Governo tecnico: rischi e opportunità

16 Mar 2012

Roberta De Monticelli Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Il manifesto di LeG parla di una vera e propria esigenza di rifondazione della politica, sia pure nei limiti in cui è possibile per un governo tentarla

1. Che cosa vuol dire “governo tecnico”?

L’espressione “governo tecnico”, se vuol dire qualcosa, vuol dire in negativo  “governo composto di persone che non appartengono agli attuali partiti o non sono da loro designati” e in positivo “di persone scelte per la loro competenza nei relativi campi”. Ora di queste due connotazioni quella positiva, la seconda, mi sembra una condizione che dovrebbe perpetuarsi sempre e comunque, almeno idealmente, nella formazione di un esecutivo – dove, come la parola dice, il personale politico dovrà realizzare al meglio le misure legislative corrispondenti ai progetti di società che si confrontano o combattono a livello di rappresentanze parlamentari.
Voglio dire con questo che oggi il problema della competenza è straordinariamente grave, anche se sempre è stato vero, a mio avviso, che non tutto, anzi non l’essenziale per il buon funzionamento di una società è soggetto al giudizio “politico”, cioè in ultima analisi al giudizio che discende dall’una o dall’altra concezione sostantiva del bene, in particolare del buon ordinamento della convivenza umana o nazionale. L’essenziale a questo riguardo io lo giudico anzi “prepolitico”: l’essenziale riguarda cioè la regolamentazione dell’arena stessa in cui si combattono legittime battaglie politiche, legittimi e anche duri scontri di concezioni alternative di una società giusta e libera.

2. La malattia della vita italiana

La malattia che corrode l’Italia è precisamente che “politiche”, qui, si chiamano le battaglie che si fanno non dentro il recinto della Costituzione, della legalità e, me lo si lasci dire, della moralità: ma, caso unico in questa proporzione fra le società democratiche avanzate, le battaglie in cui le parti stanno spesso da una parte e dall’altra di Costituzione, legalità e moralità. E nel caso peggiore, entrambe le parti principali, per diverse ragioni, stanno in alcuni casi fuori e contro questi recinti (palesemente: problema della corruzione; problema del cancro mafioso che uccide economia e vita civile; problema della bellezza, cioè della dissipazione sistematica e criminale del patrimonio ambientale-culturale della nazione (“paesaggi storici” e beni culturali).

Questa malattia tipicamente italiana, per la quale la “politica” ha corroso quasi completamente il prepolitico, arrivando a massicci esiti di “decostituzionalizzazione” (L. Ferrajoli) che non sono più nemmeno percepiti come tali, è precisamente quella che mi costringe in questa frase a mettere “politica” fra virgolette: questa “politica” infatti non è certamente più scontro legittimo di concezioni sostantive del bene o del giusto per una società in cui vorremmo vivere, ma negoziato sulla spartizione di risorse comuni – quando non loro rapina;  svendita di legalità e di altre risorse comuni (territorio, ambiente, litorali, paesaggio, beni artistici) in cambio di consenso o addirittura contro il consenso (il caso val di Susa); riduzione della politica a risposta a pressioni lobbistiche quando va bene, a trattative col crimine troppo spesso.

3. Il potenziale valore di un governo tecnico

Questa “politica” che non è più tale è d’altra parte purtroppo la vita di troppi appartenenti ai partiti attuali, e poiché la politica si fa attraverso i partiti, questo spiega il grande valore potenziale di un governo tecnico in questa fase, anche nella prima accezione, quella negativa, di “governo tecnico”. Il grande valore potenziale sarebbe appunto non solo quello della competenza – che molto più difficilmente si trova, purtroppo, nel personale dei partiti per via dei loro attuali meccanismi di promozione interna.
E questo è un punto importante, interno alla mia premessa, che necessiterebbe un’analisi a sé: ogni considerazione sul futuro della politica dovrebbe partire da un’analisi sulla necessaria trasformazione dell’istituzione partito, una trasformazione che consenta di fare di queste attuali consorterie fini a se stesse, guidate esclusivamente dalla tendenza a riprodursi e crescere, ciò che invece dovrebbero essere,  puri strumenti  della partecipazione dei cittadini alle decisioni  sulla loro vita. Evidentemente questo comporta una radicale trasformazione dell’attuale loro modo di reclutare e promuovere, che sono oggi completamente contrari alla logica del merito cognitivo e morale, cioè a) della conoscenza e capacità di anteporre sempre la ricerca di verità a quella di consenso; b) dell’onestà e passione civica, ossia della capacità di anteporre sempre l’ideale per cui ci si impegna alla carriera che si vorrebbe fare.

