— «Neppure il fascismo aveva previsto una disciplina del genere. Il codice penale prevede lo schermo del direttore responsabile e tutto, da allora, è riconducibile a quella figura. Nel momento in cui però si estende la responsabilità all’editore, allora il sistema di garanzie e di diritti, il delicato equilibrio che è alla base del diritto di informare e di essere informati rischia di essere compromesso». Il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky nutre più di una perplessità sul testo che corre spedito in commissione al Senato e che rischia di trasformarsi in una nuova edizione della legge-bavaglio. E sono tanti i nodi da passare al setaccio.
Tutto parte dal caso Sallusti, Professore. Dal direttore del «Giornale» che rischia la galera per un articolo diffamatorio.
«Lasciamo da parte per un momento la libertà di stampa con la «L» maiuscola. Parliamo del caso specifico. La pena detentiva è prevista dalla legge penale e il problema dell’adeguatezza della pena è annoso, non nuovo. Va detto, però, che nel caso dell’articolo in questione non si tratta di opinioni, ma dell’attribuzione di fatti determinati risultati palesemente falsi. Il reato consiste nell’omessa vigilanza circa un fatto che non riguarda la libertà di opinione. Si può discutere se il carcere sia la misura più appropriata».
Ecco appunto, lo è?
«Siamo di fronte a una valutazione politica, di opportunità: stabilire se il carcere è adeguato, proporzionato o utile. La mia risposta è no. Il carcere non è adeguato. In questo, come in tanti altri casi, non è la misura opportuna. Sulla qualità delle pene adeguate a un paese civile si discute da tempo e poco o nulla è stato fatto. Il carcere, come misura normale, è un fatto d’inciviltà. Discutiamo di questo».
Quali sarebbero le sanzioni adeguate, secondo lei?
«Innanzitutto, quella pecuniaria, come risarcimento del danno morale derivante dalla lesione dell’onorabilità delle persone: un bene importantissimo, quasi un bene sommo. Poi, l’intervento degli ordini professionali, cui spetta la tutela della deontologia, a tutela dell’onorabilità della professione. A me pare che le misure interdittive dell’esercizio della professione siano coerenti con questa esigenza. Poi, occorrerebbe prevedere forme processuali particolarmente
celeri, processi immediati. Il diffamato che cosa se ne fa d’una sentenza che interviene dopo anni? Ciò che occorre è il ripristino dell’onore della persona offesa».
Il problema, nella legge in questione, è che l’alternativa al carcere è una sanzione pecuniaria talmente pesante da trasformarsi in un bavaglio per la stampa.
«La questione vera e grande, al di là del folclore di molti emendamenti, è la chiamata in causa dell’editore. Nel momento in cui si estende la responsabilità al proprietario dell’impresa editoriale, è chiaro che questi farebbe di tutto per prevenirla e ciò gli darebbe il diritto d’intervenire nella gestione
dell’impresa giornalistica, un’impresa molto particolare, nella quale la libertà della redazione
deve essere preservata dall’intervento diretto della proprietà, cioè del potere economico. L’autonomia dell’informazione, come libera funzione, è messa in pericolo da una norma di questo genere».
Se è per questo, l’editore rischia di perdere anche i contributi pubblici, in caso di condanna.
«È una previsione che, colpendo l’editore, mette a repentaglio, oltre all’azienda, anche il patto che per consuetudine viene stipulato, almeno tacitamente, tra impresa, direttore e giornalisti: la copertura finanziaria da parte dell’editore delle eventuali condanne pecuniarie dei giornalisti che operano nella sua impresa ».
Diventa un’aggravante la circostanza che a firmare un articolo, ritenuto diffamatorio, siano ad esempio tre giornalisti. Siamo all’associazione a delinquere informativa?
«Quanto emerge da proposte di questo tenore è l’insofferenza che parti del mondo politico, indipendentemente dal colore, nutrono nei confronti del giornalismo di inchiesta che è un’attività che non si può svolgere da soli».
Le sue critiche si riferiscono anche all’ipotesi di sospensione del giornalista fino a tre anni, in casi estremi di recidiva nella diffamazione?
«No. Su questo sarei favorevole. Se la diffamazione è provata come fatto doloso, allora è giusta la sanzione proporzionata alla gravità dell’offesa. Per un cittadino, essere colpito nella propria onorabilità è un fatto grave, che può segnare pesantemente una vita, soprattutto delle persone per bene. Agli altri, per definizione, non importa nulla. Oggi, sembra che l’onore delle persone non conti più quasi nulla. Si tratta di ripristinare, innanzitutto nella coscienza civile, l’idea che l’onore, il rispetto, la dignità sono beni primari e la legge deve operare a questo fine. Certo, ci deve essere la prova del dolo, della macchinazione voluta per distruggere moralmente una persona. Stiamo parlando di ciò che voi giornalisti avete chiamato la “macchina del fango”. E non può essere tollerata, lasciata operare senza freni. È cosa deplorata ma, di fatto, tollerata come arma da usare nella polemica politica, nella lotta per il potere. Va contrastata con ogni mezzo, anche con sanzioni molto pesanti».
