E adesso vedremo se ci sarà il temuto, o sperato, effetto valanga. Perché le dimissioni di Renata Polverini rendono più precaria la testarda resistenza di Formigoni e indeboliscono le trincee dietro le quali si stavano arroccando altri governatori incalzati dalle inchieste. Ma già le macerie del dopo Polverini bastano a rivelare il crollo di quel coacervo di ingordigia personale e disprezzo per le virtù civiche, di leaderismo imbroglione e noncuranza per il bene collettivo, che andava sotto il nome di seconda repubblica.
Per ora la frana travolge soprattutto la destra, ma la stagione delle indagini è appena cominciata e non si può prevedere quanto marciume sarà portato allo scoperto. In ogni caso, e sempre allo stato attuale delle conoscenze, se la destra è colpevole per aver commesso il fatto, la sinistra è comunque imputabile per favoreggiamento. Meno grave, ma è pur sempre un reato. Resta da capire come i dirigenti dei due schieramenti affronteranno la questione.
Berlusconi (si consiglia la lettura dell’intervista rilasciata al numero di esordio dell’Huffington Post Italia) non sembra rendersi conto dell’entità del disastro: difende la Polverini, ironizza sull’ipotesi del rinnovamento osservando che Fiorito ha appena 41 anni, e conferma la sua visione del mondo: “La concezione liberale vuole che le idee camminino sempre non attraverso i partiti, ma grazie a leader dotati di carisma e di credibilità”. Strana idea del liberalismo quella di confonderlo con il leaderismo, che è una delle cause del problema odierno. Sostituire l’amore per il capo al ragionamento sui suoi progetti, trasformare gli elettori in tifosi invece di costruire un’opinione pubblica consapevole: ecco le ragioni profonde dei nostri guai. Bisogna cambiare registro, e il Cavaliere non è evidentemente in grado di farlo.
Dall’altra parte, e cioè nel centro sinistra, la consapevolezza è certamente maggiore, ma non si vedono ancora indicazioni convincenti sulla strada da prendere e sul modo di percorrerla. Non è tanto una questione di programmi, perché quelli, più o meno condivisibili, ci sono. E’ una questione di rappresentanza: bisogna trasformare i partiti e bisogna individuare un metodo efficace di selezione della classe dirigente. La “rottamazione” dei vecchi è un’ipotesi suggestiva ma superficiale. Per esempio: D’Alema è antipatico a molti, ma non è che la possibilità di sostituirlo con un Fiorito di sinistra sia esaltante. E può accadere, come sa chi ha vissuto la caduta della prima repubblica sotto i colpi di Tangentopoli, e oggi rimpiange almeno alcuni dei leader di allora.
Come si fa, dunque, a evitare che la prossima classe dirigente sia peggiore dell’attuale? E’ questa la domanda cruciale. Le primarie, va detto subito, non sono una risposta adeguata. Vanno bene per scegliere il candidato premier di una coalizione (sempre che la legge elettorale sia coerente), ma presentano il rischio che a prevalere non sia il più adatto, ma solo quello che ha l’oratoria più efficace, che è più simpatico, o che le spara più grosse e quindi conquista maggiore visibilità. Nessuna di queste qualità garantisce che poi sappia governare. E invece questa è l’unica dote di cui c’è un disperato bisogno.
Chi arriva al vertice deve conoscere la materia politica: deve sapere che governare significa mediare tra interessi diversi, armonizzare esigenze, e scegliere la strada migliore per tutti. Deve saper ascoltare le opinioni diverse e scegliere con competenza. Ecco: come si fa a far crescere gente così? Si accettano suggerimenti. E si spera che i partiti del centro sinistra siano i primi a proporne di seri e credibili.
Purtroppo l’unico rimedio è a lungo termine e inviso ai partiti attuali che sono al tempo stesso responsabili della situazione e autori del (improbabile ma necessario) cambiamento: maggioritario uninominale, maggioritario uninominale, maggioritario uninominale.
L’abbiamo già detto col referendum, l’abbiamo sperimentato (parzialmente, ma sempre meglio che niente) per troppo poco tempo, lo hanno cancellato perchè diminuiva lo spazio per le loro manfrine.
