
E comunque non è neppure detto che il Parlamento sarebbe in grado di aderire al consiglio!
In realtà ci sembra che il sistema politico nazionale sia avviato verso la palude dell’ingovernabilità.C’è il rischio di un futuro Parlamento frantumato e balcanizzato.
In questo caso uno scenario tipo Grecia purtroppo sarebbe possibile, con il ritorno alle urne dopo sei-otto mesi.

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