La nuova disciplina rende più grave la sanzione se l’offeso è «un corpo politico, amministrativo o giudiziario », per stare ai termini della legge. La “casta” da tutelare più degli altri?
«Esistono dei reati che riguardano la tutela dell’onorabilità delle istituzioni. E questa è una cosa. Un’altra cosa sono gli uomini e le donne che operano nelle istituzioni. Questi non sono essi stessi istituzioni. Sono normali cittadini che, pro tempore, svolgono funzioni pubbliche. Bisogna distinguere. In passato, erano previste forme di tutela speciale contro l’oltraggio al pubblico ufficiale, punito in misura più severa di quanto lo fosse l’offesa arrecata al cittadino comune, ma la Corte costituzionale in tempi lontani ha fatto venire meno questa differenza. Il principio di uguaglianza deve valere per tutti e coloro che occupano posti nelle istituzioni non devono essere considerati più uguali degli altri».
Il quarto reich è alle porte, la germania della merdel dopo 2 conflitti mondiali persi, ha vinto senza sparare un solo colpo. In italia un nuovo, mica tanto, fascismo-catto-comunista-mafioso sta portando il bel paese ad un futuro distopico neanche lontanamente immaginato da scrittori quali orwell. Chi sara’ il nuovo alleato del’asse ro-be…….avra’ gli occhi a mandorla, chissa’? o Avra’ 2 maroni grossi cosi!……………..no forse ne avra’ solo 1 di maroni e neanche tanto grosso. xD
Sono perfettamente d’accordo con Zagrebelsky. Deve essere chiaro che Sallusti non andrebbe in carcere per una sua opinione, per un problema legato alla libertà di stampa ma per una eccessiva libertà nel pubblicare un articolo diffamatorio risultato poi palesemente falso.
Quindi si alla libertà di stampa – no alla liberta di disinformare e diffamare.
Una domanda al prof. Zagrebesky.
Il giudice, normale cittadino che pro tempore svolge una pubblica funzione, diffama il lavoratore, mobizzato sul luogo di lavoro, quando gli attribuisce fatti non provati oppure applica alla controversia da lui promossa una norma inesistente, stabilendo così che il comportamento onorevole è quello tenuto dl datore di lavoro e non quello del lavoratore?
Ovviamente mi auguro che Sallusti non vada in carcere.
Vorrei solo notare, però, che ogni giorno finiscono in carcere centinaia di poveri disgraziati per reati che solo la estrema durezza del legislatore, cioè della politica, ha deciso di punire con il carcere.
Quella stessa politica, forte con i deboli e debole con i forti, che ora, unanime,, vuole evitare il carcere ad un giornalista, ad un borghese.
Un senegalese che vende ad una signora distinta ma un po’ cafona una borsa di una griffe contraffatta per guadagnare pochi euro va in carcere per falso e ricettazione. E non simbolicamente (i casi di giornalisti incarcerati per diffamazione sono due o tre in tutto dal dopoguerra in qua) ma quasi sempre e per mesi, a volte per più di un anno. A tutela di marchi miliardari.
E’ solo un esempio tra i tanti possibili.
Mi piacerebbe che i partiti e la stampa, stavolta uniti nella lotta per Sallusti, riflettessero insieme sulla morte del principio di uguaglianza, e si vergognassero.
Chiedo scusa, ma mi sembra che l’Italia abbia altre priorità, come recitavano i giornali di destra quando nel 2007 si parlava dei dico.
così il direttore Sallusti, per coerenza, si sacrificherà accettando di passare qualche giorno al gabbio, mentre il governo e il parlamento si occuperanno, come lui stesso desidererebbe, dei problemi veri del paese.
o no?
Come già nella vicenda relativa al conflitto di attribuzione sollevato da Napolitano ho codiviso pienamente le valutazioni espresse da Gustavo Zagrebelsky, così oggi apprezzo quelle espresse sul caso Sallusti: puntuali, competenti, logiche, esemplari… e probabilmente inascoltate. Povera Italia che ignora i consigli dei suoi uomini migliori!|
no alla libertà di diffamazione !
Troppo comodo farla franca e trincerarsi dietro lo slogan del bavaglio, democrazia in pericolo, libertà di informazione ecc ecc……perchè l’Ordine non propone con saggezza ed equità una legge che contempli diritti e doveri ?
Basta anche alle corsie preferenziali ( vedi richieste dei Magistrati )che permetto rimborsi ” equi ” e veloci .
Il cittadino qualunque deve essere sbattuto in prima pagina senza pietà ?
Nazioni civili non hanno il carcere ( salvo in pochi casi estremi ) ma in pochi mesi definiscono le cause di diffamazione , da noi invece se arriva la rettifica è accompagnata da alti lamenti e paginate di giustificazioni che cancellanola rettifica stessa. L’Ordine si dia una mossa senza bandiere al vento e fanfare , dimenticando il problema che esiste ed è sempre stato dimenticato ( salvo quando si arriva al carcere o al povero giornalista del Manifesto che ha ricevuto un pignoramento x 20.000 euro -condanna per diffamazione ….ed allora oltre ai danni anche le beffe ? ).
Saluti da RF (che ad oggi non ha avuto problemi quindi non scrive per fatto personale nè in odio a qualcuno…..ma per amore di verità !)