Marianna Scalfaro e i sospetti «scaricati sui morti»

27 Giu 2012

In una lettera al Corriere Marianna Scalfaro difende la memoria paterna: “hanno tentato in mille modi di accusare mio padre di cose le più disparate quando era in vita, senza riuscire ovviamente a trovare nulla di perseguibile. Ci riprovano oggi, puntando a coinvolgerlo nelle polemiche sulla trattativa Stato-mafia, perché non può più rispondere”. Leggi l’articolo di Sandra Bonsanti

Caro direttore,
hanno tentato in mille modi di accusare mio padre di cose le più disparate quando era in vita, senza riuscire ovviamente a trovare nulla di perseguibile. Ci riprovano oggi, puntando a coinvolgerlo nelle polemiche sulla trattativa Stato-mafia, perché non può più rispondere. Cerco di misurare le parole, perché non intendo essere coinvolta in polemiche che ormai vanno al di là degli aspetti giudiziari. Su quella storia so però di poter dire una cosa, rileggendo l’intervista a mio padre pubblicata dal «Corriere della Sera» il 23 luglio 2009: «Voglio essere netto perché questa è una materia che non ammette equivoci o ambiguità: nessuno in nessuna maniera, diretta o indiretta, e neanche ponendo il tema sotto forma di interrogativo, mi ha mai parlato di una cosa del genere quando ero presidente della Repubblica. E, come sa, lo ero diventato esattamente in quel periodo, subito dopo l’attentato in cui rimase ucciso Giovanni Falcone». Conoscendo la lealtà e fedeltà alle istituzioni da parte di mio padre ritengo che l’affermazione riportata sia chiarificatrice. Chiunque volesse dare altre interpretazioni ne risponderà nelle dovute sedi. Questo sempre per rispettare la verità e la figura di mio padre.

Marianna Scalfaro

Marianna Scalfaro ha letto e sentito cose per lei insopportabili, in queste settimane, su suo padre. Mezze accuse già pronte a esser trasformate in sentenze postume, per quanto riguarda l’indagine della magistratura che scava nell’ipotesi di una trattativa Stato-mafia. Frasi accennate da diverse persone sentite dalla Procura di Palermo, il cui senso era di suggerire che l’ex presidente della Repubblica abbia saputo tutto, e per qualcuno condiviso, del negoziato in cui pezzi di istituzioni sarebbero venuti a patti con le cosche.
Sospetti ai quali il capo dello Stato scomparso il 29 gennaio «non può più rispondere», osserva la figlia, che ne difende la memoria con un retropensiero traducibile più o meno così: l’Italia è un Paese dove a volte i morti fanno comodo, perché si possono scaricare su di loro responsabilità altrui. In questo caso, poi, tra coloro che sono stati additati come «parti attive» nell’affaire, di morti ce ne sono altri due: l’ex capo della polizia, Parisi, e l’ex vicecapo dell’amministrazione penitenziaria, Di Maggio.
La donna che è stata «first miss» al Quirinale tra il 1992 e il ’99, nella lettera qui sopra rifiuta di entrare nel merito dell’inchiesta e di lasciarsi coinvolgere nelle polemiche. Si può capirla. Sia perché è una persona schiva e riservata. Sia perché sa bene dove possono sfociare certe campagne, più o meno insinuanti o esplicite: oltre al padre, infatti, lei stessa fu oggetto di veleni e minacce trasversali (della misteriosa Falange Armata). Adesso, per ristabilire la verità, evoca un passaggio dell’intervista di tre anni fa al Corriere, nella quale Scalfaro metteva un punto fermo sulla vicenda. Una testimonianza che scioglie qualche nodo preciso.
L’ex presidente riconosceva, ad esempio, di aver avuto «più che una sensazione» che Cosa Nostra facesse politica con le bombe. E che nel passaggio tra Prima e Seconda Repubblica fosse in corso un feroce dialogo — chiamiamolo così — nel quale gli parve di percepire pure altre ombre. Per lui «dietro quelle vicende s’intravedeva, se non una strategia unitaria che riconducesse ad apparati dello Stato, un intreccio di interessi che si sovrapponevano, mettendo a rischio la saldezza democratica del Paese. Un pericolo che denunciai con quel messaggio tv di cui si tramanda solo la frase del “non ci sto”».
Già, quel videomessaggio esordiva con un preambolo dimenticato, per quanto fosse molto allusivo: «Prima si è tentato con le bombe, poi delegittimando la politica, ora con il più vergognoso e ignobile degli scandali, attaccando la presidenza della Repubblica…». Adesso, anche se escludeva che qualche uomo delle istituzioni avesse trattato con la mafia, Scalfaro tuttavia rammentava come il combinato disposto dello stragismo dei corleonesi, di alcune attività dei servizi deviati e di qualche entità politica rappresentasse, di fatto, in progetto di destabilizzazione. «Un intreccio di interessi sovrapposti», lo definì. Mentre raccomandava «assoluta cautela, per non intossicarci tutti», sulla faccenda della trattativa e del “papello” sul quale Riina avrebbe scritto le condizioni di Cosa Nostra. Questo «anche se non si può mai escludere che ci possano essere state persone, nell’amministrazione dello Stato, che abbiano tradito i loro doveri… come non si può escludere che anche un criminale dica a volte una verità».
E gli interrogativi sollevati dall’ex ministro Scotti, che recrimina di essere stato spostato dagli Interni agli Esteri, subito dopo aver varato misure eccezionali contro la mafia? E il ruolo di Parisi al vertice della polizia? Su questi due fronti critici, Scalfaro era netto. «Non è sensata alcuna doppia lettura: c’erano state le elezioni ed era cambiato il governo. Il nuovo premier, Giuliano Amato, su indicazione della Dc insediò al Viminale Nicola Mancino, scelta considerata ottima per le responsabilità politiche che aveva ricoperto… Su Parisi basti dire che è stato un funzionario eccezionale, con grandi doti professionali».

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