Questa premessa sui meriti di un governo tecnico in senso positivo (competenze) e negativo (non appartenenze partitiche) è necessaria per le considerazioni che seguono, alcune delle quali sono risposte ai quesiti posti da Micromega. Il valore di questo passaggio è spesso assurdamente minimizzato: anche “salvarci dal baratro” economico-finanziario era un obiettivo minimo, rispetto a quello che significherebbe veramente salvare il Paese da un’involuzione politica, civile, morale e cognitiva senza ritorno, salvarlo dal cancro della criminalità diffusa, salvarlo dalla devastazione delle sue stesse istituzioni (sanità pubblica e privata, università, scuola) e delle sue risorse (ambiente, paesaggi, beni culturali, tradizioni scientifiche, ingegneristiche, giuridiche, speranza e creatività giovanile) che troppo ha lungo le ha inflitto la malapolitica, a sua volta espressione di un non avvenuto risanamento di queste piaghe nella cosiddetta Prima Republica.

4. La necessaria rifondazione della politica

E in effetti per questo ha fatto bene il manifesto di Libertà e Giustizia a parlare di una vera e propria esigenza di rifondazione della politica, sia pure nei limiti in cui è possibile per un governo (e per il suo parlamento) tentarla. Rifondazione della politica vuol dire ripristinare quel recinto pre-politico di costituzione, legalità e moralità senza il quale la politica è ridotta allo “schifo” cui senza dubbio abbiamo assistito troppo a lungo: o brutalizzare quel recinto (compresa la cultura bossiana dell’oscenità, del rutto, del gestaccio, del vilipendio alla bandiera, compreso il pubblico elogio degli “eroi” della mafia, compresa un’intera regione il cui Palazzo contiene più ladri di un braccio di San Vittore) o debolmente negoziare minor brutalità, o nel caso peggiore addirittura alleanze.
Distinguiamo qui due cose: ciò che deve-può fare il governo e ciò che devono-possono fare gli esponenti dei partiti che siedono in Parlamento.

5. Le cose da fare

Riguardo al primo punto cito in primo luogo una cosa che si era detta, da parte di ogni persona per bene e non soltanto da parte delle forze progressiste, appartenere alle riforme indispensabili. Fra queste c’erano, oltre alle manovre economiche e finanziarie, senza alcun dubbio la riforma di quella legge elettorale il cui perverso meccanismo ha ridotto il Parlamento italiano ad essere fatto in maggioranza di nominati dalle segreterie e burocrazie dei partiti e non dagli elettori. E adesso pare che si stia rinunciando a fare pure questa riforma? Questo sarebbe tragico: perché senza questa riforma, far cadere il Governo Monti è tornare alla situazione di prima, senza più speranza.
Poi ci sono le altre cose che un governo tecnico, positivo in questi due sensi, dovrebbe senza dubbio poter  fare. A proposito di Europa: 1) la vera legge anticorruzione, anche solo la ratifica della Convenzione europea con i rivoluzionari dispositivi che questa implicherebbe per la situazione italiana; 2) A proposito, ancora, di Europa: fanno parte di questa specificità italiana i provvedimenti intesi a fermare la penetrazione dei capitali mafiosi nel tessuto dell’economia, cioè in effetti a bloccare  i meccanismi del “concorso esterno in associazione mafiosa”. Roberto Saviano ha prodotto una lucida analisi facilmente reperibile sul sito di Libertà e Giustizia. 3) sempre a proposito di Europa: la questione delle frequenze. Si discute (?) di beauty contest… a nessuno viene in mente che, intanto Mediaset ha frequenze assegnate, da tempi immemorabili, con un canone irrisorio e senza scadenza…. Visto che ci si riempie la bocca di Europa, non possiamo
iniziare a dire che non solo delle frequenze da assegnare ma anche di quelle assegnate bisogna discutere… lo si fa, in nome dell’Europa, per gli stabilimenti balneari e per le cave: perché non per le frequenze che sono il petrolio della società dell’informazione?

