“Una nuova politica dipende da noi” l’appello di Libertà e Giustizia

24 Feb 2012

ROMA – Dipende da noi. Si chiama così la nuova campagna di Libertà e Giustizia, l’associazione di cultura politica, presieduta da Sandra Bonsanti, che da dieci anni si impegna per dare voce alla società civile. Il manifesto, che pubblicato su Repubblica.it e sul sito di LeG  1porta la firma di Gustavo Zagrebelsky, il costituzionalista che firma, per la terza volta, un appello dell’associazione. E lo fa in un momento in cui il fondersi della crisi economica con quella istituzionale, potrebbe essere fatale al Paese.

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IL MANIFESTO DI LeG
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Punto di partenza la riforma della legge elettorale che deve essere fatta “nell’interesse primario dei cittadini”. E certamente non da un parlamento “screditato”. Perché “non c’è speranza di avere buoni frutti se l’albero è malato”. “Il nostro è un appello ultimativo ai partiti, alle tante brave persone che ne fanno parte – dice Sandra Bonsanti – Sappiamo che la strada è stretta, non facile e non vogliamo che si disperdano energie in sterili tentativi di fare nuovi partiti”.

Dipende da noi fare in modo che la politica sia più dignitosa e rispettata.

Anche e soprattutto in questi giorni in cui la sua credibilità è ai minimi. Giorni in cui il concetto di “casta” è diventato un mantra. Giorni in cui alla guida del paese c’è un governo “tecnico” alle prese con un risanamento difficile e carico di sacrifici. In questa fase carica di incognite sarebbe sbagliato delegare. Piuttosto è il momento di darsi da fare. Perché il rischio che l’Italia non regga una crisi economica e una istituzionale è reale.

Se non ora quando, si potrebbe dire. Sono “tempi nuovi e incerti” in cui “speranza e preoccupazione s’intrecciano”. La posta in gioco è alta. C’è un governo tecnico, “segno di tempi di debolezza della politica e d’inettitudine dei partiti politici”. Non si tratta, dice l’associazione, di fare di tutt’erba un fascio. Ma di dire, con chiarezza, che “il sistema politico e la sua classe dirigente hanno fallito, arretrando di fronte alle loro responsabilità”. A un passo dal baratro la cura Monti è apparsa l’unica possibile. Ma questo non significa adesione fideistica alle mosse dei Professori. “Perché la medicina che guarisce può diventare il veleno che uccide – si legge nel manifesto di LeG – Il nostro governo è tecnico-esecutivo per le decisioni rese necessarie dal malgoverno del passato e dalla pressione di eventi maturati altrove, in sedi democraticamente incontrollabili, ma è altamente politico per l’incidenza delle sue misure sulla vita dei cittadini. Dire “tecnico”, significa privare la politica della libertà. LeG non può ignorare che la tecnica esercita anch’essa una forza ideologica che può diventare anti-politica. Allora, quello che inizialmente è farmaco diventa veleno: senza politica, non ci può essere libertà e democrazia; senza democrazia, alla fine ci aspettano soluzioni basate non sul libero consenso ma sull’imposizione”.

Medica o veleno, dunque? La risposta non è affidata al destino, ma, continua LeG “dipende da noi”. Per questo serve “un’opera di riconciliazione nazionale con la politica”. Soprattutto dopo aver assistito al “tradimento” di una classe dirigente “che ha reso la politica un’attività non solo non attrattiva ma addirittura repulsiva e di aver respinto nell’apatia soprattutto le generazioni più giovani, proprio quelle dove si trova la riserva potenziale di moralità e impegno politico di cui il nostro stanco Paese ha bisogno”.

Dipende da noi. E se da un punto si deve partire è quello della lotta alla corruzione. Anche in questo caso non lasciandosi andare alla facile generalizzazione sui politici che rubano tutti ma dando libero sfogo alla “dissociazione e alla denuncia”. “Le tante persone che, nei partiti e nella pubblica amministrazione avvertono la nobiltà della loro attività, escano allo scoperto, ripuliscano le loro stanze, si rifiutino di avallare, anche solo col silenzio, il degrado della politica. La legge sui partiti è una necessità di cui si parla da troppo tempo. Oggi, gli scandali quotidiani, l’hanno resa urgente. “Subito la legge ecc.”, si è detto. Ma possiamo crederci, se prima non cambiano coloro che la legge dovrebbero farla?”

Ed è questo l’altro punto fermo. A dispetto dei propositi riformatori delle istituzioni, “l’auto-riforma si è dimostrata finora un’auto-illusione”. Servono i fatti. Per questo LeG chiede di conoscere “se i contatti e gli accordi preliminari che si vanno stringendo tra partiti mirano a corazzare il sistema politico esistente, chiudendolo su se stesso, oppure se finalmente si avverte l’esigenza di aprirlo alle istanze diffuse dei cittadini, d’ogni ceto e d’ogni orientamento politico”. Ed ancora: “Se la “società politica” ritiene di fare a meno della tanto disprezzata “società civile”, oppure se ritiene di dover mettersi in discussione; se pensa che sia legittima la sua pretesa di difendersi dai controlli, oppure se sia disposta alla trasparenza e alla responsabilità; se il governo sia un problema di mera efficienza decisionale, oppure se la questione sia come, che cosa decidere e con quale consenso; se si vuole una democrazia decidente a scapito d’una democrazia partecipativa”. Domande che attendono risposte.

Infine la riforma elettorale. Priorità assoluta. Una nuova legge che deve essere pensata non nell’interesse dei partiti ma dei cittadini “che possano controllare com’è utilizzato il loro voto ed entrare in rapporto con i loro rappresentanti, senza interessate distorsioni”. Per questo, LeG chiede che il giudizio sulle riforme passi attraverso un referendum “come difesa d’una democrazia aperta contro i possibili tentativi d’ulteriore involuzione autoreferenziale dell’attuale sistema politico”.

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