Vent’anni dopo aspettando legalità e rinnovamento

23 Apr 2012

Vent’anni dopo il tritolo che uccise Giovanni Falcone e la sua scorta e poi Paolo Borsellino e la sua scorta la domanda che ci facciamo è: cosa è cambiato da allora? Vent’anni dopo il rischio è lo stesso. Gli uomini sono gli stessi. Noi siamo gli stessi. I ragazzi che vanno a Corleone ci chiedono di cambiare. Finalmente. Leggi l’articolo sul dibattito a Seravezza

Vent’anni dopo il tritolo che uccise Giovanni Falcone e la sua scorta e poi Paolo Borsellino e la sua scorta la domanda che ci facciamo è: cosa è cambiato da allora?

Un sabato pomeriggio, di questi tempi, a Seravezza. Con i procuratori della Repubblica di Firenze e di Alba. Toscana e Piemonte. Un resoconto amaro. Non ci sono omicidi eccellenti, ma sul fronte campano e calabrese si spara ai sindaci indipendenti, si intimidiscono i giornalisti locali. La criminalità spadroneggia al nord. La magistratura è ancora sotto tiro: la sua autonomia spaventa oggi come e più di vent’anni fa. La corruzione ha ormai sospinto la politica verso un discredito troppo diffuso per esser facilmente colmabile. Il procuratore di Firenze Giuseppe Quattrocchi, introduce una riflessione sulla mafia che non è “solo” criminalità organizzata ma metodo di governo e ricorda che dal giugno del 1999 l’Europa attende la ratifica italiana delle legislazione anticorruzione. Domenico Manzione, toscano oggi procuratore ad Alba, sottolinea che sì, sono vent’anni dal tritolo, ma anche da Tangentopoli e che da allora la politica non è riuscita a varare leggi per combattere le tangenti e ogni altra forma di corruzione a partire da quella privata.

Giuseppe Quattrocchi è convinto che non possiamo soddisfare la coscienza collettiva col solo rispetto delle regole: “In questi ultimi 15, 20 anni abbiamo avuto una drammatica crisi di valori, e io credo che il valore perduto non sia mai del tutto recuperabile”.

“Ma io non posso accettare questo vostro pessimismo” protesta alla fine una ragazza che tutti gli anni accompagna a Corleone gli studenti che lavorano nei campi confiscati ai mafiosi e che vede come sanno partecipare, come capiscono, come sanno ribellarsi al sopruso mafioso le generazioni più giovani. “Io devo credere che sia possibile un’altra Italia perché i ragazzi ce la chiedono”

Ha ragione e mi pento subito delle tinte fosche. Non abbiamo il diritto di strappare speranze per il solo fatto che noi adulti le abbiamo perse. Non abbiamo il diritto di lamentarci e accusare e prevedere sempre il peggio. Non possiamo stroncare le energie positive sotto il peso della nostra esperienza e delle vergogne che sappiamo riassumere così bene e così efficacemente.

Non è questa la strada.

Nemmeno per quanto riguarda il dibattito sulla disaffezione dei cittadini, sulla necessità di rinnovamento dei partiti e della classe dirigente, sulla corruzione. Dobbiamo fare qualcosa.

Ma qualcosa sta accadendo dopo le nostre denunce, gli appelli, i manifesti di Libertà e Giustizia che tanto hanno fatto arrabbiare funzionari e dirigenti soprattutto del Pd? Dopo le irricevibili e insieme ridicole accuse a chi ci ha accusato di essere dalla parte dell’antipolitica, dopo che sul web si sono esibiti in insulti e demonizzazioni degni del vecchio Pci?

Oggi è un coro: commentatori politici e sondaggisti, ma anche dirigenti dei partiti sostengono quello che LeG va dicendo da mesi: i partiti sono la base del nostro sistema democratico e dunque sono essenziali. Ma non “questi” partiti, come dicemmo nel luglio scorso. Non partiti immobili e soddisfatti dal potere accumulato. Non partiti il cui potere si basi esclusivamente o quasi sul finanziamento pubblico, troppo in quantità e speso malissimo.

Abbiamo chiesto partiti più radicati sul territorio che al centro. E che sul territorio vi siano più persone competenti, in grado di ascoltare i bisogni della collettività, di dare risposte e indicare soluzioni che non funzionari adibiti alla gestione e alla spartizione di posti, incarichi, consulenze. Partiti “ponte” fra la società e la politica.

Avevamo chiesto: “non professionisti della politica, ma professionisti del cittadino”.

Partiti pronti a sfidarsi in primarie aperte a tutti, soprattutto per le candidature in Parlamento.

Partiti che rinnovino la rappresentanza in maniera drastica. Partiti case di vetro, dirigenti senza doppi e tripli incarichi. Partiti che sappiano espellere chi sbaglia e pretenderne le dimissioni. Chiarire i casi tenebrosi.

Partiti che ci diano la loro carta d’identità: che dicano come la pensano sull’economia e sulla giustizia, sulle riforme e sulla legge elettorale, sul finanziamento dei partiti e sulla loro democraticità interna. Sulla laicità. Su questi temi cercheremo di decidere al momento del voto.

Forse qualcosa sta accadendo, se dobbiamo dare ascolto al dibattito che si sta sviluppando all’interno delle attuali forze politiche e a chi pensa di crearne di nuovi. Per necessità, forse: per non affogare, tutti insieme.

Ma servirebbe un gesto importante, un messaggio che suonasse : da ora in poi si cambia. Un messaggio difficile, scomodo: sottintende infatti che prima qualcosa non andava. Il riconoscimento di un errore collettivo. Di tutti. Anche della società civile che avrebbe dovuto e potuto fare di più. Da lì si può ripartire.

Nel 1991 Norberto Bobbio disse che una nuova Repubblica “se nascerà con gli stessi uomini che non solo sono falliti ma sono inconsapevoli del loro fallimento, non potrà che nascere male, malissimo”.

Si riferiva alla seconda Repubblica, quella che sarebbe venuta dopo Tangentopoli.

Vent’anni dopo il rischio è lo stesso. Gli uomini sono gli stessi. Noi siamo gli stessi.

I ragazzi che vanno a Corleone ci chiedono di cambiare. Finalmente.

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