Tangentopoli: un destino italiano?

06 Giu 2012

Riportiamo la trascrizione di alcuni tra i passaggi più significativi della Tavola Rotonda con Piercamillo Davigo – magistrato, Aldo Schiavone – storico, Ario Gervasutti – direttore del Giornale di Vicenza sul tema “Tangentopoli: un destino italiano?” che si è tenuta a Bassano del Grappa lo scorso 29 maggio

Riportiamo la trascrizione di alcuni tra i passaggi più significativi della Tavola Rotonda con Piercamillo Davigo – magistrato, Aldo Schiavone – storico, Ario Gervasutti – direttore del Giornale di Vicenza sul tema “Tangentopoli: un destino italiano?” che si è tenuta a Bassano del Grappa lo scorso 29 maggio.

Gervasutti: Sono passati vent’anni da “Mani pulite”. È stato tutto vano? Come mai siamo ancora qui a discutere dell’assenza di una cultura della legalità nella società italiana?

Davigo: Nel 1996, nel corso di un incontro Francia-Italia su temi riguardanti la giurisdizione, chiamato a sintetizzare il periodo 1992-1996, in particolare a spiegare la scomparsa dei partiti tradizionali dalla scena politica italiana, ho detto che l’attività giudiziaria ha svolto, all’epoca, la funzione che in natura svolgono i predatori: il miglioramento della specie predata, con la scomparsa degli esemplari più deboli. Col risultato che, a loro volta, i predatori devono essere ancora più scattanti. Nel nostro caso, la specie predata che si fa più agguerrita è rappresentata dai partiti, i quali, in luogo di collaborare al ripristino della legalità, hanno cercato invece di accreditare la tesi della “persecuzione giudiziaria” e/o della tendenza della magistratura al protagonismo.

Gervasutti: I partiti sono pur sempre l’espressione della società che li sostiene. E allora? Vuol dire che è proprio la società italiana ad essere malata di illegalità, sicché i partiti politici non ne sono che l’immagine fotografica?

Schiavone: Per la seconda volta si ha in Italia un cambiamento della vicenda politica, innescato in via giudiziaria. Nel 1992 il passaggio epocale registrato nella nostra società con il crollo dei partiti tradizionali, in particolare della prolungata egemonia della Democrazia cristiana, si accompagna al crollo del comunismo e alla dissoluzione del regime sovietico. Il ripetersi, a distanza di vent’anni, di una situazione analoga, qual è la nuova profonda crisi dei partiti, in un contesto di crisi globale, collegata con gravi irregolarità della grande finanza, interroga sulla qualità della nostra democrazia, che si trova a chiedere, per un salutare cambiamento di sistema, una supplenza della magistratura.

Gervasutti: Ci sono e, se sì, quali sono le peculiarità della magistratura nell’ordinamento italiano?

Davigo: Noi apparteniamo al sistema di civil law, basato sulla codificazione, a cui si contrappone il sistema del common law, basato più sui precedenti giurisprudenziali (stare decisis). Fatta questa premessa, occorre dire che la costituzione italiana garantisce alla magistratura sia l’indipendenza dagli altri poteri (art. 102 – I giudici sono soggetti soltanto alla legge), sia il controllo della polizia (art. 109 – L’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria). In altri stati è difficile trovare una condizione analoga: si ha o l’una o l’altra delle due garanzie. Ciò non ha tuttavia evitato che l’asse Berlusconi-Bossi abbia contrastato a lungo la magistratura nell’esercizio delle sue funzioni, e conseguentemente l’essenza del nostro status di cittadini.

Gervasutti: Si dice che in Italia i colpevoli godono di maggior tutela che non le vittime. Che cosa si può rispondere?

