Perché lo stato deve finanziare i partiti

La corruzione dei partiti, soprattutto quando sembra un fiume in piena che si ingrossa giorno dopo giorno, ha effetti devastanti. Non soltanto, come è ovvio, sulla stabilità dell’ordine democratico e la credibilità delle sue istituzioni. Ma anche sulla mentalità politica generale. Poiché induce i cittadini a pensare che se lo Stato mettesse i partiti a pane e acqua questi non avrebbero più i mezzi sufficienti per essere disonesti.

Togliere il finanziamento pubblico ai partiti può apparire come la ricetta vincente per costringere all’onestà secondo il detto popolare che l’occasione fa l’uomo ladro. Sull’onda degli scandali giudiziari e in un tempo come questo in cui il governo e il Parlamento impongono ai cittadini enormi sacrifici, questa tesi si fa via via più convincente.

Ma c’è da dubitare che sia la via migliore per impedire la corruzione. Basta ripercorrere brevemente la storia del finanziamento pubblico ai partiti per rendersene conto.

La legge sul finanziamento pubblico dei partiti, introdotta nel 1974 per sostenere le strutture dei partiti presenti in Parlamento, fu voluta e approvata sull’onda di scandali. Attraverso il sostentamento diretto dello Stato, si disse, i partiti non avrebbero avuto bisogno di collusione con i grandi interessi economici. Ma si trattò di una pia illusione perché gli scandali non si fermarono come mostrano le vicende Lockheed e Sindona. Evidentemente, la ragione della corruzione non sta nella sorgente del finanziamento. Che sia pubblicoo privato, la corruzione resta. Quindi, pensare di rendere virtuosi i politici facendoli questuanti di soldi privati è illusorio. Non solo non vale a togliere la piaga della corruzione, ma ne produrrebbe una peggiore. Aggiungerebbe alla corruzione classica, quella cioè dello scambio – favori politici in cambio di denaro- un’altra cheè ancora più devastante per la democrazia: la diseguaglianza politica. Infatti, lasciando che siano i privati a finanziare i partiti si darebbe alle differenze economiche la diretta possibilità di tradursi in differenze di potere di influenza politica. Quindi alla corruzione della legalità si aggiungerebbe la corruzione della legittimità democratica. È questa la ragione per la quale il modello statunitense è pessimo.

In questi giorni di malaffare dilagante, che tocca addirittura il partito che si è consolidato gridando agli scandali altrui, si sente proporre il modello americano, magari corretto. Contro quel modello da anni si battono giuristi, opinionisti e teorici politici americani (da John Rawls a Ronald Dworkin tanto per menzionare i nomi più prestigiosi). Gli Stati Uniti sono la prova evidente di quanto sbagliato sia per la democrazia avere partiti privatizzati.

Per un democratico, proteggere le istituzioni politiche dalla corruzione significa proteggere l’eguaglianza politica dall’infiltrazione della diseguaglianza economica. La democrazia accetta le differenze economichee crede che sia possibile impedire che trasmigrino nella sfera politica. Essa quindi si avvale di istituzioni, procedure e norme che bloccano il travaso di influenza economica in influenza politica.

Peri critici di destrae di sinistra questa è una illusione. Perché non sia un’illusione occorrono buone leggi. Ora, le controversie americane sulla questione dei finanziamenti delle campagne elettorali vertono tutte su questo tema. La lotta tra il potere legislativo (il Congresso americano ha proposto e passato leggi che regolano e limitano il finanziamento privato) e il potere giudiziario (la Corte Suprema ha in casi importanti bloccato l’azione del legislatore) verte proprio sull’interpretazione della libertà, se solo un diritto dell’individuo (indifferente all’eguaglianza di condizione) o invece un diritto del cittadino (attento all’eguaglianza di opportunità politica). Il giudici sono schierati con la seconda interpretazione.

Il loro punto di riferimento è il Primo emendamento alla costituzione, il quale tutela la libertà di espressione dall’interferenza dello Stato.

Come bruciare la bandiera è stato definito, in una sentenza memorabile, un segno di libertà di opinione quindi un diritto intoccabile, così è per le donazioni private ai partitio ai candidati. Bloccarle significa, dicono i giudici, bloccare la libertà di espressione. Nella sentenza del 2010 (che riprendeva sentenze precedenti molto importanti) conosciuta come Citizens United versus Federal Election Commision, la Corte Suprema a maggioranza liberista-conservatrice ha sì riconosciuto che “l’influenza del denaro delle corporazioni” esiste ed è “corrosiva” perché causa di corruzione in quanto facilita una “influenza impropria” ovvero una ineguale “presenza politica” nel foro politico. Nonostante ciò, la Corte ha concluso che nonè comunque provabile che le compagnie private perseguano piani espliciti quando finanziano le campagne elettorali. Non si può provare che il loro denaro si traduce in decisione politica. Quindi non si può impedire la libertà di donazione. Tuttavia l’uso dell’espressione “influenza impropria” è significativo perché suggerisce che la base della democrazia è l’eguaglianza politica dei cittadini, ovvero la loro eguale opportunità di influire sull’agenda politica dei partiti, non solo attraverso il voto. Allora, quando c’è corruzione? C’è corruzione solo quando un politico è colluso? Non c’è corruzione anche quando si dà ad alcuni cittadini più opportunità di voce che ad altri? Se per la virtù repubblicana la prima solo è corruzione, per i democratici la seconda è anche e forse più grande corruzione. Perché lede il fondamento della libertà politica eguale. Ecco dunque che la questione di come finanziare i partiti rinvia a una concezione della libertà: se solo del privato individuo che vuole dare i soldi a chi desidera, o invece del cittadino che deve godere di una eguale libertà rispetto agli altri cittadini e non avere meno opportunità di altri di far sentire la propria voce. Nella democrazia rappresentantiva ancor più che in quella diretta, l’esclusione politica può facilmente prendere la forma del non essere ascoltati perché la propria voce è debole, non ha mezzi per giungere alle istituzioni.E il denaro è un mezzo potentissimo.

