RAI: una crisi che richiede riforme radicali

09 Lug 2012

Insieme al livello di corruzione e di diffusa illegalità ed al malfunzionamento della giustizia, la condizione dell’informazione televisiva è una delle grandi anomalie che pongono l’Italia ai margini del mondo occidentale. Vale la pena rammentare nuovamente la posizione indecente che il nostro paese occupa in tutte le classifiche mondiali sulla libertà e indipendenza dell’informazione. L’incontro a Roma di Bersani con le associazioni

Insieme al livello di corruzione  e di diffusa illegalità ed al malfunzionamento della giustizia, la condizione dell’informazione televisiva è una delle grandi anomalie che pongono l’Italia ai margini del mondo occidentale. Vale la pena rammentare nuovamente la posizione indecente che il  nostro paese occupa in tutte le classifiche mondiali sulla libertà e indipendenza dell’informazione. I difetti del sistema sono di assoluta evidenza, e ciononostante sono stati dal 1990 ad oggi costantemente negati o almeno gravemente sottovalutati: mentre le regole introdotte negli altri paesi europei sono evolute nel senso di una sempre maggiore tutela della concorrenza e del pluralismo nell’informazione, noi abbiamo conservato una televisione pubblica monolitica e totalmente condizionata dalla politica, proprio in forza del suo assetto istituzionale, ed una televisione privata in chiaro monopolizzata da un unico soggetto, Mediaset, per di più di proprietà dell’uomo politico che ha governato l’Italia nell’ultimo ventennio.
L’anomalia è talmente gigantesca che, come tutte le cose che paiono troppo gravi per essere affrontate (almeno in questo paese), le si è consentito di consolidarsi e di degenerare, divorando il tessuto culturale dell’Italia. I principi affermati dai trattati europei e dalla nostra Costituzione e che valgono in altri settori – la concorrenza, il pluralismo delle fonti informative – sono stati aggirati e congelati nel mondo dell’informazione televisiva,  mediante l’introduzione di leggi imbottite di affermazioni false e declamatorie ma in sostanza sempre adesive rispetto all’assetto esistente del controllo delle reti televisive, sia pubbliche che private.
Le autorità di settore, la commissione di vigilanza sulla RAI sono stati, in tutti gli anni trascorsi dal fallito superamento del monopolio pubblico sulla televisione, sotto il ferreo controllo delle maggioranze politiche succedutesi, dal 1993 identificatesi con la proprietà del monopolista della tv privata. Con il risultato, sotto gli occhi di tutti gli italiani, che sia la tv pubblica che quella privata sono servite ad alimentare un’informazione drogata, di parte, funzionale agli interessi del potere politico ed alla sua preservazione.
E con l’ulteriore risultato che la tv pubblica, in quanto concorrente della tv privata del padrone del paese, è stata indebolita e messa in condizione di non nuocere e si ritrova oggi in condizioni di non sostenibilità economica.
Quanto questo distorto e illegittimo assetto dell’informazione televisiva sia cruciale per la parte politica che fa capo al proprietario della tv privata emerge oggi con violenza nello scontro sulla composizione del consiglio di amministrazione della RAI e sui poteri del presidente indicato dal governo, Annamaria Tarantola. L’obiettivo di risanare la RAI  e di sottrarla, almeno in parte, all’influenza dei partiti non rientra, evidentemente, nelle cose che il PDL è disposto a tollerare, tanto da minacciare la stabilità del governo Monti se esso verrà perseguito.
Alcune sere fa, nell’incontro milanese con Sandra Bonsanti e Gustavo Zagrebelsky, il segretario del PD Bersani ha dichiarato che non ritiene che funzione dei partiti sia quella di riempire istituzioni e società con propri rappresentanti. Libertà e Giustizia è pienamente d’accordo; così come sul fatto che il commissariamento della RAI sia meglio che la ripetizione delle gestioni passate.
Tuttavia questo non basta: occorre riscrivere dall’inizio le regole che disciplinano la RAI e darle un assetto istituzionale che ne garantisca l’autonomia e la credibilità, oltre ovviamente alla sostenibilità economica. Occorre ridare al servizio pubblico la funzione di servire gli interessi dei cittadini anziché dei partiti politici o, peggio ancora, dei concorrenti. Esistono in Europa esempi di disciplina delle emittenti pubbliche dai quali si può imparare molto e facilmente.
Non basta ancora: occorre affermare con chiarezza, sulla base delle infelici esperienze di questi anni passati, che nessuna concessione o autorizzazione per l’emittenza televisiva può essere assegnata a soggetti  che svolgano attività politica o perseguano finalità politiche. Altrimenti, l’indipendenza dell’informazione è pura chiacchiera.
Su questo, chiediamo a Bersani di impegnarsi: ridare al paese un assetto dell’informazione degno di un paese civile.

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