Schiavone: Osservato che una delle più gravi caratteristiche negative nell’ambito giudiziario è la lentezza, che si traduce spesso in una giustizia negata ad entrambe le categorie, la specificità italiana del potere giudiziario consiste, più ancora che nel supplire alla inadeguatezza dei poteri legislativo ed esecutivo, nell’essere divenuto destinatario di una “delega” della rappresentanza popolare. Gli è che i partiti, cui va riconosciuta la benemerenza di avere saputo radicare la democrazia in Italia, mai affermatasi in precedenza e spenta nel lungo periodo dittatoriale, non sono stati capaci, dopo il felice periodo costituente e immediatamente successivo, di garantire un ricambio. Ciò ha portato a un cedimento della organizzazione politico-amministrativa e alla conseguenza che la magistratura è rimasta per molti il primo termine di riferimento istituzionale.

Gervasutti: D’accordo sui meriti dei partiti nell’avere radicato la democrazia in Italia, ma come mai essi non hanno saputo consolidarla, affrontando i deficit che venivano emergendo, e sono andati, invece, incontro prima ad una crisi che ha concluso quella che ormai si chiama “prima repubblica”, e ora un’altra, che pare concludere anche la seconda? Il problema sta nei partiti o negli italiani? Sono fragili le strutture partitiche o inadeguate anche le basi culturali e politiche di noi cittadini?

Davigo: Occorre risalire agli anni della cosi detta “guerra fredda” e della contrapposizione tra i due blocchi, quello dell’Europa occidentale, legata, con la N.A.T.O., agli Stati Uniti d’America, e quello dell’Europa orientale, rientrante nell’orbita sovietica (patto di Varsavia). In Italia, parte del primo, vi era anche il più forte partito comunista d’Europa, il quale, fuori dalle coalizioni di governo, è rimasto compartecipe, in nome della centralità del parlamento, alle iniziative legislative. Ne è conseguita una produzione elefantiaca, che, invadendo anche la sfera disciplinata da norme di secondo grado (regolamentari, etc.), ha comportato una concatenazione di interventi correttivi, sempre a livello legislativo, anche per questioni marginali. Inoltre, per la ricercata convergenza di tutte le forze parlamentari, detta produzione normativa è spesso connotata da compromessi ed ambiguità, che hanno scaricato sul giudice il compito di destreggiarsi in sofferte interpretazioni, ben al di là di una ordinaria attività ermeneutica. Ne è un esempio, la legge 22 maggio 1978, n. 194, sull’aborto. Nel contempo, una profonda crisi di legalità ha investito i partiti: nella gestione dei fondi, come nel diffuso fenomeno delle tessere truccate. Va ricordato che, nella loro configurazione di associazioni non riconosciute, di tipo privatistico, essi non subiscono alcun controllo, pur essendo destinatari di consistenti quote di danaro pubblico, e che ora, dopo l’abrogazione della legge sul finanziamento, ricevono ugualmente fondi, sotto forma di rimborsi elettorali, senza oneri di giustificazione documentale. Altro esempio di scarso rispetto per la legalità è la mancata dichiarazione di decadenza di parlamentari colpiti da interdizione dai pubblici uffici, a seguito di condanna definitiva, che continuano a partecipare ai lavori, votano e firmano disegni di legge e interrogazioni, mentre la giunta per le elezioni continua a non decidere.

Schiavone: Di fronte a questo decadimento generale dell’etica politica, sorge la domanda: perché li votiamo questi nostri rappresentanti? Qui si affaccia il ben noto problema che l’attuale legge elettorale (c.d. porcellum) non lascia al cittadino alcuna scelta, essendo il candidato imposto dalle segreterie. Si impone una riforma della legge elettorale che rigeneri in noi la consapevolezza della nostra cittadinanza, ridandoci la facoltà di scegliere le persone che ci rappresentino. Altrimenti si continuerà in un sistema di democrazia fragile, incapace di costruire il proprio futuro. Ma basta il ripristino delle nostre possibilità di scelta elettorale a rigenerare un tessuto politico così menomato?

Gervasutti: Uno dei principali problemi del nostro stato resta quello della criminalità organizzata. Quali le possibili difese?

