Da Caselli ai partigiani l´ultimo affronto dei No-Tav

28 Mar 2012

Frange estremiste del movimento No Tav ci hanno provato di nuovo, questa volta a Milano: volevano impedire di parlare al procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli che accusano di avere fatto arrestare, lo scorso gennaio, i loro compagni, imputati delle violenze avvenute in Val di Susa nell´estate del 2011

Frange estremiste del movimento No Tav ci hanno provato di nuovo, questa volta a Milano: volevano impedire di parlare al procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli che accusano di avere fatto arrestare, lo scorso gennaio, i loro compagni, imputati delle violenze avvenute in Val di Susa nell´estate del 2011. Bene ha fatto il Comune a garantire il normale svolgimento dell´iniziativa. All´incontro pubblico hanno partecipato anche Umberto Ambrosoli, il presidente dell´Anpi Carlo Smuraglia e Sandra Bonsanti presidente di Libertà e Giustizia. Simili episodi di intolleranza e di intimidazione, seguiti da una serie di scritte sui muri come «Caselli mafioso», «Caselli boia», «Caselli ti faremo a brandelli», si stanno ripetendo sull´intero territorio nazionale, da Genova a Torino, da Piacenza a Palermo, ove, troppo spesso, per motivi di ordine pubblico, viene impedito al magistrato di parlare.
A Milano, l´azione degli antagonisti è stata accompagnata da striscioni che inneggiavano alla Resistenza: un estremo paradosso se pensiamo che costoro volevano impedire di parlare al presidente dell´Associazione partigiani, Carlo Smuraglia, classe 1923, che la Resistenza non l´ha vagheggiata, ma l´ha fatta per davvero quando c´erano da difendere la democrazia e l´onore dell´Italia. I No Tav protagonisti del blitz hanno chiesto di non «usare la memoria dei vecchi partigiani contro i partigiani di oggi», cioè loro, ma le due storie, e non solo le memorie, non hanno nulla in comune e non possono essere mescolate se non a prezzo di un ideologismo che serve solo a confondere e a recidere i legami tra le generazioni. Per questa ragione Caselli ha giustamente ricordato che si tratta di «un´appropriazione indebita dei valori della guerra partigiana» e di «un servizio ottimamente reso al peggior revisionismo o addirittura al negazionismo». Ma ha aggiunto con amarezza che«sarebbe un superficiale se non si sentisse minacciato». Queste parole devono fare riflettere perché vengono da una personalità che è abituata a misurarle e che in passato ha contrastato sino in fondo, e a rischio della sua stessa vita, le due più importanti battaglie democratiche combattute nell´Italia del dopoguerra: negli anni Settanta e Ottanta contro il terrorismo, negli anni Novanta contro la mafia. I simboli, le scritte, i metodi, le accuse contro di lui ci riportano indietro negli anni, ricordando che un filo sottile, ma ancora presente unisce il reducismo degli anni di piombo, che riteneva Caselli un nemico da abbattere, con la parte più dura e intransigente del movimento No Tav di oggi. Far finta di non vederlo sarebbe un errore, perché esistono una contiguità ambientale e culturale, un rapporto tra le generazioni e una mitologia della violenza incline all´immagine della valle ribelle che mettono radici e si alimentano nel vuoto della rappresentanza. Il punto politico è che così facendo non si difendono le ragioni del movimento No Tav, che pure ci sono e hanno il sacrosanto diritto di esprimersi. Al contrario, esse sono oscurate e fagocitate nel solito cortocircuito violenza/repressione. In giro ci sono troppo odio e troppo silenzio: lasciamo stare i partigiani e lasciamo parlare Caselli, poiché esiste un altro filo da cogliere e valorizzare, quello che unisce la trama sempre difficile della democrazia italiana.

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