C’è chi l’aveva detto subito: “nulla sarà come prima dopo il governo Monti”. Sembrò una considerazione affrettata. Ma ora, mentre “SuperMario” si prepara a festeggiare i suoi primi cento giorni, è una conclusione comunemente accettata. E’ svanita l’illusione dei partiti di capovolgere e cancellare il nastro per ricominciare da capo, una volta conclusasi, nella primavera del 2013, la legislatura. In tre mesi, il consenso per l’esperimento tecnico è cresciuto, malgrado le difficoltà incontrate dall’esecutivo. E, invece, le difficoltà dei partiti si sono estese. Così che che la tenuta delle principali forze politiche appare oggi a rischio. E, nello stesso tempo, sta crollando anche la tenuta delle alleanze e delle precedenti coalizioni.
A questo punto, che cosa accadrà, quale sistema partitico finirà per delinearsi, è assai difficile da prevedere. Più prudente restare ai fatti. E, allora, vediamo un Pdl sempre più in affanno. Fermo in una terra di mezzo. Sovrastato dagli scandali delle tessere false e delle infiltrazione camorristiche. Privo di una vera leadership dopo l’uscita, senza ritorno, del suo padre-padrone. I sondaggi tolgono il sonno ai suoi dirigenti. Ritraggono un partito in calo di 15 punti rispetto alle elezioni europee del 2009, quando poteva contare sul voto del 35 per cento degli italiani. Per provare a fermare questa emorragia, si era pensato a una scelta traumatica: la scomparsa in molte città, alle amministrative di maggio, del simbolo del partito, per lasciare spazio alle liste civiche. Non una soluzione del problema. Piuttosto il suo contrario. E, infatti, l’ipotesi sembra sia decaduta. Sul fronte opposto, quello del centrosinistra, il Pd può contare su previsioni più confortanti. Si presenta come la prima forza politica. Però, il 27 per cento, attribuitogli dai sondaggi, non è certo un dato esaltante. Prefigura un sorpasso all’indietro, che si avvale delle maggiori perdite dell’avversario. Il “no”alla tragica esperienza berlusconiana non si orienta verso i democratici, ma si disperde nell’area dell’astensione. C’è un vuoto che il Pd non riesce a coprire. C’è una crisi di fiducia che coinvolge l’identità politica di questo partito, come confermano i risultati delle primarie a Genova. I democratici possono vincere. Ma in troppi casi sono costretti ad affidare le loro truppe a un condottiero “straniero”. La polemica che si è aperta, “se il governo Monti sia di destra o di sinistra”, testimonia questa tendenza. Che, alla fine, può avere effetti devastanti.
Tra i due maggiori partiti, si colloca il Terzo Polo che vive, al momento, un’esperienza meno agitata. All’ombra del governo Monti, Casini dispone, quanto meno, di una linea difensiva consistente. Disegna il suo programma come la naturale prosecuzione di questo Esecutivo. E punta a obiettivi ambiziosi, vedendo progressivamente affievolirsi l’ottica bipolaristica. Se Monti riuscirà a realizzare buona parte del suo programma, si determinerà un solco profondo, che sarà difficile cancellare. E allora Casini potrebbe aprire il cantiere di una nuova aggregazione politica, attirando figure e forze di confine che oggi sono nel Pdl e nel Pli.
Non c’è, in ogni caso, una scommessa politica che appaia prevalente sulle altre. Oggi nessuno, tra i tre segretari dei partiti che appoggiano il governo, si tratti di Bersani, di Alfano o di Casini, sa nulla del proprio futuro. Tutto ciò mentre cresce un diffuso sentimento avverso ai partiti che appaiono rattrappiti su se stessi, preoccupati di conseguire momentanei vantaggi, incapaci di mantenere il loro rapporto con gli elettori. In queste condizioni, si alimenta l’antipolitica che minaccia di diventare un fenomeno di massa, con le conseguenti rovinose cadute nella demagogia e nel populismo.
