Il tabù rovesciato

27 Mar 2012

Ezio Mauro

“Se il Paese non è pronto” il governo potrebbe anche lasciare. Non è una frase felice quella pronunciata a Seul dal Presidente del Consiglio riguardo all’articolo 18. Chi certifica infatti quando il Paese è “pronto” e in base a quale canone?

DUNQUE “se il Paese non è pronto” il governo potrebbe anche lasciare. Non è una frase felice quella pronunciata a Seul dal Presidente del Consiglio riguardo all’articolo 18. Chi certifica infatti quando il Paese è “pronto” e in base a quale canone? E soprattutto non siamo a scuola e non tocca ancora ai governi dare il voto ai cittadini: semmai l’opposto.

Non c’è alcun dubbio che se fino ad oggi il voto dei sondaggi per Monti è stato così alto, questo è dovuto in gran parte a due caratteristiche del Premier: il disinteresse personale e la capacità di decidere. C’è dunque un timbro di sincerità quando il Capo del governo spiega che non tirerà a campare pur di durare e non lascerà snaturare dalle Camere quello che considera “un buon lavoro”.

Tuttavia la terza caratteristica di Monti è sempre stata, finora, il buonsenso governante. E qui nascono due questioni, una formale ed una sostanziale. La prima è che quando si sostiene che il Parlamento sovrano è il principale interlocutore del governo, bisogna poi saper ascoltare la discussione che si svolge nelle sue aule, rispettando la decisione finale.

La seconda è il carico improprio di ideologismo con cui la destra sta avviluppando quella che chiama “la libertà di licenziare”, e che rischia di trasformare l’articolo 18 in un nuovo tabù, questa volta rovesciato. Per la “feroce gioia” di chi non guarda al lavoro ma intende solo regolare

per legge conti sospesi dal secolo scorso con la sinistra e con il sindacato.

Occorre tornare in fretta al merito del problema, de-ideologizzandolo. Il modello tedesco non penalizza certo la produttività e la competitività delle imprese, ma lascia al giudice la possibilità di decidere il reintegro per il licenziamento economico, se si rivela illegittimo. È la forza del buonsenso governante: il Paese è già “pronto”.

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