Pd: quel vizio di dividere tra buoni e cattivi

06 Set 2012

E’ bastato l’annuncio della candidatura di Matteo Renzi, col conseguente dibattito sulle primarie, a provocare le convulsioni ai democratici. Un’incancellabile attitudine all’autolesionismo

Non è una bella aria quella che si respira nel Pd. Il gruppo dirigente è sicuro della vittoria alle prossime elezioni politiche. D’Alema ha già spiegato a uno dei principali giornali tedeschi come sarà il governo che uscirà dalle urne: “imperniato sul Pd, che ne è la garanzia, in alleanza con la sinistra di Vendola e i moderati di Casini”. Però, la sinistra è capace come nessun altro di farsi del male, soprattutto se le cose sembrano andare a suo vantaggio. E’ bastato l’annuncio della candidatura di Matteo Renzi, col conseguente dibattito sulle primarie, a provocare le convulsioni ai democratici. Un’incancellabile attitudine all’autolesionismo. Che sta portando i big del partito a trovare il comune denominatore nell’anti-renzismo. Un  martellamento senza soste. Un concentrato di accuse e di ostilità.

Debbo dire di non avere particolare simpatia per il sindaco fiorentino. Non apprezzo una certa violenza verbale, gli slogan continui sulla “rottamazione”. Le dispute sull’età non mi appassionano. Né mi appassiona la sfida tra vecchio e nuovo al posto di quella sulle diverse opzioni politiche. Trovo in alcune sue prese di posizione, e anche in certi comportamenti, un’opacità che non mi convince. Ma non mi convincono neppure i modi e i toni dei suoi avversari. Ha cominciato D’Alema trattandolo come un incapace, buono a dividere e non a unire. Poi, le battute al vetriolo della Bindi. Infine, ci ha pensato il cattolico Fioroni, anima mite, a collocare la ciliegina sulla torta, invitandolo a “sistemare” il traffico di Firenze oppure a dimettersi da sindaco se vuole presentare la sua candidatura alla premiership. Un fuoco concentrico. Una sorta di santa alleanza tra persone e gruppi che fin qui avevano manifestato, il più delle volte, intenti opposti. Gli ex ds da una parte, gli ex Margherita dall’altra, ma tutti ora sotto la stessa bandiera. A combattere l’estraneo, il diverso, l’alieno.

Intendiamoci: se di vere primarie questa volta si tratta, e non di una mobilitazione di partito per consacrare le scelte già fatte, come è accaduto in passato, è chiaro che vera battaglia deve essere.Un duello con veri sfidanti, e non con professionisti della mediazione. Ma questo non può voler dire la delegittimazione, il tentativo di demonizzare i concorrenti, fino a fare dell’avversario uno sfasciacarrozze, un po’ bullo e molto furbo. Questa linea di condotta alla fine si rivelerebbe un boomerang. Dando ragione a chi pensa, senza sposare per questo le posizioni di Renzi, che siano tornate in campo le vecchie compagnie di giro. Che ci sia il ricompattamento della nomenclatura. La concezione della politica come posto fisso.

Eppure, ci sarebbe la necessità di una sfida seria, aperta, senza trucchi. Da condurre su un terreno meno propizio ai colpi di mano. C’è la crisi dell’euro. Ci sono le crisi industriali che minacciano migliaia di lavoratori. C’è da governare il mondo della flessibilità, il rischio d’impresa, la precarietà. C’è il grande campo dei diritti civili. Qui dovrebbero misurarsi le diverse opzioni. Il Pd non può rinchiudersi a riccio, nell’attesa della vittoria elettorale. Deve aprirsi e rinnovare la politica. Era lo scopo dichiarato, quando mosse i primi passi. L’incontro e la sintesi dei diversi riformismi: non solo quello socialista, non solo quello dei cattolici democratici, ma anche l’apporto dell’ambientalismo,  anche l’ispirazione liberaldemocratica. Sembrava una scena notevolmente affollata. Ma oggi pare occupata soprattutto dagli eredi del vecchio Pci e della vecchia Dc. Quasi un  ricordo del compromesso storico. Questa volta in versione bonsai. Ne mancano le ragioni perché siamo lontani anni luce da quel progetto. Ma permangono i vizi culturali prima che politici. La diffidenza verso una certa idea laica. La pretesa di assegnare il campo, facendo la cernita dei buoni e dei cattivi. La tendenza a demonizzare chi dissente. Non c’è da meravigliarsi, a questo punto, se c’è chi vuole collocare Togliatti, accanto a De Gasperi, nella galleria dei padri nobili. Ma, stando così  le cose, è inutile lamentarsi dello scarso appeal del partito. E sarà sempre più difficile riportare in linea i tanti che se ne sono allontanati.

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