Lega ladrona…

04 Apr 2012

E’ stata una svolta improvvisa e traumatica. Che fa cadere anche l’ultimo velo, quello della “diversità” della Lega di Umberto Bossi, aspro censore del malcostume degli altri, oggi nel pieno di una tempesta giudiziaria dalla quale il partito potrebbe uscire disintegrato

E’ stata una svolta improvvisa e traumatica. Che fa cadere anche l’ultimo velo, quello della “diversità” della Lega di Umberto Bossi, aspro censore del malcostume degli altri, oggi nel pieno di una tempesta giudiziaria dalla quale il partito potrebbe uscire disintegrato. E’ una sorta di nemesi per un Movimento che aveva lucrato consensi al grido di “Roma ladrona” e che si era proposto come la sola alternativa credibile al sistema dei partiti franato assieme alla Prima Repubblica. In realtà, anche allora la Lega aveva qualche scheletro nell’armadio, avendo incassato, nel 1993, la sua quota nella maxi-tangente Enimont. Poi, ci furono altri eventi quanto meno oscuri, come la crisi della Banca padana (la Credieuronord) e i rapporti con Giampiero Fiorani, il banchiere della Popolare di Lodi. Ultimamente i fantasiosi investimenti esteri a Cipro e in Tanzania. Bazzecole, verrebbe da dire, rispetto alla situazione che emerge ora dall’inchiesta congiunta delle Procure di Milano, Napoli e Reggio Calabria. Un’inchiesta dalla quale dovrebbe risultare chiaro come, fin dal 2004, la gestione dei fondi pubblici arrivati alla Lega sia stata irregolare. E sia servita a coprire, come  scrivono i magistrati, anche “esigenze personali” di familiari del capo del Carroccio.

Bossi si difende affermando che “colpiscono lui per colpire il partito”. L’ argomento non è diverso da quello usato da tanti personaggi della Prima Repubblica finiti nelle indagini della magistratura. Tuttavia, molti, anche tra quanti non simpatizzano con la Lega, sono convinti che il “senatur” sia estraneo al marciume portato alla luce dalle inchieste. Da anni, colpito dalla malattia, il leader leghista avrebbe perso, infatti, il ferreo controllo che esercitava sul partito. Ma, a ben guardare, il problema è più ampio, e trascende la stessa sorte di Bossi. Investe tutto l’assetto di potere che è stato edificato negli ultimi anni. Investe una struttura che ha finto di non vedere e di non sapere: anche quelli che ora si appellano all’esigenza di “fare pulizia”, ma non si sono preoccupati di accertare e di verificare a tempo debito, pur avendone i mezzi.

Oggi, siamo al colpo di grazia. Che non risparmia nessuno. Il caso dello spregiudicato tesoriere leghista, Francesco Belsito, finito sotto inchiesta, chiude l’ultima pagina di una sporca vicenda. Si aggiunge a quello, non meno clamoroso, di Luigi Lusi, il tesoriere della Margherita. Ad altri scandali, alle disavventure giudiziarie di tanti amministratori locali, dal Nord al Sud. E’ su questo che bisogna riflettere perché nessuno ha di che menare vanto. Sono tutte vicende che denunciano una crescente situazione di degrado. Portano, al centro dell’attenzione, la mancanza di regole e di garanzie. Alla quale ha dato alimento anche l’indecente normativa sul finanziamento dei partiti. Fu nel 1993 che un referendum popolare abrogò il finanziamento pubblico. Ma i partiti, con l’eccezione dei radicali, ne ignorarono i risultati, e finirono per capovolgerne l’esito attraverso un nuovo sistema basato sui rimborsi elettorali. Un sistema perverso, senza alcuna trasparenza, senza correttezza, che ha permesso di elargire “liberamente” milioni e milioni di euro. A vantaggio di ristrette oligarchie che si sottraggono a ogni verifica.

Siamo giunti, così, all’ultimo capitolo. In cui non sono più concesse vie di fuga. Non può un’opinione pubblica, colpita ogni giorno dalla sciagura della disoccupazione e della recessione, accettare ancora che risorse della comunità siano sperperate, o addirittura rubate, per fini privati. La cancellazione di questo  indegno sistema  lo chiedono i cittadini. Ma dovrebbero volerlo anche i partiti, se davvero contano di recuperare la credibilità perduta, di uscire dall’abisso in cui sono precipitati. Francamente, non si può indulgere all’ottimismo. “Moralizzare”, è stato finora uno slogan al quale non sono seguiti fatti concreti. Tuttavia, è un’esigenza alla quale nessuno governo, anche se fatto di “tecnici”, può restare estraneo. Abbiamo seguito con attenzione le riunione di vertice, tra Monti e la sua “strana” maggioranza, per trovare un’intesa sulla riforma del mercato del lavoro. Vorremmo avere notizia anche di un vertice, altrettanto fruttuoso, per assicurare regole, garanzie, trasparenza. In una parola, per fare finalmente pulizia. O è chiedere troppo?

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