Il Pd ammaina bandiera laica

16 Lug 2012

E’ comprensibile l’amarezza di Bersani. Aveva preparato con cura l’Assemblea romana, punto di partenza per arrivare alla “carta d’intenti “del Pd sul futuro dell’Italia e dell’Europa. Tutto era filato liscio.

E’ comprensibile l’amarezza di Bersani. Aveva preparato con cura l’Assemblea romana, punto di partenza per arrivare alla “carta d’intenti “del Pd sul futuro dell’Italia e dell’Europa. Tutto era filato liscio. Anche sulla questione delle primarie il conflitto era rimasto entro limiti accettabili. E, poi, quando si passa al riconoscimento e alla tutela delle coppie gay, scoppia la bagarre. L’unità naufraga tra devastanti scampi di accuse. Il segretario del Partito democratico anche questa volta cercherà di ricucire. Di frenare, da una parte, l’ala “laica” e, dall’altra, quella “cattolica” Ma un punto d‘incontro ragionevole si sarebbe potuto raggiungere già in Assemblea, evitando di offrire l’immagine di un Pd di nuovo spaccato e che, però, si rifiuta di affrontare un serio dibattito al proprio interno. Sarebbe bastato non arroccarsi sul testo del Comitato coordinato da Rosy Bindi e offrire la stessa dignità formale al documento “laico” che affronta tutto il complesso tema dei diritti civili. Bersani è politico pragmatico che, quando può, evita le dispute teoriche. Ma non è la stessa cosa sostenere, come fa il Comitato, che “anche all’unione omosessuale spetta il diritto di vivere una condizione di coppia, ottenendone il riconoscimento giuridico”. Oppure affermare, secondo quanto recita l’altro documento, che “le coppie etero e omosex devono avere gli stessi diritti e pieno riconoscimento giuridico e sociale”. Non si tratta di fare il processo alle intenzioni. Però, a molti, la vaghezza del primo testo rievoca la pallida immagine dei Dico, il compromesso al ribasso raggiunto all’epoca del governo Prodi, destinato comunque a un misero fallimento.

Si dirà che in una materia così delicata è necessario procedere con cautela, senza forzature. Ma ciò non può avvenire a scapito della chiarezza, cercando fragili punti d’incontro che, alla prova dei fatti, rivelano la loro inconsistenza. Anche su questo tema, in realtà, il Pd sconta il suo vizio d’origine: la propensione ad accantonare i problemi, senza la fantasia necessaria per la ricerca di una nuova strategia. Anzi, qui l’insufficienza e l’indeterminatezza dei Democratici appare più evidente che altrove. Quasi fosse stato steso un tacito patto a non toccare ogni argomento che può mettere in moto la suscettibilità delle gerarchie cattoliche. Il partito che avrebbe dovuto rappresentare l’incontro e la sintesi tra le diverse famiglie riformiste, appare la riedizione, su scala ridotta, del vecchio compromesso storico, quando il mondo era bloccato e l’Italia viveva una democrazia zoppa. L’idea laica, la liberaldemocrazia, sono state messe ai margini. Un quadro statico, senza nessuno degli elementi di discontinuità promessi al momento della nascita del Pd.

Però, i problemi incalzano. La volontà di inglobamento e resistenza non regge. Da tempo, altrove, le democrazie europee li hanno affrontati e risolti, ci fossero governi di sinistra o di destra. Si sa, solo per fare qualche esempio, di Francia e Spagna. Si sa come sta operando, in Gran Bretagna, il conservatore Cameron. E comunque sul tavolo non c’è solo la questione delle unioni gay. Quando si parla di temi “sensibili” ci sono tanti altri nodi da sciogliere: dal testamento biologico alla fecondazione assistita, all’utilizzo delle cellule staminali e così seguitando. Certo, il Pd è basato su un equilibrio delicato. Non preoccupa tanto, sotto questo aspetto, la rigidità di una Bindi che ha una propria sofferta coerenza. Preoccupa, piuttosto, il piccolo cabotaggio di quegli esponenti del partito, in generale di provenienza democristiana, che misurano le proprie scelte sui diritti civili con l’orecchio teso alle sollecitazioni dei vescovi e alle prospettive di un’alleanza con l’Udc di Casini. Non vuole, Casini, le coppie gay. E, allora, che si fa? Quello che vale per i nostri partner europei resta per l’Italia un frutto proibito?

Non può un partito che aspira a guidare il Paese impantanarsi nei vecchi tatticismi. Chiudersi entro il proprio recinto aspettando gli eventi. La bandiera del riformismo non ci si può limitare a sventolarla. Bisogna trarne le conseguenze sul piano dell’azione politica. O è forse, ormai, troppo tardi?

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