Scuola di Genova: la risorsa cultura

22 Ott 2012

Sabato 20 e domenica 21 si sono svolti i primi due moduli della scuola di Genova, dedicata alla “Risorsa cultura”. Il discorso introduttivo di Elisabetta Rubini e l’articolo de “Il secolo XIX”

1.- Come molti di voi già sanno, Libertà e Giustizia, l’associazione nel cui ambito, grazie al lavoro del circolo di Genova, è nata questa scuola, è un’associazione di cultura politica: con ciò si intende un’associazione che mira a sollevare e coltivare un dibattito tra i cittadini sui grandi temi della vita sociale. Noi ripetiamo sempre che LeG non è un partito: in questi tempi di diffuso disgusto per il ceto politico,  potrebbe sembrare una sorta di scusa, un modo di “porsi al riparo”. In verità intendiamo dire due cose: che LeG non si propone di contendere per la conquista del potere politico e, più sottilmente, che LeG non è di parte, quando affronta e cerca di approfondire i problemi del vivere sociale. Questo secondo aspetto è specialmente vero con riguardo all’attività di LeG consistente nell’organizzazione delle Scuole di Formazione Politica, come è quella cui partecipiamo oggi: da anni ormai LeG organizza più volte l’anno e in città diverse degli incontri di natura seminariale, le Scuole appunto, radunando esperti e cittadini interessati, intorno a temi tra loro diversi con l’obiettivo di studiarli e ottenerne una conoscenza più accurata e profonda.
2.- Il tema scelto dal circolo di Genova per questa Scuola, che si apre oggi per la sua prima edizione, è particolarmente affascinante e ambizioso: “La risorsa cultura”. Associando queste due parole – cultura e risorsa – è evidente che ci si pone il problema del rapporto tra l’immenso patrimonio culturale di cui il nostro paese beneficia e il valore del medesimo per i cittadini; risorsa è un termine che riveste molteplici significati: da quello più generale di “strumento utile per fare qualcosa” a quello più specifico che rimanda ad un’utilità di tipo economico.
E qui siamo già nel cuore del problema: in un noto libro scritto nel 2002 da Salvatore Settis, “Italia spa”, l’autore definisce il nostro “patrimonio culturale” come fulcro della nostra identità nazionale e della nostra memoria storica, e dunque come  il massimo contributo che l’Italia può portare alla costruzione dell’Europa. Trovo magnifica questa definizione, perché non si concentra sul valore economico, pur certamente esistente, del nostro patrimonio culturale, bensì sul suo valore storico e identitario, in quanto complesso ricchissimo di elementi che, nel loro insieme, concorrono a costituire ciò che l’Italia è, sia nella consapevolezza dei suoi cittadini che agli occhi del mondo.
3.- Spesso tuttavia il concetto di patrimonio culturale come risorsa è interpretato in maniera riduttiva ed economicistica, come “asset” pubblico del quale occorre “fare qualcosa” per trarne del guadagno monetario. Questa tendenza riduttiva e pericolosa ha caratterizzato i governi degli ultimi vent’anni, dai quali è periodicamente venuto il tentativo di utilizzare il patrimonio culturale come leva per originare risorse economiche, da destinare magari a tappare buchi del bilancio statale o a finanziare cosiddette “grandi opere”. Ancora oggi – nonostante ad esempio il fallimento della Patrimonio spa di tremontiana memoria – si assiste a ipotesi di dismissioni di edifici pubblici di valore storico artistico, e in generale del “patrimonio pubblico”, per riparare i danni causati da  anni di gestione scellerata delle finanze pubbliche.
4.- A me pare che sia necessario prendere atto che il patrimonio culturale non genera, né deve generare (oltre un certo limite) dei quattrini, bensì li assorbe, ed è giusto che sia così. L’Italia per prima si rese conto, in epoca preunitaria, che la tutela del patrimonio artistico e culturale, inteso come proprietà di tutti i cittadini, è una priorità cui lo Stato deve dedicare risorse: abbiamo infatti la cultura della conservazione più antica e avanzata del mondo, che si è riflessa anzitutto nelle prime leggi, sette-ottocentesche, sulla tutela del patrimonio culturale, quindi  nella legge sulla tutela del paesaggio predisposta da Benedetto Croce negli anni 20, nella legge 1089 del 1939 e infine nella formulazione dell’art.9 della nostra Costituzione, che sancisce solennemente il dovere dello Stato di proteggere il patrimonio culturale, assicurandosene la proprietà o istituendo norme di tutela applicabili anche quando è in mani private.  Ricordiamola questa norma fondamentale, che recita: la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
5.- Nella sua formulazione emerge la piena consapevolezza del legame tra il patrimonio culturale ed il paesaggio: ciò che contraddistingue l’Italia sono proprio la continuità e contiguità tra opere d’arte, paesaggio e storia nazionale. Il patrimonio artistico italiano, a differenza di quello conservato in altri paesi, non è solo chiuso nei musei, ma è diffuso nel territorio, tanto che lo si può sperimentare e godere nella quotidianità, passeggiando, entrando in una chiesa o – come accade a Genova – abitandovi dentro. Questo privilegio eccezionale del contesto italiano richiede però un supplemento di sforzi di tutela: come è avvenuto di recente con i terremoti in Abruzzo e in Emilia, il legame tra patrimonio artistico e paesaggio vuole anche dire che ciò che sconvolge il paesaggio distrugge il patrimonio artistico. Dunque i due fronti, per così dire, della tutela imposta dalla nostra Costituzione richiedono di essere curati insieme.
