Pd: né con Monti, né con Zagrebelsky

18 Ago 2012

Finiremo per dire che si stava meglio quando si stava peggio. Con Berlusconi era tutto più facile: se lui era il cattivo, chi stava dall’altra parte non poteva che essere il buono. Sia che si trattasse dei vari Ferrero, Diliberto, via via fino a Di Pietro e tutti gli altri ex alleati del Pd e dei suoi antenati. Sia che ci si riferisse a mondi esterni alla politica, con particolare riferimento alla magistratura.
Il “partito dei giudici” è stato un importante azionista del centrosinistra anti-berlusconiano, con un evidente riscontro nelle proposte e le battaglie parlamentari degli stessi anni. «Ma oggi noi abbiamo un programma riformista che supera quella stagione – rivendica il responsabile giustizia dei dem, Andrea Orlando – e che il governo Monti ha iniziato a realizzare, seppure con eccessiva timidezza e con qualche stop and go di troppo».
Se il Pd sta cercando di uscire dal blocco imposto al paese dalla presenza del Cavaliere, c’è chi proprio non ce la fa. Ne è prova l’editoriale pubblicato ieri su Repubblica da Gustavo Zagrebelsky. Al quale si associa la firma dello stesso costituzionalista e della presidente di Libertà e Giustizia, Sandra Bonsanti, all’appello del Fatto quotidiano a favore dei pm palermitani che si occupano della trattativa statomafia. O, più esplicitamente, contro il ricorso alla Consulta del capo dello stato, per la distruzione delle intercettazioni (peraltro prive di rilevanza penale) che lo vedono protagonista. Un’iniziativa che, per Zagrebelsky, «avrebbe finito per assumere il significato d’un tassello, anzi del perno, di tutt’intera un’operazione di discredito, isolamento morale e intimidazione di magistrati che operano per portare luce» sulla presunta trattativa coi boss. Il presidente onorario di LeG parla di «eterogenesi dei fini», stando ben attento a non attaccare esplicitamente Napolitano.
Ma l’intento è evidente. E anche il diretto protagonista della vicenda, Antonio Ingroia, come di consueto dalle colonne dell’Unità, non perde l’occasione, all’interno di un commento sul caso Ilva, per stigmatizzare «l’ennesimo conflitto di attribuzioni contro la magistratura accusata (ancora!) di invasione di campo». In un colpo solo, se la prende così col governo e col Quirinale. Il tutto mentre Mario Monti, in un’intervista a Tempi, definisce «grave» il caso delle telefonate intercettate dalla procura palermitana e preannuncia «iniziative a riguardo». Parole «inaccettabili » per Antonio Di Pietro, mentre dall’Udc Roberto Rao invita a raccogliere «con attenzione e senza pregiudizi» l’invito di Monti. Che per Orlando, però, è «discutibile». Il dirigente dem invita infatti il governo a «ragionare sulle emergenze (processo civile, affollamento delle carceri, tempi dei procedimenti). Sulla vicenda di Palermo si pronuncerà la Corte costituzionale, una legge generale non servirebbe». I residui della sinistra giustizialista riguardano inevitabilmente il Pd. «Per superarli – spiega Orlando – dobbiamo riuscire a discutere di tutto, senza guardare alle convenienze personali di Berlusconi o di altri».
Se i conti con Di Pietro sono stati regolati, LeG rimane uno degli interlocutori nella costruzione della coalizione di progressisti e democratici che dovrà presentarsi al voto nel 2013. E l’Unità e Repubblica sono tra i giornali di riferimento dei suoi elettori. Anche se, in realtà, la linea del quotidiano diretto da Ezio Mauro non è chiara, con il fondatore Eugenio Scalfari attestato su posizioni molto lontane da quelle espresse da Zagrebelsky e dal suo movimento (creato e finanziato dallo stesso De Benedetti). Tanto che Matteo Orfini twitta divertito: «Direi che a Repubblica serve un congresso straordinario».

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