La riforma elettorale e quella istituzionale possono concorrere a fermare questa deriva? In linea generale, la risposta è positiva. La questione della legge elettorale è il tema centrale: cambiare il “Porcellum”, una sorta di mostro, è un dovere morale oltre che politico. Ma facciamo attenzione ai particolari perché qui si nasconde il veleno. Teniamo per il momento da parte le obiezioni di principio sulla “legittimazione” di questo Parlamento di “nominati” a mettere mano alla Costituzione. Facciamo “considerazioni pratiche”, come si suole dire. E allora si può davvero credere che in non più di undici mesi, il tempo disponibile da qui alla fine della legislatura, si riesca a fare una buona legge elettorale e una convincente riforma istituzionale? E’ da almeno trent’anni che si discute di grandi riforme senza portare a casa nulla di concreto. Nel frattempo, non si è neppure applicata la Costituzione, a partire dall’articola 49, quello che richiama la democrazia all’interno dei partiti. Non è quindi lecito il sospetto che si metta insieme tanta legna da ardere solo per fare un gran fumo, senza portare alla fine nulla in tavola o, magari, qualche cattivo rattoppo istituzionale e un inaccettabile aggiornamento dell’orrendo Porcellum? La riforma elettorale doveva stare in cima all’agenda. E, invece, è sovrastata dal polverone sulle grandi riforme, nell’attesa che si definiscano le convenienze dei partiti, che si capisca quali alleanze si possono fare, a destra come a sinistra. Le indiscrezioni sulle bozze in circolazione, del resto, sono tutt’altro che confortanti. Si rafforza il timore che il potere rimanga tutto nelle mani dei “soliti noti”, che si voglia rimettere al centro del sistema politico il vecchio tavolo dei segretari.
Intendiamoci: non abbiamo alcuna simpatia per un certo nuovismo becero e furbesco…Non siamo per le esasperazioni manichee, che assegnano il bene tutto da una parte, quello dei cittadini. Ma se si vuole recuperare la partecipazione, se si vuole che gli elettori non si distacchino dai valori civili e democratici, che non siano sempre più disimpegnati, non si può far prevalere il richiamo degli antichi riti. I partiti possono avere un grande ruolo per riannodare il filo del consenso popolare. Ma a condizione che si innesti in una dimensione partecipativa che ha assunto forme diverse. Una scommessa difficile, nel momento in cui nessuno è in grado di offrire nuove certezze.
non penso che il dopo Monti sia una passeggiata per la nostra democrazia anzi.
i partiti, escluso Casini, penso che ci arriveranno dilaniati e con l’impossibilità di esporre una strategia futura credibile e praticabile.
la riforma elettorale non credo che si farà, e quella istituzionale è meglio che la dimentichino, è già stata troppo “modificata” la nostra Costituzione.
sarò nostalgico ma penso che la nostra attuale classe politica non sia all’altezza non è in grado di far nulla delegittimata da maggioranze che di volta in volta hanno approvato, senza vergognarsi, cose veramente scandalose.
Se fosse solo un problema di ‘ estensione delle difficoltà dei partiti ‘ non sarebbe una gran tragedia. La verità, purtroppo, è che piano piano si sta capendo che il governo Monti non è un semplice ‘ esperimento ‘ tecnico ma è l’occasione, forse irripetibile, di poter attuare l’ antico progetto di ‘ normalizzazione ‘ delle tante anomalìe italiane ( un certo tipo di sinistra, di sindacato, di classe operaia , di tutele, di ammortizzatori sociali, di dialettica tra partiti, di assistenza sanitaria, di scuola pubblica, di previdenza, di libera informazione, di magistratura indipendente, ecc. ecc. ) che nè Craxi nè Berlusconi erano riusciti a realizzare.
C’è solo da augurarsi che i cittadini più vigili ed attenti schiodino i partiti dal loro immobilismo e li costringano a ribadire il primato della politica e la dignità del Parlamento, ridotto – oggi – ad istituzione ratificante dei provvedimenti governativi. Provvedimenti che devono restare nell’ ambito del ‘ pronto intervento ‘ di carattere economico e finanziario e non possono – pena un evidente vulnus costituzionale – sconfinare impropriamente in una ‘ furia riformatrice ‘ che, lungi dall’avere il consenso popolare, approfitta esclusivamente della situazione di ‘ paralisi politica ‘ in cui il Paese è sprofondato.