A lungo termine comporta una classe politica migliore, che se non ha idee va a casa nei suoi singoli elementi perchè la ‘gente’, il ‘popolo’ con cui si sciacquano tanto spesso la bocca i nostri politici, alla lunga non si fa buggerare più di tanto.
Un candidato (in un solo collegio si badi bene!) o prende i suoi bei voti, o va a casa.
Come effetto collaterale (ma non troppo) chi si presentasse alle elezioni, dovrebbe a priori preoccuparsi di cosa fare nel caso non fosse eletto, così avremmo meno ‘professionisti’ della politica e più persone interessate realmente al bene comune.
mi rendo conto di fare una domanda stupida, ma tant’è.
perché mai bisogna aspettare primavera per votare per la regione lazio?
a me sembra che si potrebbe tranquillamente votare alla fine di novembre. perché no?
e non ditemi che si fa per risparmiare, perché una regione come il lazio senza un governo è un bel costo!
E’ indiscutibile: la corruzione è il più grave problema italiano. Lo è persino più del deficit pubblico, che ha, peraltro vigorasemente contribuito a creare.
Popper sosteneva che non esiste un metodo sicuro per scegliere i migliori. Penso che avesse reagione, ma sembra che se ne sia inventato uno per scegliere i peggiori: la personalizzazione estrema, l’incentivo non solo a piacere, ma a stregare, che è spinta irresistibile ad ingannare. Nulla di nuovo: non ci sono stati dittatori non osannati e non ci sono stati potere conquistati in quel modo che non siano stati disastrosi. La democrazia non si fonda sul carisma, ma sui diritti e sui doveri. I governanti democratici non comandano. Per governare, essi hanno bisogno di visione ampia, di cultura, di onestà intellettuale che consente di meglio evitare gli abbagli; hanno bisogno di una società attenta e critica, di collaboratori e non di servitori. Ecco alcuni motivi per cui la democrazia, all’interno dei limiti umani, è il sistema migliore di governo.
L’attuale legge elettorale italiana è un esempio di non democrazia, perché punta in verso opposto a questo insieme di attitudini. Il risultato è un dispotismo dolce, fatto d’inganno, ma anche di conculcamento di diritti, di perdite di valore, insomma di declino. Il cambiamento tecnico a favore dell’uninominale a doppio turno non è la perfezione, ma è un tentativo avveduto. Si deve procedere per successive correzioni. La vita funziona così.
Le ultime vicende sono emblematiche. Ad una precisa domanda, Fiorito ha risposto: “Non sono un ladro”. E’ vero: non è un ladro, ma un esponente non troppo avveduto di una classe dirigente dispotica, che tradisce il mandato conferitogli. Tradire è peggio che rubare ed il rubare è sovente nient’altro che una forma di tradimento.
Fermare questo movimento inconsulto verso la rovina è un dovere, un imperativo categorico, perché è condizione di sopravvivenza.
Quello che accade non è solo e soltanto responsabilità dei partiti ma anche tanto degli elettori, in una nazione dove il 40% dei soggetti non vota, una persona su tre è evasore fiscale, e numerosi consigli comunali vengono sciolti per infiltrazioni mafiose, non è coerente con la realtà prendersela solo con i partiti. Libertà e giustizia stessa è una sorta di nicchia, di cultura medio alta, che ha proprietà organizzative e politiche speciali. Ma l’insieme del paese è tutt’altro. Personalmente sono dell’idea che si possa andare nuovamente anche ad un governo di solidarietà nazionale, in questo momento in cui non c’è una legge elettorale nuova è un possibile orizzonte e mi pare che nei partiti l’impegno più importante di tanti, passatemelo, mi pare sia il pensare a come non essere “trombati”, almeno questo succede soprattutto nel cadaverico PDL ed è il motivo per il quale Berlusconi viene tirato per la “giacchetta”. Peggio di così comunque non credo si possa andare. Personalmente lavorerei su alcune proposte referendarie e cambiamenti possibili, al di là di quanto produrranno le elezioni: proporre l’abolizione delle Regioni a Statuto speciale, ottenere il referendum propositivo, ottenere l’obbligo che le proposte di legge d’iniziativa popolare vengano discusse in parlamento con corsia preferenziale. Se al cavallo non gli si mette il morso, il cavallo fa i fatti suoi, questo spiega perchè i politici in Italia si concedono ogni tipo di licenziosità. Mario De Cesare, teologo morale.