Disoccupazione giovanile: strumenti e prospettive

04 Apr 2012

Più appropriato sarebbe stato dire: “DISoccupazione giovanile: strumenti e prospettive”, ma si è cercato di lasciare spazio a un approccio costruttivo per il primo intervento organizzato dal circolo udinese di Libertà e giustizia, svoltosi proprio nei giorni più accesi della discussione sulla riforma del lavoro Monti – Fornero

Più appropriato sarebbe stato dire: “DISoccupazione giovanile: strumenti e prospettive”, ma si è cercato di lasciare spazio a un approccio costruttivo per il primo intervento organizzato dal circolo udinese di Libertà e giustizia, svoltosi proprio nei giorni più accesi della discussione sulla riforma del lavoro Monti – Fornero.
L’incontro, tenuto dalla Prof.ssa Valeria Filì – professore associato in diritto del lavoro presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Udine – è stato introdotto dalla coordinatrice del circolo, prof.ssa Loredana Alajmo, che ha voluto ricordare la centralità del lavoro nell’ordinamento italiano leggendo gli articoli 1 e 4 della nostra Costituzione.
La Prof.ssa Filì ha illustrato l’attuale situazione dell’occupazione giovanile in Italia, ricostruendone le cause sul piano dell’offerta e della domanda di lavoro, per poi passare a un’analisi della riforma in corso e offrire un’alternativa e strumenti concreti per i giovani italiani.
L’anomalia italiana ha le sue radici e allo stesso tempo conseguenze nell’errata definizione del termine “giovani”: chi sono i giovani? Secondo le ricerche in alcune regioni il concetto è esteso ai quarantacinquenni, non solo nell’immaginario collettivo ma anche in termini tecnici, vale a dire nella stipulazione di contratti di formazione e lavoro. D’altro canto è proprio la precarietà che induce la cosiddetta “sindrome del ritardo” per cui si esce in età più avanzata dalla scuola e da casa e si resta precariamente “giovani” ben oltre la soglia dei 29 anni determinata dal diritto comunitario. Il risultato è una bassa fecondità e un tasso di ricambio genitori – figli  tra i più bassi del mondo, andando a gravare sulla sostenibilità del nostro sistema sociale e quindi sulle generazioni future, come una gatto che si morde la coda. Di fronte a questo dramma la politica resta sorda e cieca, riversando le colpe sui “mammoni” che pretendono “un noioso posto fisso”, senza riconoscere che tali fenomeni sono indotti e ammettere quindi le proprie responsabilità.
È proprio nella rinuncia da parte del settore pubblico a impegnarsi per l’occupazione che la prof.ssa Filì individua  alcune importanti cause del fenomeno: le riforme dei centri per l’impiego sono fallite e non sono stati introdotti servizi pubblici che avrebbero potuto integrare i centri esistenti. L’onere è quindi ricaduto sulle agenzie private, un tempo escluse dal mercato del lavoro e che ora proliferano, così come i siti internet nati con lo stesso obiettivo. Alla politica va attribuito anche il mancato varo di una vera e propria riforma del sistema di istruzione e formazione, dell’università e una crescente disattenzione nei confronti della formazione professionale.
In merito alla domanda di lavoro, non sono state prese misure di politica industriale atte ad affrontare la forte competitività sul mercato globale che ha portato a una “globale” diminuzione del costo del lavoro. A ciò si aggiunge il blocco delle assunzioni da parte della Pubblica Amministrazione e il graduale impoverimento delle pensioni, che induce gli “anziani” a restare volontariamente nel mercato del lavoro, entrando in concorrenza con i più giovani.
Di fronte a questo scenario, cosa propone la riforma Monti – Fornero?
Le norme non sono ancora state scritte, ma la cronaca ci permette di evincere che la riforma non favorirà i giovani. L’elevazione dell’età pensionabile e il blocco delle pensioni bloccano il turn – over; l’apprendistato, già riformato alla fine del 2011, sarà strumento di assunzione anche per i lavoratori in mobilità non più giovani ma privilegiati dall’esperienza. La concorrenza sarà alimentata anche dalla riforma degli ammortizzatori sociali, che costringerà i disoccupati sulla soglia dei 60 anni a cercare un’occupazione. La ricerca di un lavoro nella legalità verrà ulteriormente scoraggiata dalla dissoluzione delle tutele previdenziali, per cui, a conti fatti, le pensioni saranno così povere che il lavoro nero risulterà più conveniente. La riforma dell’articolo 18, venduta come strumento per l’occupazione giovanile, non è in realtà determinante per i giovani, che difficilmente lavorano nelle grandi imprese dove viene applicato lo Statuto dei lavoratori.
Fermo restando che non è il diritto del lavoro a creare occupazione, ma piuttosto misure di politica industriale e fiscale che purtroppo non sono state prese in considerazione, cosa sarebbe possibile fare concretamente sul piano del diritto per affrontare il tarlo della disoccupazione giovanile?
La Prof.ssa Filì ha ipotizzato un più ampio e deciso intervento pubblico nella mediazione, vale a dire nel miglioramento dei centri per l’impiego, diversamente dai tentativi falliti negli ultimi 15 anni. Positivo sarebbe anche l’impatto di benefici specifici per l’assunzione dei giovani, così come l’allungamento del patto di prova e la redistribuzione delle tutele, al momento scarse o nulle per gli ultimi arrivati.
Ma ora come ora, come può il singolo individuo costruirsi un futuro? Come non farsi scoraggiare dalla drammaticità della situazione? Come continuare a credere nelle proprie capacità in una società incapace di riconoscerle?
La parola d’ordine è studiare, in particolare per le donne: le ricerche dimostrano che l’istruzione rappresenta lo strumento più importante per non uscire dal mercato del lavoro. Ognuno deve trovare in sé la forza e la determinazione e vivere l’università non come un “limbo” o un “parcheggio” in cui rifugiarsi e indugiare di fronte alla paura di un mondo che ha poco da offrire, ma come luogo dove mettersi alla prova e da cui partire per costruire con forza il proprio successo professionale.

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