Per tornare ad esistere

16 Apr 2012

Per quanto la Costituzione della Repubblica sia formalmente vigente, l’apparato valoriale che la sosteneva sembra essersi sbiadito. Basta pensare alla partecipazione dei lavoratori alla vita politica economica e sociale del paese. Al rifiuto della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Alla famiglia, al diritto allo studio. Al diritto all’uguaglianza sostanziale

“Come un’ombra che non dura se non un istante senza ritorno”. Un istante e via, si arriva a non durare più, in altre parole, si scompare.
In questo inizio di primavera astronomica si percepisce la fine di un altro autunno: che stia per arrivare un lungo inverno?
L’autunno di un Paese che rischia di perdere la propria ombra diventato ormai trasparente alla luce perdendo anche le ultime foglie. Si, questo nostro Paese è diventato trasparente: sembra non esserci più.
Il Presidente della Repubblica ha preso una netta posizione affermando che “chi evade le tasse non merita di essere italiano”. Una frase che colpisce perché colloca il discorso politico esattamente dove esso dovrebbe svolgersi: nel mondo dei valori, dei significati e delle passioni.
Come non essere d’accordo con Il Presidente Napolitano, ma il problema, la sostanza sta prima:  meritevoli di essere chi? Italiani? Ma cosa siamo?
Do per certo che, ancora, in alcune istituzioni e in numerose risacche della società italiana esista  un’idea identitaria, valoriale di cosa sia l’Italia. Un’ipotesi di principi e valori non negoziabili per fondare il nostro convivere, l’idea di un Paese. Un esempio luminoso è il Capo dello Stato che ancora incarna l’idea di una Repubblica, quel luogo dove il pieno sviluppo della persona umana è il compito ultimo della Politica.
Però non stiamo parlando di singole persone, istituzioni o gruppi per quanto illustri siano. Stiamo discutendo di quello che si suppone essere una Nazione, un Paese. Quel concetto del discorso politico che dovrebbe provvedere alla sintesi delle moltitudini che lo compongono.
Un Paese, come l’Italia, innanzi tutto deve esistere; oltre e in ciascuna delle mille consorterie, associazioni, famiglie, gruppi di società, imprese, partiti, sindacati, associazioni professionali, disoccupati e semplici bevitori di ambrosia. Deve esistere quell’idea di società che sia misura del giudizio di meritevolezza o meno di qualunque atto politico. Se in tutte queste componenti umane, spesso in taluni ambiti confliggenti tra loro, non esiste un’ipotesi identitaria costituita da valori e principi indiscutibili questo Paese chiamato Italia in realtà non c’è. Non fa ombra.
L’evasione delle tasse è un chiaro esempio di un atto politico. Se a livello sistemico le persone all’interno di quello che si suppone essere un Paese non pagano le tasse non si possono dire immeritevoli di alcunchè, perchè non c’è niente a cui misurarsi. Se la compartecipazione alle spese pubbliche è percepita a livello sistemico come non necessaria significa che non esiste nessuna direzione comune. Se a livello sistemico non c’è adesione ideale ai fini perseguiti dagli apparati pubblici il fatto che non si paghino le tasse è solo il risultato di questa più grande assenza.
E’ quello che succede in Italia.
Sotto un’altra luce l’Istat dipinge lo stesso quadro fatto di giovani che decidono di non fare nulla. Non disoccupati: inattivi. Uno su quattro. Nel periodo della vita in cui la Storia e la Letteratura ci insegnavano risiedere la forza, l’audacia e la voglia di realizzare i più grandi sogni, oggi domina la sconfitta. Cos’è questo scenario? La dimostrazione che siamo una generazione di stolti e pigri? Non ci credo. E’ ancora una volta il risultato dell’inesistenza di una direzione comune. Si perchè se un giovane su quattro non lotta più per trovare un lavoro o per formarsi nello studio il problema è a livello sistemico, di Paese, identitario. Non c’è una forza propulsiva, come poteva essere “il pieno sviluppo della persona umana” nei tempi Repubblicani del dopoguerra.
Sì, perchè per quanto la Costituzione della Repubblica  sia formalmente vigente, l’apparato valoriale che la sosteneva sembra essersi sbiadito. Basta pensare alla partecipazione dei lavoratori alla vita politica economica e sociale del paese. Al rifiuto della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Alla famiglia, al diritto allo studio. Al diritto all’uguaglianza sostanziale.
Tutti valori progressivamente degradati a semplici declamazioni.
E’ evidente che non sono più questi i parametri dominanti nei discordi pubblici. Per giustificare una azione politica non si fa più riferimento all’uguaglianza, ma all’efficienza; non più alla giustizia, ma alla conformità a standard. Abbiamo licenziato un dio, senza dare un nome al suo sostituto.
La Repubblica non c’è più, perlomeno non sembra essere l’idea maggioritaria.
E’ dal fatto che non ci sia più la Repubblica e che non sia stata sostituita da un altro sistema valoriale formalizzato che l’Italia non esiste più, che ha perso la sua identità. Si parla di governo tecnico, ma un governo tecnico è composto di persone che applicano regole, non importa se economiche, giuridiche o di altro genere. L’elemento caratterizzante sta nel fatto che questa attività tecnica è svolta in un contesto valoriale che ne orienta la direzione.
La vera crisi, oggi, in Italia nasce dal fatto di avere un “governo tecnico” e non avere più la Repubblica come sfondo identitario che ne orienti le scelte.
Assistiamo ad una attività di governo informata nella sostanza ai criteri di efficienza ed efficacia, ma sono questi dei fini? E’ questo ciò che ci identifica come Paese? Certo che no, come potrebbe? L’efficienza esprime un rapporto tra risorse mobilitate e risultati ottenuti; l’efficacia esprime la misura della corrispondenza tra obiettivi e risultati. Non sono niente.
Dove i fini, dove gli ideali, a quando le visioni? Dov’è il senso?
Non parliamo più di che cosa sia, di cosa vogliamo, se e cosa esiste o no. Abbiamo esiliato da ogni discorso il senso del perchè facciamo ciò che facciamo. Produciamo più o meno ricchezza, sappiamo come e perchè non siamo competitivi, ma non ci domandiamo neppure il perchè di tutto questo affannarsi. Creare energia per quale Italia? Ma non basta nemmeno, per quale Europa? Per quale mondo?
Torniamo a parlare, torniamo a pensare. Torniamo a scegliere cosa è indiscutibile e cosa no. Quali valori sono non negoziabili, quali principi applicare per realizzarli.
Solo i fantasmi non hanno l’ombra, restano errabondi fino a che rimangono con qualcosa in sospeso, poi svaniscono. L’Italia non ha più l’ombra e sembra sospesa come nel corso di una procedura di liquidazione. Esauriti i rapporti debitori scomparirà anche lei. Come un fantasma che per un pò di più ha abitato la terra, ma pur sempre un fantasma senz’ombra.
Chi siamo, cosa vogliamo, in cosa crediamo. Quest’Italia d’Europa deve rispondere, adesso. Ad un trittico di generazioni di Italiani ed Europei dobbiamo domandare: tu in che cosa credi?
Per tornare ad esistere.

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