Monti non spezzare quel filo

26 Mar 2012

il contenzioso sull’articolo 18 sta provocando sconquassi. Vedremo se il Pd avrà finalmente la forza e le idee per tirarsi fuori dalla stretta. Per ora, dopo le iniziali divisioni, sta riuscendo a tenere botta

La rottura è una rottura, e non bastano le gentilezze formali a edulcorare i contrasti. Andiamo al concreto, il contenzioso sull’articolo 18: è evidente che lo sconquasso c’è stato, con ricadute politiche evidenti sul Pd che, alla nascita di questo governo, era considerato il primo “azionista di riferimento” del professor Monti. Tuttavia, una rottura non è il divorzio. Il premier ha la possibilità di delimitare le implicazioni politiche dello strappo. Se stiamo alle parole del ministro Fornero, i margini sono difficilmente individuabili: modifiche sì, ma niente reintegro per i licenziamenti economici. Però, il governo, per portare in Parlamento la sua riforma, ha dovuto, questa volta, usare lo strumento del disegno di legge, non del decreto. E si tratta di uno strumento ben più flessibile e malleabile.

L’appello al buon senso, in questo caso, non guasta. Il punto è se si riesce a uscire dalle dispute artificiose, che hanno assunto l’articolo 18 come un simbolo, il segno necessario di un cambio di rotta della cultura politica e sociale del Paese. Si è detto che è necessario dare risposte convincenti ai mercati, la prova di un reale cambiamento agli imprenditori stranieri poco propensi a investire in Italia. Ma la tesi è contestata dallo stesso neopresidente della Confindustria, Giorgio Squinzi: “In linea generale, non credo che sia l’articolo 18 a bloccare lo sviluppo del Paese. Le esigenze sono altre:burocrazia, mancanza di infrastrutture, costi eccessivi dell’energia, criminalità”.

C’è molta confusione. E c’è anche qualche zona d’ombra. Ad esempio, stando a indiscrezioni di buona fonte, i tre sindacati, compresa quindi la Cgil,  avevano presentato al premier un pacchetto che prevedeva anche per i licenziamenti economici, oltre che per quelli disciplinari, l’applicazione del cosiddetto “modello tedesco”, vale a dire la facoltà per il giudice di decidere tra reintegro e indennizzo del lavoratore. Fino a un certo punto, sembrava che il governo fosse orientato ad accogliere questa formula. Da qui, le dichiarazioni ottimistiche di una certa fase della trattativa. Poi, c’è stato un irrigidimento. E il professor Monti sarebbe apparso “più tedesco dei tedeschi”. Eppure, nessuno in Europa avrebbe avuto da eccepire se Roma avesse copiato il modello di Berlino, considerato un esempio di lungimiranza economica e sociale.

Non serve attardarsi nelle polemiche sul passato. Ma non si può rinunciare a qualche considerazione di portata generale. E’ vero che la politica deve avere speditezza, evitando di incartarsi dentro la concertazione, facendone una sorta  di liturgia necessaria. Però, è altrettanto vero  che la ricerca del consenso è considerato un valore anche in Europa. A questo punto, l’esito della vicenda avrà conseguenze non solo sul mercato del lavoro, ma anche sul profilo del governo guidato dal professor Monti.

La partita che si aprirà in Parlamento è dunque tutta da decifrare. E si sa bene chi, tra i partiti della “strana” maggioranza, rischia di più. Il Pd è senza dubbio la forza politica più esposta, preso tra due fuochi. Da una parte, il fronte berlusconiano all’attacco, per accentuare i guai di Bersani e compagni, che non possono compromettere le sorti del governo, ma nemmeno mandare in crisi i loro rapporti con la Cgil. Dall’altra, Vendola e Di Pietro  che alzano i toni contro i “cedimenti” del Pd. Prevalgono gli interessi di bottega, per lucrare voti e consensi. E Di Pietro, nell’inedito ruolo di teorico dell’operaismo, minaccia “un  Vietnam parlamentare”. Il Pd avverte intorno a sé un clima avvelenato, di cui sarebbero testimonianza gli inviti interessati alla “responsabilità e moderazione”, a non restare “attardato in battaglie di retroguardia”. Torna la vecchia disputa sulle due “anime “ del partito, sulla sintesi mai operata tra quella ex diessina e quella ex popolare. Ora, è vero che il Pd ha le sue colpe, che ha lasciato troppi problemi insoluti. Ciò meriterebbe, in altra sede, un più approfondito discorso. Ma le critiche odierne hanno una forte carica strumentale. La stessa questione delle “due anime” appare, in questa circostanza, fuorviante, perché si dimentica che una  dialettica analoga sopravvive in tutti i partiti socialdemocratici e laburisti. Essenziale è trovare il mix, la sintesi capace di mescolare culture diverse.  Ma dovrebbe essere anche nell’interesse di Monti non spezzare il filo con il principale partito del centrosinistra.

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