Quelle poltrone già occupate (in attesa delle elezioni)

07 Set 2012

Michele Ainis

Domanda: ma noi italiani, quando abbiamo votato? Possibile che ci abbiano convocato in massa ai seggi, senza che nessuno più se ne rammenti? Perché delle due l’una: o i sondaggi hanno rimpiazzato le elezioni; oppure gli eletti hanno rimpiazzato gli elettori

Al Quirinale abita un signore, e starà lì per nove mesi ancora. Ma intanto i partiti già trattano sul prossimo inquilino: Monti, Prodi, Bindi, Schifani, Gianni Letta. Oppure Casini, perché no? Pare che sia proprio questo il cemento dell’accordo elettorale fra lui e Bersani: a me il Colle, a te Palazzo Chigi. Anche lo scranno più alto della Camera al momento è occupato come una linea telefonica, però in questo caso sembra ci siano pochi dubbi sul futuro presidente: è in corsa Veltroni, benché Franceschini ci avesse fatto un pensierino.
Pazienza, Franceschini potrà sempre consolarsi con la segreteria del Partito democratico, dato che i posti di governo sono già tutti appaltati. D’Alema agli Esteri. Enrico Letta allo Sviluppo. Bersani all’Economia, oltre che alla presidenza del Consiglio. Veltroni alla Cultura, se putacaso Montecitorio andasse in fumo. Fioroni al ministero di Nonsisachecosa.
Naturalmente si tratta di indiscrezioni, d’ipotesi tutte da verificare, benché rimbalzino da giorni su vari quotidiani. E naturalmente gli interessati negano, sia pure con un sorriso un po’ stirato. Prove, d’altronde, non ne abbiamo. Non è una prova, ma casomai un sospetto, quello avanzato da Matteo Renzi, che spiega l’improvvisa tregua fra le correnti democratiche con un patto sull’organigramma di governo. È impossibile smentire tuttavia che ormai si ragiona a voce alta sulla data delle prossime elezioni: saranno a marzo, con un breve anticipo sulla durata della legislatura. Peccato che lo scioglimento delle Camere lo decida il capo dello Stato, non i segretari di partito. È altrettanto impossibile chiudere gli occhi sullo scoglio che ha fatto arenare la riforma della legge elettorale: in che misura dovrà vincere il nuovo vincitore? Siccome la palma del trionfo parrebbe spettare al Pd, quest’ultimo pretende un premio di maggioranza gonfio come un panettone, il Pdl è disposto a concedere tutt’al più un panino.
Domanda: ma noi italiani, quando abbiamo votato? Possibile che ci abbiano convocato in massa ai seggi, senza che nessuno più se ne rammenti? Perché delle due l’una: o i sondaggi hanno rimpiazzato le elezioni; oppure gli eletti hanno rimpiazzato gli elettori. Ed è un bel guaio, per noi ma anche per loro. Mai fare i conti senza l’oste, benché di questi tempi le cucine siano vuote. Metti che alla fine della giostra il primo partito sventoli il faccione di Grillo sulle proprie bandiere: difficile, ma niente affatto impossibile. In questo caso lui dovrà dire grazie (per il premio di maggioranza), mentre tutti gli altri dovranno chiedergli la grazia (per non restare in minoranza). E le preferenze, che reclamano a gran voce gli ex An del centrodestra? Sicuro che poi loro, nel segreto dell’urna, sarebbero i nostri preferiti?
La politica è l’arte di impedire alla gente d’impicciarsi di ciò che la riguarda, diceva Valéry. In tale arte i politici italiani sono maestri conclamati. E tuttavia è ancora un’altra la loro colpa principale. Perché hanno lo sguardo corto, come d’altronde tutta la classe dirigente che ci ha mandato in bancarotta. Perché ragionano con la testa nel passato. Ma le prossime elezioni — ha osservato Luca Ricolfi sulla Stampa — non saranno più una gara fra la destra e la sinistra. No, adesso la partita si gioca fra il vecchio e il nuovo, come nel 1992. E si gioca per i posteri, anche se i partiti hanno a cuore solo i posti.

 

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