Davigo: In proposito va detto che alle difficoltà indotte dall’ambiguità legislativa, vanno aggiunte quelle dovute ai forti equivoci di fondo alla base di riforme importanti, quale quella del codice di procedura penale, approvata nel 1988, entrata in vigore un anno dopo la sua pubblicazione in G.U. La prospettiva garantista, alla base della riforma stessa, ha favorito una involuzione del procedimento penale, un aumento della sua durata media, una frequente deriva verso la prescrizione. Devo ricordare, ad esempio, che, a differenza di quanto prevedeva il precedente codice del 1930 (con le successive modifiche), vige il principio secondo cui il giudice deve essere una “pagina bianca”, il cui riempimento avviene soltanto durante il processo. Ad esempio, l’attività della polizia giudiziaria, nota al pubblico ministero, viene a cognizione del giudice attraverso le deposizioni testimoniali degli ufficiali di polizia. Il maresciallo dei Carabinieri, a distanza di anni dall’evento, viene in udienza e, autorizzato a consultare gli atti, riferisce quanto verbalizzato: del che è redatto verbale. Si aggiunga, per quanto riguarda in particolare la criminalità organizzata, che nel periodo 1960-1990 si è fatto ricorso 11 volte all’amnistia (estinzione del reato) e 9 volte all’indulto (estinzione della pena), provvedimenti entrambi deteriori per l’incisività del contrasto alla stessa, sì da riportare all’attualità la nota poesia di Trilussa Er leone e er conijo. Devo aggiungere che in occasione di un incontro internazionale, abbiamo avuto qualche difficoltà nello spiegare la peculiarità dei due istituti dell’amnistia e dell’indulto e il loro utilizzo nella storia del nostro paese.

Schiavone: Come si può rimettere in movimento la nostra democrazia? Si impone in termini drammatici un’autoriforma della politica da parte di forze responsabili che sentano il dovere di farsene carico. Bisogna rigenerare la cittadinanza sul versante della politica, i suoi diritti, come anche i suoi correlativi doveri, cioè una vera autocoscienza collettiva, perché una democrazia debole non valorizza i cittadini. Non si può continuare a fare affidamento su una supplenza dell’autorità giudiziaria. I giudici sono i custodi della legge e il loro compito cessa con la sua applicazione, purtroppo in molti casi resa inefficace da improvvide disposizioni procedurali.

Gervasutti: Che cosa dire dell’attività giornalistica nel riferire i problemi della giustizia e le iniziative della classe politica in proposito. Che cosa dire, in particolare, della c.d. giustizia spettacolo ingenerata dalla comunicazione mediatica?

Davigo: Nel marzo 2002 la stampa ha dato conto dell’arrivo del delegato O.N.U. incaricato di monitorare la giustizia italiana, il malese Dato Param Cumaraswamy, il quale, dopo avere incontrato a Roma il vicepresidente del Csm, il Procuratore generale della Cassazione, parlamentari e rappresentanti dell’Associazione nazionale magistrati, è venuto a Milano, dove si è incontrato col ministro di Grazia e Giustizia Castelli ed alcuni di noi magistrati locali. Era l’epoca in cui era in lavorazione il disegno di legge sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, il cui punto considerato fondamentale era la separazione delle funzioni (non delle carriere: unico concorso e unico tirocinio) tra magistrati giudicanti e requirenti. Particolare interessante: è emerso che il delegato malese ha riferito, tra l’altro, di essere rimasto sorpreso nel rilevare che il principio “la legge è uguale per tutti”, evidenziato nelle nostre aule giudiziarie, risultava disatteso da molti casi in cui alcuni risultavano “più eguali degli altri”. Il ministro, nella circostanza, si limitava a commentare che o l’interprete non aveva trasferito correttamente le parole del delegato o l’interlocutore diretto del delegato malese… era comunista.

* Avvocato

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