Governo e partiti e i giorni del male minore

23 Apr 2012

Dopo la partenza sprint, con la riforma delle pensioni, favorita dall’angoscia per il “pericolo greco”, il Professore è dovuto venire a patti: accettare i compromessi e le frustranti mediazioni imposte dalle forze politiche presenti in Parlamento per avere i voti necessari all’approvazione delle proprie leggi. E i partiti tutto hanno fatto tranne che rinnovarsi, come dimostrano le mancate risposte in tema di finanziamenti pubblici e le ambiguità sulla riforma della legge elettorale

“Il cambiamento è in marcia”, annuncia Francois Hollande. E’ probabile che, quando si va al ballottaggio, il finale sia più aspro e incerto del previsto. Ma, nel frattempo, il vento di Parigi gonfia da noi le speranze della sinistra, nelle sue diverse facce, con  il Pd in testa. Paradossalmente, qualche consenso si leva anche dalle file del Pdl, dove si manifesta forte delusione nei confronti del presidente Sarkozy. Il punto è che il cielo della politica si è fatto a Roma sempre più grigio, con un Paese piegato dalla recessione. D’accordo: la crisi economica attraversa tutta l’Europa. Però, i risultati francesi sono migliori dei nostri. Dopo l’iniziale boccata di fiducia, si ripresentano tutte le difficoltà finanziarie e torna ad agitarsi il fantasma del famigerato spread. In queste condizioni, cala il consenso per il governo. Che appare rattrappito. Privo di slancio.

In realtà, si sta consumando l’illusione sorta con la nascita dell’esecutivo “tecnico”. Al principio, lo schema appariva suggestivo. Il governo del professor Monti chiamato a prendere le decisioni difficili, ma necessarie,  imposte dalla crisi: senza compromessi, senza mediazioni defatiganti. I partiti, a loro volta, impegnati a recuperare la perduta credibilità, a rinnovare se stessi  per non essere sommersi dalle ondate della cosiddetta antipolitica. Invece, le cose sono andate diversamente. Dopo la partenza sprint, con la riforma delle pensioni, favorita  dall’angoscia per il “pericolo greco”, il Professore è dovuto venire a patti: accettare i compromessi e le frustranti mediazioni imposte dalle forze politiche presenti in Parlamento per avere i voti necessari all’approvazione delle proprie leggi. E i partiti tutto hanno fatto tranne che rinnovarsi, come dimostrano le mancate risposte in tema di finanziamenti pubblici e le ambiguità sulla riforma della legge elettorale.

Un alto grado di nevrosi percorre il sistema politico. Dominano gli annunci a sensazione, che sono alla fine una dichiarazione d’impotenza. Il Centro di Casini cerca la strada per espandere l’Udc in partito della nazione. Il blitz spiazza Berlusconi. Che mette in campo la contromossa, assieme al fidato Angelino Alfano. Dopo le amministrative di maggio, i vertici del Pdl avanzeranno una proposta destinata a “cambiare il corso della politica italiana”. Che sarà mai? Certo, dall’uomo che ha evocato il “burlesque” per spiegare le notti di Arcore, c’è da attendersi di tutto. Prepariamoci, dunque, ad altri annunci a catena. Con partiti frammentati, frantumati, in decomposizione. Tanto, quel che conta è l’effetto mediatico.

Non c’è da meravigliarsene se pensiamo che i nostri partiti sono oggi, a stragrande maggioranza, dominanti dal personalismo e dal populismo, e nessun organo collegiale viene consultato quando si tratta di prendere una vera decisione. Berlusconi ha tracciato il solco, con la sua corte di capibranco,  favorite, scudieri. Lui è sempre il padrone del Pdl. Con maggiore sobrietà, e ben minori  mezzi, altri hanno adottato lo stesso schema. Probabilmente, il solo partito simile agli altri partiti delle democrazie occidentali, è il Pd. Ma sbaglia Bersani quando rivendica con orgoglio il suo carattere di “usato sicuro”. Con ciò accetta il grande limite dei Democratici: l’assenza di rinnovamento, la difficoltà a  muovere e coinvolgere forze più ampie.

L’ambiguità è, a questo punto, il tratto dominante della nostra scena politica. La “strana” maggioranza che sostiene il governo si sta facendo sempre più labile. Il clima si è incupito e incattivito. Questo non vuol dire che si debba prestar fede alle ricorrenti ipotesi di elezioni anticipate a ottobre. Chi si assumerebbe la responsabilità di far saltare l’esperimento Monti, diffondendo in Europa un messaggio devastante per il nostro Paese? Tuttavia, non sarebbe confortante una conclusione naturale della legislatura con un governo costretto a procedere tra continue fatiche e, quindi, senza idee e senza slancio. Privi, oltre tutto, di qualsiasi modello convincente per il “dopo Monti”. Non è un’allegra prospettiva dovere, ancora una volta, accettare il male minore per evitare il peggio.

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