Anti corruzione. Una bandiera tra le macerie

12 Ott 2012

Tra le notizie degli scandali, il degrado del senso civico, la crisi della politica s’intravede una bandiera. Non è una zattera. E non significa salvezza. Indica però una strada, una ripartenza, un passo in più verso l’Europa. E? il disegno di legge contro la corruzione. Che ha una storia articolata, lunga e unisce in sé un doppio destino: frontiera di speranza ma anche occasione sprecata.
A volerla vedere in positivo il disegno di legge – che in ogni caso deve essere approvato in fretta – segna un’inversione di rotta, la prima dopo vent’anni di berlusconismo e leggi ad personam che hanno distrutto legalità e regole. Una svolta nel ventennale di Mani Pulite e mentre potrebbe calare il sipario sulla cosiddetta seconda Repubblica nata dalle macerie di quell’inchiesta. E’ positiva tutta la parte della prevenzione curata dalla Funzione Pubblica, dal ministro Filippo Patroni Griffi e dal superconsulente Roberto Garofoli, l’insieme di regole, responsabilità deontologiche e disciplinari che costringono gli amministratori pubblici e disciplinari che costringono gli amministratori pubblici ad assunzioni di responsabilità quotidiane. Positive le tre deleghe. che promettono di far piazza pulita. Il ministro dell’Interno sta lavorando per interdire il Parlamento e gli incarichi politici, ai condannati in via definitiva. Era l’ora. Altre due deleghe sono in capo alla Funzione Pubblica. Si tratta dell’obbligo di trasparenza (art. 3 comma 21) di tutti i dati patrimoniali e di reddito, partecipazione e interessi di parlamentari, ministri, sottosegretari, governatori, sindaci, assessori e dirigenti pubblici. Tutto on line, famiglie comprese fino al secondo grado di parentela. Non sono previste amanti e coppie di fatto. Peccato. La seconda delega affidata alla Funzione Pubblica riguarda l’incompatibilità (art.4) tra funzioni e incarichi pubblici: il titolare di uno studio di ingegneria o di architettura o di altro in una città, non può assumere incarichi dirigenziali tecnici nello stesso Comune. A meno che non sia trascorso un periodo di raffreddamento minimo di un anno tra i due ruoli.
Certo – ed è qui la trappola – sono deleghe, regole che il governo deve ancora scrivere e sviluppare. Se la melina parlamentare dovesse trascinare l’approvazione della legge fino a dopo Natale, mancherà solo il tempo per esercitare le deleghe. Che resteranno solo un manifesto. Sbiadito e irritante.
Positiva, non c’è dubbio, l’introduzione di alcuni nuovi reati. Finalmente anche in Italia sarà punita la corruzione tra privati, tutti quegli accordi che inquinano il mercato, azzoppano la concorrenza e, poiché commessi da privati, non perseguibili. Il Pdl ha fatto muro per mitigare questo nuovo reato visto come una iattura dalla folta truppa degli onorevoli avvocati. Ha ottenuto che si intervenisse solo sul codice civile (art. 2635) limitando il raggio d’azione alle società e vincolando la querela di parte. Non è l’ottimo, sempre nemico del bene. Ma è qualcosa. Terrorizza le cricche e i sistemi gelatinosi il nuovo reato 346 bis che punisce il traffico di influenze illecite, l’intermediazione illecita del pubblico ufficiale. E anche la corruzione della funzione ( art. 318 cp) che ne è in qualche modo il corollario. Brucia da morire alla casta dei grand commis di Stato (giudice e avvocati) il divieto di gestire arbitrati.
Fin qui la speranza tra le nostre macerie quotidiane. Poi però ci sono tutte le occasioni sprecate. Tante, troppe. Tutto quello che non è stato fatto perché politicamente indigeribile alla ex maggioranza. Il ministro Guardasigilli Paola Severino ha ballato tango e twist per scansare semafori rossi. Se l’è inventate da sotto terra. Ma non ce l’ha fatta. Manca il falso in bilancio, lo strumento principale per evadere il fisco e il forziere nero dove attingere le tangenti utili a corrompere. Non è stata aumentata la prescrizione, che uccide troppi processi. Manca l’autoriciclaggio, il reato che punisce chi investe in prima persona denaro sporco di sua proprietà. Sembra incredibile ma il nostro codice non lo prevede, manca una migliore e più allargata definizione del reato di voto di scambio politico-mafioso. Attualmente è dimostrato solo se c’è il passaggio di soldi. Non sono previste le altre utilità, un posto di lavoro, una casa, l’infinita gamma di richieste e favori. Ma quasi mai chi indaga ha la “fortuna” di beccare, come a Milano, i boss mentre spillano le banconote incassate dal Mimmo Zambetti di turno a cui sono stati dirottati i voti.
La legge è ancora ferma perché anche magistrati e avvocati di ogni ordine e grado alla fine dovranno rinunciare a qualcosa. Ma sono riusciti a conservare il privilegio delle doppie e triple carriere. Anche questa un’occasione sprecata.

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