La terra dell’eterno ritorno

12 Lug 2012

Che fosse uscito veramente di scena nessuno ci aveva mai creduto. Quando sono stati messi sul tavolo i temi “caldi”, quelli che davvero contano perché toccano i suoi interessi, come Rai e giustizia, la presenza dell’ex premier si è subito avvertita

Siamo la terra dell’eterno ritorno. Dove dietro le insegne del nuovo generalmente si ricicla il vecchio. E, quando si prospetta l’idea del cambiamento e del futuro, molti sono presi dal più cupo sconforto. E, allora, perché meravigliarsi se lui, il Cavaliere, è sceso nuovamente in campo, come annunciano i superstiti cantori del dannunzianesimo berlusconiano? Che fosse uscito veramente di scena nessuno ci aveva mai creduto. Quando sono stati messi sul tavolo i temi “caldi”, quelli che davvero contano perché toccano i suoi interessi, come Rai e giustizia, la presenza dell’ex premier si è subito avvertita. E il Pdl ha ritrovato il suo padre-padrone. Il delfino designato, il povero Angelino Alfano, ha fatto qualche timido tentativo di smarcamento. Ma è apparso sempre come un re Travicello. Ora cadono anche gli ultimi formalismi. E si ritrova nel ruolo di segretario del Cavaliere anziché del partito.

Naturalmente, Berlusconi non è mai affidabile. Può anche accadere che tra qualche giorno smentisca, che si tratti di una  mossa tattica. Sarebbe la sesta volta che si candida, primato che nessuno ha mai raggiunto. Ma non può, questa volta, pensare di poter tornare a Palazzo Chigi. Il Cavaliere è un demagogo. Ma è anche realista. Il suo obiettivo è più circoscritto: mantenere un ruolo cruciale nelle vicende politiche italiane. La cosa che più gli preme è mantenere aperti gli spiragli che, dopo le elezioni dell’anno prossimo, possono portare a un governo di larga coalizione. La cassaforte Fininvest ha subito crolli allarmanti, il patrimonio si è assottigliato. In queste condizioni, Berlusconi può accettare di non vincere alle prossime elezioni. Ma ha bisogno di un partito che gli consenta di contare ancora, sia pure da perdente. E, a questo punto, cosa c’è di meglio di un esecutivo di larghe intese?

I primi effetti del “grande ritorno” si dovrebbero vedere, dunque, con la riforma della legge elettorale. Sappiamo che la cancellazione del “Porcellum” è una promessa rimasta senza seguito, che dal labirinto delle opposte convenienze non si riesce a uscire, che i richiami del presidente Napolitano sono rimasti nella sostanza inascoltati. Ma con Berlusconi in campo lo scenario è destinato a peggiorare, si faranno strada le tentazioni più peccaminose. Quello che serve oggi al Cavaliere è una nuova legge elettorale proporzionale che riproponga la competizione diretta tra i partiti e non tra alleanze e faccia in modo che chi vince vinca solo di poco e abbia bisogno degli altri per governare.

Nessuno può davvero pensare che siano veritieri i sondaggi sbandierati da Berlusconi, secondo cui, col suo ritorno, un centrodestra in decomposizione potrebbe trasformarsi e rilanciarsi, fino a raggiungere il 30 per cento dei suffragi. Il “grande comunicatore” ha ormai un respiro corto. Può risvegliare gli umori minoritari di un Nord impaurito dal rigore imposto da Monti. Provare la riaggregazione di qualche pezzo sparso del leghismo poco convinto da Maroni. Giocare, anche, la carta di un grillismo di destra per frenare le incursioni del comico genovese. Ma la mossa del Cavaliere sembra dettata soprattutto dalla disperazione. Merita attenzione l’imbarazzo con cui il progetto berlusconiano è stato accolto dai settori più avvertiti del Pdl  che avevano coltivato, sia pure tra mille contraddizioni, l’idea di costruire una destra “normale”, vicina al modello dei partiti conservatori europei. La resurrezione del padre-padrone è destinata a squassare il centro-destra.

Questo può interessarci relativamente. Ci interessa di più (e ci preoccupa) quello che si pensa nelle cancellerie europee. Si sono sviluppati pensosi dibattiti su chi garantirà, dopo le elezioni, la trama della politica europea tessuta in questi mesi da Mario Monti, rispettando gli impegni che per i nostri partner, e per la Germania soprattutto, sono indispensabili. Ed ecco che rispunta Berlusconi, l’uomo politico che per tre anni ha negato la crisi, che ha tentato una patetica guerra contro la Germania,  che ha minacciato l’uscita dall’euro e solleticato la suggestione dell’autarchia. Vorrà stupirci ancora con le sue “pazze idee”, come annunciò, un mese fa, quando propose di “far stampare l’euro dalla nostra zecca”? All’inizio, probabilmente, adotterà la linea più soft. Ma poi, mano a mano, che la campagna elettorale si arroventa, riterrà necessario parlare alla pancia degli elettori, vellicandone gli istinti peggiori. Prepariamoci, quindi, alle proposte più strumentali, ai  più bassi calcoli di bottega. I rischi sono molti. Ma non possiamo credere che, questa volta, si permetterà al Cavaliere di rovesciare il tavolo.

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