6.- A fronte di un compito tanto impegnativo, che implica tra l’altro la messa in sicurezza del territorio nazionale (di per sé compito immane, progettato nel 1983 da Giovanni Urbani ma mai intrapreso dai governi successivi), il Ministero dei Beni Culturali ha purtroppo avuto, dalla sua nascita, uno status di ministero minore, cui sono stati destinati sovente ministri inadeguati (a volte davvero imbarazzanti) e mezzi finanziari in costante diminuzione. Si pensi solo al taglio di un miliardo e mezzo di euro deciso nel 2008 dal governo Berlusconi, in una situazione di risorse già precaria. Anche oggi, nel governo dei tecnici, Ornaghi è il solo non tecnico. Per non parlare – quanto a svilimento della storia culturale del nostro paese – del progetto, partorito dalla Gelmini, di eliminare la storia dell’arte dall’insegnamento scolastico. La politica dei governi recenti non ha saputo svolgere adeguatamente il suo ruolo, né con riguardo alla tutela del patrimonio culturale né con riguardo alla tutela del paesaggio: ciò anche grazie all’equivoco,  cui accennavo sopra, circa il concetto di patrimonio culturale come risorsa economica, da cui trarre quattrini, che ha prodotto minacciosi progetti di svendita e  privatizzazione,  tuttora incombenti sulle teste degli italiani.
7.- Ma il nostro patrimonio culturale non è – per dirla ancora con Settis – “un gruzzolo da spendere se occorre, bensì la nostra memoria, la nostra anima”. E allora, se invece di blaterare di dismissioni e di ingresso dei privati, si va a vedere cosa succede altrove, si scopre che  negli Stati Uniti, ad esempio, i musei sono sì privati, in quanto proprietà di fondazioni, ma ciò non si traduce affatto in una gestione rivolta a consentire al privato di trarre profitto dall’istituzione culturale, bensì, tutto al contrario, nel raccogliere in misura rilevantissima fondi da privati per alimentare l’attività dei musei, le loro acquisizioni, le mostre, offrendo in cambio importanti incentivi fiscali ed il  prestigio sociale connesso a queste iniziative. A me appare del tutto ovvio che le istituzioni culturali e le connesse necessità di tutela assorbono molte più risorse economiche di quante ne possono generare, quand’anche gestite nel modo più efficiente. E dunque il vero tema è come far affluire a queste istituzioni molte più risorse di quelle che sono oggi loro destinate in Italia, sia aumentando l’impegno a carico dello Stato, sia finalmente favorendo le donazioni a fondo perduto da privati, mediante la defiscalizzazione delle medesime e un adeguato impulso culturale. Si tratta di un problema comune, seppure in misura diversa, a molti paesi: è di questi giorni la notizia che il principale museo di  Vienna ha avviato  una campagna per favorire “l’adozione”, da parte di soggetti privati, di 300 opere d’arte che necessitano di restauro, sollecitando  donazioni anche piccole, da effettuarsi via internet.
8.- Nel difficile panorama italiano si registra un dato positivo: la mobilitazione della società civile, guidata dai “competenti”. Sempre più spesso leggiamo di  accorati appelli, firmati da storici dell’arte, operatori culturali e semplici cittadini, a favore del “salvataggio” di questa o quella opera d’arte, biblioteca o istituzione culturale. Solo negli ultimi mesi, si sono levate “grida di dolore” collettive contro la chiusura della Biblioteca universitaria di Pisa, l’abbandono della biblioteca dell’Istituto di Studi Filosofici di Napoli, la privatizzazione di Brera, i tagli ulteriori al Ministero dei Beni Culturali. In ciò vi sono un dato confortante, la mobilitazione appunto della società e dei suoi esponenti più autorevoli, ed uno disperante: il ripetersi di situazioni di degrado o quantomeno di grave rischio per il nostro patrimonio culturale.
In una recente intervista a Mario Resca, già  a capo della Direzione Generale sulla Valorizzazione  del MIBAC, la cui nomina fu molto contestata per la sua provenienza manageriale e per l’approccio che alcuni ritennero “mercificatorio” nei confronti dei beni culturali, si leggono considerazioni durissime sullo stato del patrimonio culturale nel nostro paese: a fronte di un patrimonio culturale che, letteralmente, “cade a pezzi”, Resca sottolinea la mancanza di   fondi e competenze adeguate e in alcuni casi la gestione dei siti (Pompei) è definita addirittura “malavitosa”.
9.- Memori del fatto che la sovranità popolare sul patrimonio culturale – sancita dalla nostra Costituzione – comporta da un lato l’accessibilità per tutti e il dovere dello Stato di provvedere alla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, ma dall’altro la responsabilità condivisa di preservarlo per le generazioni future, che fa capo a tutti i cittadini,  propongo che questa Scuola di LeG si concluda – grazie al contributo degli autorevolissimi esperti che ci accingiamo ad ascoltare –  con un documento che indichi quali sono oggi i punti più urgenti e importanti da affrontare per la tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e offra dei suggerimenti quanto alle possibili soluzioni. Un documento che LeG si impegna a diffondere e sostenere, quale propria bandiera, e sottoporre ai partiti politici in vista delle prossime elezioni.
Grazie a tutti e buon lavoro.

Leggi l’articolo de “Il secolo XIX”

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