6. Un’enorme falla tecnica

Ma infine, c’è un punto che rende visibile una vera e propria enorme falla del governo tecnico attuale, un completo tradimento della sua essenza e dei suoi fini. Non c’è nessuna competenza e nessuna buona volontà super partes in un campo di rilievo spirituale, morale, civile ed economico immenso: la bellezza. Il marchio di fabbrica di questo nostro paese. La nostra identità nazionale, quella per cui siamo conosciuti all’estero.  Il nostro volto. Qui un governo tecnico, nei due sensi positivo e negativo che fanno il suo valore, dovrebbe poter spezzare le logiche perverse e dissipatorie della malapolitica. La lenta (o rapida) catastrofe che sta distruggendo i nostri paesaggi storici e i nostri beni culturali, prodotta in modo del tutto bipartisan dallo sciagurato mangia-mangia connesso a un modello di sviluppo cementizio fallimentare, e come tale denunciato da infinite voci autorevoli, e fra queste quella di Salvatore Settis, per non parlare del generoso staff di Italia Nostra e di tutti i siti ormai numerosi per la difesa di ciò che resta a noi, ma soprattutto ai nostri figli – e costituisce patrimonio dell’umanità, non di questa o quella sciagurata amministrazione o consorteria locale (si veda ad esempio il sito di Salviamo il paesaggio).
E invece abbiamo un ministro dell’ambiente “tecnico” che se ne va in Cina a brigare perche i suoi amici cinesi investano in Italia (in particolare in imprese a lui ben note?). E un ministro dei beni culturali che meno “tecnico” di così non potrebbe essere – cioè meno specifico. Perché non è che fare il professore universitario in qualunque disciplina, o fare il rettore della cattolica, aumenti le competenze su questa dolorosissima piaga del nostro Paese, le cui fragili, antiche, preziose ossa franano in polvere come Pompei.

7. Le cose da chiedere noi tutti, e quelle da chiedere ai politici

In secondo luogo, bisognerebbe parlare di quello che possono fare i politici appartenenti ai partiti, dentro e fuori il Parlamento. Infine è soprattutto a  loro che si rivolge l’appello “Dipende da noi – dissociarsi per riconciliarsi”, lanciato da Libertà e Giustizia. Dipende certo e in primo luogo da noi tutti dissociarci da ogni minimo episodio di corruzione, consorteria mafiosa, malasanità, mala scuola, mala università, dissipazione di risorse pubbliche e di beni comuni, e denunciarli. Fare trasparenza. Dipende dalle donne e dagli uomini dei partiti dissociarsi non solo dalle persone e dalle azioni che producono latrocinio, corruzione, malversazioni, scambi impropri, ma anche soltanto piaggeria, arrivismo, carrierismo, servilismo. Ma dipende da loro dissociarsi e denunciare anche  i meccanismi, le regole implicite ed esplicite che rendono possibili queste degenerazioni – per le quali in ultima analisi i partiti da mero strumento di vita politica dei cittadini diventano fini a se stessi. E alzare alta la voce sulle ingiustizie più gravi che accadono sotto i nostri occhi: è possibile che a nessun parlamentare venga in mente di gridarlo alto e forte dai banchi del parlamento, quello che i cittadini apprendono dai pochi giornali capaci di ricordare i fatti, ad esempio il fatto che il magistrato che ha azzerato il processo  Dell’Utri aveva scritto nel 2008 le testuali parole “In questo paese non sappiamo se non se ne può più della mafia o dei processi di mafia”? (M. Travaglio, “CSM: ciechi sordi e muti”, “Il fatto Quotidiano”, 15/03/2012). E’ possibile che la spinoziana “tendenza a perseverare nel proprio essere” zittisca i più fra i nostri rappresentanti nel Parlamento, al punto da privarci così completamente della nostra voce?

E questa sarebbe davvero la peggiore, la più diabolica contraffazione del Regno dei Fini di cui parlava Kant. Il contrario esatto della sua “fede razionale” nella possibilità di realizzare qui, nel mondo sociale, almeno un po’ del “mondo morale”, del Regno dei Fini appunto, in cui fini sono le persone e la loro fioritura, i cittadini e la loro volontà, e non gli strumenti che dovrebbero servire loro.

Nata a Pavia il 2 aprile 1952, è una filosofa italiana. Ha studiato alla Normale di Pisa, dove si è laureata nel 1976 con una tesi su Edmund Husserl.

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