L’ipotesi Monti e il centrosinistra fra «continuità» e «discontinuità»

04 Lug 2012

Dietro le quinte il gioco politico è sempre piuttosto confuso e deludente. Riforme, quasi niente. Messaggi forti al paese, idem. La legge elettorale è ancora un rebus. E tuttavia è cominciata una guerra di posizione che potrà durare a lungo e che ruota attorno al nome di Mario Monti.

La domanda è: dove si collocherà l’attuale premier nella prossima legislatura, cioè a partire dal 2013? Quale sarà il suo ruolo? Sotto un certo profilo, la logica vorrebbe che il presidente del Consiglio restasse al suo posto, visto che ha dimostrato di saper negoziare con i leader europei in una fase d’emergenza tutt’altro che conclusa. S’intende che il governo “tecnico” dovrebbe trasformarsi, una volta rinnovato negli uomini e nei programmi, in un esecutivo dalle solide radici politiche. Una soluzione – si può esserne certi – che i partner dell’Italia vedrebbero con estremo favore, sia nell’Unione sia in America.
Ma la politica ha le sue esigenze. A otto mesi dalle elezioni, la conferma di Monti a Palazzo Chigi dovrebbe essere reclamata, in teoria, da una «grande coalizione» Pdl-Pd-Udc: un patto politico per presentarsi al voto indicando ciò che unisce e non ciò che divide. Ma si tratta di fantapolitica. Avremo una campagna di tipo tradizionale in cui il centrosinistra sembra godere di un vantaggio al momento incolmabile.

Ne deriva che dovrebbe essere il centrosinistra a indicare Monti per il dopo-voto. In fondo il tentativo di definire un’intesa fra Casini e Bersani, rafforzando la linea centrista, avrebbe nella permanenza di Monti il miglior pegno. Tanto è vero che la parola d’ordine dei «montiani» è una sola: continuità. Continuità nel rapporto con l’Europa e con le varie capitali; continuità nelle misure anti-spread per convincere i mercati finanziari.
Ma un centrosinistra tentato dal ridefinirsi intorno al presidente del Consiglio ha già messo in allarme il Pdl, come si legge nelle parole di Gasparri e Cicchitto. A destra non si può accettare che l’alleanza a vocazione moderata fra Casini e Bersani – in sé una pessima notizia per il Pdl – possa far leva sul premier tecnico e “super partes”. D’altra parte bisogna ammettere che l’ipotesi piace poco anche nel centrosinistra. Ai segnali lanciati da D’Alema e dallo stesso Casini, aveva fatto riscontro la freddezza di Bersani. Ieri Fassina, responsabile economico, è stato esplicito in un’intervista ad «Avvenire». Il premier nel 2013 dovrà essere senz’altro Bersani, spiega Fassina, e il programma dovrà essere scritto dal Pd in una chiave «progressista». Con un principio base: «per affrontare i problemi del paese e dell’Europa serve discontinuità». Monti al massimo «potrà dare un contributo».

Discontinuità contro continuità. Sembra un gioco di parole e invece è un’ipotesi opposta a quella ventilata dai fautori del «montismo». Fassina (e non solo lui nel Pd) vuole una campagna orientata a sinistra e poi un governo, guidato dal leader del partito, che stringa un patto di ferro con il socialista Hollande. Come dire: non è solo Monti a saper coltivare le relazioni internazionali. Ma nello scenario disegnato dal collaboratore di Bersani quale potrà mai essere lo spazio anche elettorale di Casini? Il quesito è da approfondire. Sembra che nel Pd ci siano troppe voci discordi e forse manca un po’ di chiarezza sulla strategia. Per fortuna il voto è ancora lontano.

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