La svolta anti-Tonino di Bersani pronto il decalogo del Pd senza l’Idv

27 Lug 2012

— Bersani apre i giochi. Martedì presenta il “decalogo” del Pd per il programma di governo: dieci punti in dieci pagine che dovrebbero costituire la bozza dell’alleanza dei progressisti, da proporre poi all’Udc di Casini (o, spera, alla nuova “casa” dei moderati). E già mercoledì, via agli incontri. Cominciando da Nichi Vendola, proseguendo con la società civile (don Ciotti, Acli, Sandra Bonsanti per “Libertà e Giustizia”, il Comitato per l’informazione, Stefano Rodotà…) e quindi con le parti sociali, con i segretari di Cgil, Cisl e Uil, Camusso, Bonanni e Angeletti. Ma nella fitta agenda d’inizio agosto del segretario democratico c’è un grande assente: Di Pietro. Bersani non lo incontrerà.
Nessun appuntamento politico con il leader di Idv. Lo strappo tra Bersani e Di Pietro sembra ormai consumato. A lastricare la strada dell’allontanamento elencano i Democratici – ci sono le ultime uscite dell’ex pm, la «deriva grillina», che è cominciata con gli attacchi al presidente Napolitano ed è arrivata fino al video dei “morti viventi”, gli zombie Alfano, Bersani, Casini, linkati per alcune ore ieri sul sito di “Italia dei valori”.
«Il tempo stringe e non si può
sprecare»: ha detto il segretario del Pd, decidendo di accelerare sul “decalogo” e gli incontri politici. La situazione è incerta; l’ipotesi del voto anticipato pare in queste ultime ore scongiurata, ma è meglio tenersi pronti. Da tutti i punti di vista. Innanzitutto, sciogliendo l’iceberg della legge elettorale che scompare (quando l’accordo si dà per fatto) per ricomparire il giorno dopo (tutto da ridiscutere). Bersani racconta le ultime ore di passione: «L’accordo di massima c’era, una sorta di Provincellum, senza le preferenze. Poi Alfano ha mandato tutto all’aria». Il Pdl non si sta lacerando solo su preferenze
sì/collegi uninominali no, si è irrigidito anche sul “bonus” per chi vince. Non più premio di coalizione, ma – è la richiesta dei pidiellini – un “bonus” del 5% al primo partito. Sul tavolo allora il Pd ha messo un’altra carta: 15% di premio al primo partito (senza più impiccarsi sulla coalizione) oppure il 10% al primo partito e/o alle liste apparentate. Percentuali che fanno la differenza. Permettono infatti di aprire scenari post-voto profondamente diversi, di dare il via libera a un governo di responsabilità nazionale oppure prevedere una netta alternanza.
«Lentamente, ma stiamo andando
avanti», giura Enrico Letta. Per il vice di Bersani passa tutto da lì, dalla riforma elettorale. Se c’è quella, se si sbroglia il nodo, allora «anche l’opzione di voto anticipato è sul tappeto». Un’ipotesi insomma, che Letta «non esclude», ritenendo lo scenario complesso, in grado di riservare sorprese. Di certo Di Pietro è già in piena campagna elettorale con l’idea dell’asse grillin-dipietrista dei “non allineati” e di un Movimento dei valori. Spara a zero sulla maggioranza di zombie che «si scrivono le regole della legge elettorale da soli, che neppure in un paese vetero comunista accadeva, senza coinvolgere
tutte le parti interessate: è come se, in una partita a calcio, giocasse una squadra sola e pure l’arbitro, in questo caso il capo dello Stato, le dà una mano». Il leader Idv è infuriato. Giudica che con il Pd «non tutto è perduto, fino all’ultimo minuto utile e, comunque, resta il rapporto con il popolo democratico». Ma si sente tradito o traditore? «Non c’azzecca niente – replica – è inutile che cercano di tappare la bocca a me quando c’è una popolazione esasperata, io sono il dito, la luna è il popolo che non ne può più».
In definitiva, gli argini si sono ormai rotti e il rimescolamento delle forze politiche è in atto. Nel 2008 Di Pietro fu pregato dal segretario di allora, Veltroni, di confluire nelle liste del Pd. L’ex pm si rifiutò. Per mesi, dopo il risultato elettorale, si discusse di quali erano stati i termini del patto, come mai ai Radicali non era stato accordato quello che invece Tonino Di Pietro aveva ottenuto. Veltroni voleva un gruppo unico (Pd-Idv) in Parlamento, Tonino disse che il processo sarebbe stato di fusione, ma più in là. Quattro anni e mezzo dopo, il divorzio è compiuto. Il Pd chiede la mano a Vendola, il leader “rosso”, e Di Pietro telefona per consigli a Gianroberto Casaleggio, l’ombra (digitale) di Beppe Grillo.

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