Dopo Lusi quali regole?

21 Giu 2012

Dunque, questa volta nessun trucco, nessuna merce di scambio. L’arresto del non molto onorevole senatore Luigi Lusi era scontato. Schiacciato dall’evidenza dei fatti, il Senato non poteva fare diversamente, malgrado la prassi ferrea con cui ha sempre negato le richieste di custodia cautelare indirizzate ai suoi componenti.

Dunque, questa volta nessun trucco, nessuna merce di scambio. L’arresto del non molto onorevole senatore  Luigi Lusi era scontato. Schiacciato dall’evidenza dei fatti, il Senato non poteva fare diversamente, malgrado la prassi ferrea con cui ha sempre negato le richieste di custodia cautelare indirizzate ai suoi componenti. Dal momento in cui il Pdl, ormai allo sbando, sovrastato da sondaggi che fanno temere la sua decomposizione, ha pilatescamente  deciso di non partecipare al voto, l’esito non è stato più in discussione. Sarà anche l’effetto Grillo. Sarà il ricordo di quel voto dell’aprile ’93, quando il Parlamento negò l’autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi, contribuendo a un terremoto politico dal quale pochi si salveranno. Però, al di là di Grillo, dell’anti-politica, dei ricorsi storici, era davvero impossibile “salvare” l’ex tesoriere della Margherita, in larga parte reo confesso, con le sue case, le sue ville, le sue vacanze lussuose, i suoi  spaghetti al caviale, frutto dello scialo del finanziamento pubblico, vale a dire dei soldi dei cittadini che pagano le tasse.

Lusi è entrato nelle patrie galere, sibilando un minaccioso avvertimento: “Non ho detto tutto perché ci sono una marea di approfondimenti che, se i giudici vogliono, sono disposto a fare”. Aspettiamoci, dunque, uno stillicidio di “rivelazioni”, vere o fase che siano, di colpi e contraccolpi, di deduzioni e contro-deduzioni e così seguitando. Del resto, la battaglia parlamentare che ha portato all’arresto del personaggio, spesso è stato condotta con armi improprie, non in punta di diritto sull’esistenza  o meno del cosiddetto “fumus  persecutionis”. Ad un certo punto,  quando si è prospettata l’utilizzazione del voto segreto, qualcuno, tra i berluscones, ha pensato che persino il “caso Lusi” potesse essere usato contro il governo, magari salvando l’ex tesoriere della Margherita per mettere in  difficoltà Monti, come accadde con Craxi all’epoca del governo Ciampi. Poi, avrebbero pesato i dubbi del Cavaliere. Come che sia, difficilmente si può parlare, per il voto del Senato, di un cambio di passo della classe politica. Per pensare a un ravvedimento, sia pure tardivo dei partiti, ci vuole ben altro. Per cominciare, regole nuove, e ferree, sul finanziamento pubblico. Cosa che non assicura certo la riforma votata il 24 maggio scorso dalla Camera e ora all’esame dei senatori.

La sola “innovazione” portata da questa legge è il dimezzamento dei rimborsi elettorali. Meglio che nulla, si dirà, vista la vorace bulimia partitica. Ma dov’è il vincolo di destinazione  sui quattrini del finanziamento pubblico? Dove sta l’obbligo di giustificare in  concreto le uscite? I controlli appaiono fittizi, le sanzioni sono inefficaci. Si continua a camminare a fari spenti. I bilanci restano opachi. Malgrado risuoni  sempre il campanello d’allarme di studi e ricerche assai accurate che vedono  l’Italia  tra i paesi più corrotti. Saremo ingenui. Ma non dovrebbe uno Stato serio affrontare, una volta per sempre, il dilagante processo di corruzione  della vita politica italiana? Stiamo invece quotidianamente a registrare la squallida casistica di inaudite ruberie.

In linea teorica, qualche speranza l’avrebbe dovuta suscitare il disegno di legge contro la corruzione, riveduto e corretto dal ministro Severino rispetto al testo varato dal suo predecessore Angelino Alfano. Ma, posta la questione in termini pratici, le cose sembrano procedere diversamente. Perché lo spacchettamento del reato di concussione minaccia effetti devastanti. Con ripercussioni assai gravi sui procedimenti in corso. A cominciare dal Ruby-gate che a Milano vede coinvolto Silvio Berlusconi. Per finire con un altro processo che ugualmente potrebbe finire nel cestino: quello a carico di Filippo Penati, accusato di concussione per le aree ex Falck. A conclusioni così aberranti – un vero e proprio compromesso  bipartisan sulla morale – non vogliamo credere. Vogliamo sperare che ci siano partiti pronti a differenziarsi dagli altri e a fare del buon diritto, come dovrebbe essere normale, un principio del proprio agire politico. Altrimenti, nessun voto sul “caso Lusi” potrebbe assicurare la sopravvivenza. Nessuna malizia servirebbe a scongiurare il peggio.

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