Sarà il Senato a decidere chi governa

02 Ott 2012

E una crescita dei centristi, sia pure contenuta, potrebbe rendere impossibile una vittoria del centrosinistra, sotto forma dell’accoppiata tra il Pd e Vendola, quanto meno al Senato, dove il premio si assegna su base regionale

Era prevedibile che il Professore ci avrebbe messo un freno. Dopo la disponibilità manifestata a New York dinanzi all’ipotesi di un proseguimento della sua leadership ( “se ci dovessero essere circostanze speciali, che non mi auguro, e mi verrà chiesto, prenderò la proposta in considerazione”) il pressing per un Monti bis era cresciuto, fino a diventare un autentico martellamento. Casini, Fini, Cordero di Montezemolo, la Fiat, la galassia di nuovi Movimenti centristi, i vescovi della Conferenza episcopale italiana… Tutti a chiedere la prosecuzione della sua esperienza di governo, anche dopo le elezioni dell’aprile prossimo. Lo strumento per realizzare questo progetto? Una grande lista civica per l’Italia, che evochi la permanenza di Monti a Palazzo Chigi, senza che nel simbolo compaia il nome del premier. Un coro assordante, ma alla lunga imbarazzante perché avrebbe finito col mettere in discussione il suo ruolo di personaggio super partes, trascinandolo nell’arena del conflitto politico. Il Professore, dunque, ha deciso di frenare i suoi fan.” Lasceremo il governo ad altri nei prossimi mesi…”, ha dichiarato. E così, dicendo che lascerà, si sottrae ai troppi abbracci che potevano risultare mortali. Non cederà il copyright del proprio nome a nessuna forza politica. Si tira fuori rigorosamente da tutto. Tace e osserva.  Ma se poi, la primavera prossima, dalle urne dovesse uscire un pareggio, e dal Quirinale, come dal Parlamento, gli venisse chiesto di restare al suo posto? L’ipotesi resta comunque sullo sfondo. Impone, però, ai suoi sostenitori di gestire con prudenza l’eventuale nascita di una lista “montiana”.

Il Monti-bis, come si vede, non scompare dall’orizzonte politico. Continua ad aleggiare. Perché tutti i centristi sono compatti dietro il premier. Però, non sono altrettanto compatti tra loro. Tra Casini e Montezemolo, ad esempio. E comunque, alla resa dei conti, che capacità di attrazione avrà questa sorta di Terzo Polo “allargato alla società civile”, e che comunque non  si deve chiamare così visto il fallimento della passata alleanza tra Casini, Fini e Rutelli ? Non sarà che la proposta interessa ai salotti e ai dibattiti televisivi più che al paese reale? Quali che siano state le combinazioni politiche, i centristi finora non sono stati capaci di raggiungere la doppia cifra. La possibilità che facciano il pieno dei voti necessari per diventare la prima forza politica è pura utopia. Malgrado strumenti elettorali pessimi, grazie all’andamento bipolare  dello scontro politico, il Centro non è più il luogo di un grande partito e, neppure, di una coalizione. Naturalmente, tutto cambierebbe se si andasse alle urne con un  sistema elettorale che riporta di fatto al proporzionale. Il proporzionale, nella presente situazione, produrrebbe alta frammentazione, ondizioni mutevoli, nessuna indicazione su chi governerà. In una parola, darebbe una golden share a Casini e ai suoi nuovi compagni di cordata. Risultato pressochè scontato: un altro governo di larga coalizione, con un’altra “strana” maggioranza. Un incubo.

Potrebbe accadere lo stesso con la permanenza dell’orrendo Porcellum, in qualche modo rivisitato. E’ sufficiente che nessuno ottenga la maggioranza assoluta dei seggi. E una crescita dei centristi, sia pure contenuta, potrebbe rendere impossibile una vittoria del centrosinistra, sotto forma dell’accoppiata tra il Pd e Vendola, quanto meno al Senato, dove il premio si assegna su base regionale. E’ quello a cui pensa Berlusconi, che ha pronto il suo emendamento alla legge porcata, per peggiorarla ulteriormente, chiudendo ogni strada a una maggioranza stabile. Visto che il suo partito è destinato a sicura sconfitta, almeno, che non  vinca nessuno. In questo modo, anche il Cavaliere potrebbe sedersi allo stesso tavolo con gli altri, continuando, ancora una volta, a difendere i suoi interessi e quelli delle sue aziende.

Le variabili sono molte. E più d’una non è certo confortante per il Pd. Il quale Pd, è bene non dimenticarlo, ha già rinunciato, nel novembre dell’anno scorso, a elezioni anticipate che lo avrebbero visto nettamente favorito, venendo a cadere il voto nel momento più basso del belusconismo. Oggi, come primo partito, ha tutto il diritto di rivendicare la sua candidatura alla guida del nuovo governo, quale che sia l’esito delle primarie in cui si fronteggeranno Bersani e Renzi. Ma c’è anche, tra i democratici,  chi vede materializzarsi lo spettro del 1994, quando la coalizione dei progressisti sembrava destinata a vincere e poi spuntò Berlusconi, azzerando ogni previsione. Sarebbe dannoso indulgere al pessimismo. Ma è necessario riflettere sugli errori commessi. Che non sono pochi. E sono necessarie chiarezza e trasparenza. Tanto sul programma (qual è il grado di “distinzione senza sconfessione” dall’agenda Monti?), quanto sulla strategia delle alleanze. Non vorremmo che, dopo aver prospettato al proprio elettorato tanti sogni e tante speranze, lo si obblighi, alla fine, ad accettare il male minore.

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