Costituzione: l’avventurismo di un referendum sconosciuto

28 Giu 2012

Stefano Ceccanti e Vannino Chiti hanno presentato un disegno di legge costituzionale che propone di sottoporre a referendum di “indirizzo”, strumento sconosciuto alla nostra Costituzione, la forma di governo del primo ministro e quella semi-presidenziale. LeG si unisce allo sdegno e alla preoccupazione espressa dal professor Balboni

Io lo so che ormai tutto è tattica e che non ci si dovrebbe scandalizzare per le quotidiane bassezze ed i baratti parlamentari, ma per gli dei, lasciate la Costituzione fuori dai vostri giochini!
Grande è il discredito che scende sulla classe politica e sul ceto degli esperti quando vengono messi in circolazione testi e proposte di legge nei quali l’avventurismo e la pericolosità fanno a gara con la piattezza e la sciatteria. Mi riferisco al ddl costituzionale per il quale è in corso la raccolta delle firme di adesione (si può leggerne il testo sul sito di Astrid) che ha come primi firmatari non due peones ma il costituzionalista Ceccanti e il vice-presidente del Senato Chiti.
Il ddl cost.citato si espone ad una serie numerosa di dure critiche (spero argomentate) sia sul piano del metodo che su quello del merito. Va ribadito, ancora una volta, che non è lecito utilizzare lo strumento del tutto improprio del referendum di indirizzo, sconosciuto alla nostra Costituzione ed usato malamente, e una sola volta nel 1989, per scopi generici e  patetici (“dare più poteri al Parlamento europeo”) quando la Costituzione si può revisionare solo con il lungo e aggravato procedimento dell’art. 138. E da questo non si può scappare…fatti salvi i tentativi di colpetti di Stato. Troppo facile confezionare per gli elettori un quesito-bersaglio del tipo di quello adesso immaginato (“Ritenete che si debba modificare la forma di governo parlamentare della nostra Costituzione”), il cui lessico volutamente disadorno gli attirerebbe subito addosso le nefandezze della prima e della seconda Repubblica, riunite in un generico vituperio, per presentare poi, subito dopo, le proposte alternative, luminose e progressive, ciascuna coi suoi pregi, della forma di governo del primo ministro e della forma di governo semi-presidenziale. (Fra l’altro, perché non passare allora direttamente a quella presidenziale che avrebbe almeno più pregi che difetti: il sistema costituzionale americano con tutti i suoi controlli e bilanciamenti reciproci tra Presidente, Congresso e Corte Suprema insegni!)
Nel disegno di legge che si sta preparando appare del tutto arbitrario il riassunto delle due forme di governo alternative che i presentatori hanno fatto per rendere il quesito iscrivibile in una scheda elettorale. Ma, ovviamente, se il referendum andasse a buon fine (per loro) quegli elementi precisamente indicati diventerebbero cogenti per quanto dovrebbe essere approvato poi. E già così metà del testo costituzionale sarebbe scritto. Mi è già accaduto di affermare che in questa materia i dettagli non solo sono importanti, ma sono decisivi: perché è lì che si nasconde il diavolo.
Per restare alla forma di governo semipresidenziale, prima di approvarla con un sì, vorrei sapere, ad esempio, se quel Presidente della Repubblica al quale do già tantissimi poteri sarebbe ancora il Presidente del C.S.M., conserverebbe il potere di grazia, manterrebbe il potere di nomina di cinque giudici costituzionali e così proseguendo.  Ugualmente, nel caso di forma di governo del primo ministro, va bene che si prenda a piene mani dal testo costituzionale tedesco, ma ci sono tante articolazioni ulteriori che debbono essere precisate e delimitate prima che io elettore mi senta tranquillo nell’affidare al primo ministro la somma di poteri che ha in questo momento la cancelliera Angela Merkl. Lei, infatti, è tallonata da un sistema politico serio, da un’organizzazione costituzionale federale di tutto rispetto, da un Bundestag coi fiocchi e da un Tribunale Costituzionale con i controfiocchi.
Il fatto è che in un sistema costituzionale tutto si tiene e non ci si può presentare davanti ad un elettore – al quale ovviamente sfuggono i raccordi, i controlli, le tecnicalità – con un piatto composto da polenta, fragole e bulloni, lasciandogli solo intravedere che l’alternativa del governo parlamentare si presenta come una ciotola di ceci e frammenti di vetro difficili da ingurgitare con gioia.
Produce vero dolore che una tradizione culturale, giuridica e politica che, come quella del PD è stata sempre alta, potendo vantare ascendenti di notevole grandezza, quali Mortati, Dossetti, Moro, Fanfani, Togliatti, La Pira, Basso, Terracini, Tosato, giù giù fino ad Elia, venga mortificata da una proposta che rasenta la volgarità quale rifulge nell’art. 6 del ddl. citato, coerentemente rubricato “seguito parlamentare”.
Qui, davvero, quel detto impietoso che comincia con “quos Deus vult perdere…”risulterebbe l’unico appropriato. Si è scritto infatti, che una volta che i sì abbiano premiato a maggioranza semplice (si badi!), gli aneliti riformatori, toccherebbe ai Presidenti delle Camere dismettere i panni, che sono loro propri, di imparziali conduttori ed arbitri dei dibattiti e lavori parlamentari per assumere quelli di reggitori per dodici mesi dell’intero processo costituzionale e politico del Paese! Essi infatti “d’intesa tra loro predispongono tempi e strumenti (?! è contemplato l’esercito?) affinchè le Camere approvino (si badi!: non discutano, ma approvino) una legge costituzionale sulla base dei risultati del referendum”.
Un ultimo, ma significativo, cachinno.
Nella fretta di raccogliere le firme per il deposito di tanto pensiero costituzionale gli estensori sono incappati in uno stupendo infortunio tipico del metodo copia e incolla.
Nell’ansia e nella speranza di ripercorrere i sicuri sentieri del referendum d’indirizzo sperimentato sciaguratamente e del tutto vanamente con l.cost. n.2/1989 (ma questo non è tale!) all’art. 4, rubricato “Propaganda elettorale”, si cade nell’infortunio di consentire l’accesso nella campagna elettorale agli enti e associazioni che abbiano interesse positivo o negativo verso la “formazione dell’unità europea e la promozione dell’Europa comunitaria”, così testualmente.
La gatta frettolosa – lo sappiamo- fa i gattini ciechi. Evidentemente un aiutante poco accorto ha fatto la frittata. Ma si auspicherebbe che i nostri riformatori costituzionali non cadessero in simili beffardi infortuni.
Molto altro ci sarebbe da dire, a cominciare dallo smontaggio di quello che viene sbandierato come il  precedente francese del 1945 (messo anche in bocca a Veltroni, nella recente intervista al Corriere).
Quello del 1945 non fu nella Francia postbellica un referendum d’indirizzo, bensì uno decisorio, sui poteri costituenti o no del Parlamento. Dunque, non è un precedente utilizzabile a sostegno della categoria – si ripete: vuota – dei referendum d’indirizzo.
Del resto, sia in Francia che in Italia, quelli erano altri tempi, ed altri erano gli uomini che li impersonavano. Allo stesso modo, en passant, un velo pietoso va steso sulla bislacca proposta di chiamare federale il Senato adesso reimpostato con la modifica dell’art.57 Cost.
E’ tempo che sull’intera vicenda delle pseudo riforme male abborracciate e peggio assortite cali il sipario.

* Enzo Balboni  è Docente di “Diritto costituzionale” nella Facoltà di Giurisprudenza e di “Istituzioni di Diritto pubblico” nella Facoltà di Economia dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

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