È questa la ragione per la quale è importante avere il finanziamento pubblico dei partiti. Certo, si può intervenire sulla quantità, le forme, le condizioni; si possono inasprire le pene per chi viola la legge. Ma è sbagliato pensare di combattere la corruzione e il malaffare di cui i politici e i partiti si macchiano eliminando il finanziamento pubblico. Privatizzare i partiti (già ora troppo aziendalie familistici) significherebbe indebolire ancora più gravemente l’eguaglianza politica.

3 commenti

  • La questione di una legge, e quale, di finanziamento pubblico ai partiti pare emergere ciclicamente solo perché gli stessi scandali si ripropongono ciclicamente. Solo e sempre le “ruberie” fanno scandalo, come se comportamenti scorretti presenti già da molto tempo fossero consentiti o fosse lecito nasconderli. E le difese dei responsabili dei partiti accusati sono sempre le stesse: non sapevamo, non me ne sono mai occupato direttamente, mi occupavo di cose politiche e non di soldi… e via di questo passo. Una vergogna e un’ulteriore offesa al buon senso comune. Quand’è che gli uomini politici, tutti, si prenderanno almeno quelle responsabilità che i cittadini hanno loro affidato?
    La sig.ra Urbinati afferma che soltanto il finanziamento pubblico garantirebbe la difesa della democrazia rappresentativa. In un sistema politico virtuoso certamente pochi avrebbero da contestare queste affermazioni. Certo, ripete, va visto con quali modalità, per quale periodo, per quali fini, e quante risorse ad esso destinare.
    A mio avviso con questo comunque non si eviterà quello da lei paventato. Ovvero la privatizzazione dei partiti o comunque il peso considerevole dell’intervento privato nei partiti. Il denaro è un mezzo potentissimo anche in politica, non solo in economia, all’estero come in Italia.
    Il caso Berlusconi insegna. O il caso Bloomberg a New York.
    Si dovrà certo limitarlo, farlo emergere alla luce del sole, ma non escluderlo. Sarebbe un’ipocrisia.
    E allora cosa fare?
    Se andiamo a leggere con attenzione il rapporto del GRECO (Gruppo di Stati contro la corruzione) del Consiglio d’Europa datato 23 marzo 2012, – purtroppo ancora non tradotto in italiano – nella seconda parte (sulla trasparenza del finanziamento dei partiti), vengono poste in evidenza tutte le opacità, le ritrosie, anche le violazioni con le quali per anni partiti politici hanno agito pur in presenza di leggi, seppur male articolate e peggio applicate e controllate. E si formulano diverse e specifiche raccomandazioni affinché questo stato di cose venga superato.
    Sotto l’onda dell’indignazione popolare i partiti politici si apprestano, molti, a fare quello che non avrebbero mai voluto fare, almeno oggi; il formulare proposte per la loro sopravvivenza, il restituire in fretta e furia il maltolto, il promettere di non riscuotere l’ultima rata del “rimborso”.
    Ma sono credibili?
    Oggi non ci troviamo in un sistema politico virtuoso altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di delegare il governo della nazione ad un gruppo esterno di professionisti, pur competente e prestigioso.
    Ci troviamo in una situazione in cui in Italia si sono sommati, ai problemi derivati dall’attuale gravissima crisi internazionale, il permanente ed enorme deficit di legalità, l’altissimo tasso di corruzione, la paradossale evasione fiscale e tutto questo è avvenuto sotto gli occhi del nostro sistema politico, tutto, che da anni non ha voluto o potuto fronteggiare adeguatamente queste sciagure.
    E’ per questo che prima, o insieme, all’eventuale riforma del finanziamento pubblico va posta l’esigenza della riforma dei partiti e va ripetuto quanto scritto nella nostra costituzione
    Il significato dell’esistenza stessa di un partito va riportato a la costituzione (art.49: “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” – diritto non significa dovere e quindi si può concorrere anche senza appartenere ad alcun partito). “Concorrere a determinare la politica nazionale”, quella sul lavoro, sulla sicurezza sociale, sull’istruzione, la sanità e via dicendo rigettando ogni altro compito quale quello di accaparrarsi legalmente e illegalmente enormi risorse e quello altrettanto aberrante di spartirsi posti di potere ovunque, in enti pubblici o falsamente privati (ENI, ENEL, RAI, Finmeccanica, Ferrovie delle Stato, Ospedali, Municipalizzate varie, ecc. , fintanto in enti privati, nelle banche)
    Qui sta il punto. Quanti sarebbero ancora gli italiani disposti ad affidare i propri soldi per la democrazia, anche con leggi più affidabili, ai partiti così come sono ora? Pochi, pochissimi stando ai tanti sondaggi.
    E allora un invito alla politica e a quanto ancora loro resta di dignità, parafrasando uno slogan che purtroppo sta diventando un ritornello in ogni occasione : se non ora quando?

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