Sarebbe davvero assai triste che il governo Monti passasse alla storia non per il merito di averci salvato dal default ma per la grave colpa di aver smantellato i diritti fondamentali sanciti nella prima parte della Costituzione e aver sovvertito la gerarchia istituzionale che vede al primo posto il Parlamento, eletto dal popolo sovrano, e non un governo
nominato dal Presidente della Repubblica in una situazione di chiara ‘ forza maggiore ‘.
Giovanni De Stefanis
Con questa politica, non c’è da meravigliarsi che l’antipolitica sia il sentimento più diffuso. Di fronte al governo dei tecnici, la vecchia politica scolorisce, si appanna più di quanto già non fosse. E – quel che è peggio – nessun volto nuovo, nessun outsider si affaccia sulla scena. L’unica speranza, non me ne vogliate , è che qualcuno degli esponenti dell’attuale governo decida di assumersi l’onore e l’onere di rimanere in politica alla fine dell’esperienza del governo tecnico.
Meli descrive, fa il punto, fotografa la situazione di quei partiti che hanno maggior peso e possibilità di manovra. Basta ascoltare un qualsiasi telegiornale, leggere un giornale qualsiasi – tranne Il fatto quotidiano – e la descrizione del Meli corrisponde. Ma non si riesce proprio a parlare delle questioni vere? I rapporti tra A, B, C non sono assolutamente più la Politica. Capito Meli e così tutti quei commentatori che si ostinano a parlarsi addosso cianciando di cose stupide, inutili? Pensate di informare, istruire, fare opinione? Veltroni/Berlusconi emettono un fiato su Monti e giù tutti a disquisire se è di destra o di sinistra, se debba essere candidato di qua o di là, se si formerà un nuovo (?) grande centro – che sarebbe la vecchia balena bianca, ma ancor più brutta -, ecc. ecc. Bisogna parlare delle cose vere. Esempio: la Severino abolisce o no la prescrizione? I partiti dei vari A, B, C, si decidono a o no a darsi statuti seri, a presentarsi in modo chiaro ai cittadini, con programmi concreti che non siano ciance sulle alchimie delle alleanze? Non sono sufficienti le ignobili figuracce fatte dal PD con la farsa delle primarie? Per decenza lasciamo stare le strategie di rinnovo del PDL, e il vociare vacuo dell’UDC. Capisci Meli? Quella che tu e i giornalisti in genere vi ostinate a chiamare Politica è ormai in realtà la vera antipolitica. Non esiste più una rappresentanza democratica, i partiti se la sono portata nella tomba. Parlate d’altro, parlate dei giovani ai quali le classi dirigenti (si può ancora usare questa locuzione?) hanno sottratto il diritto di essere cittadini, denunciate le rogne infinite provocate da partiti, caste, mafie.
Federico Rampini ci informa che negli USA si stanno muovendo molte cose: nuove teorie economiche, nuove iniziative imprenditoriali che non si pongono il profitto come obiettivo primario (Benefit corporation). Sempre il Rampini ci informa che la Cina sta diventando il primo investitore nella green economy. Brevi citazioni per motivi di spazio, ma l’elenco sarebbe molto denso e interessante. Qualcuno ha mai sentito i Grandi Capi Politici dei Grandi Partiti fare un fiato su queste cosucce o semplicemente su progetti reali? No, solo slogan, frasi fatte, solite ignobili fregnacce.
I partiti, Meli, sono purtroppo il problema. Ce ne dobbiamo liberare e la vera politica potrà risorgere. La grande sfida è questa.
Credo che la vera zona d’ombra del governo Monti e di questa fase politica sia quella evidenziata da Giovanni De Stefanis, che già in un’altra occasione, se non ricordo male, aveva ben sottolineato la posta in palio. Queste tentazioni “normalizzatrici”, espresse senza più freni inibitori come dimostrano le varie “gaffes” dei tecnici sul tema del lavoro, sono purtroppo incoraggiate dal grande vuoto di idee e programmi alternativi. Io credo che non siano finiti i partiti e la politica, ma questi partiti e questa politica. Mai come ora ci sarebbe spazio per ricostruire. Il problema è far ripartire il cantiere mobilitando le persone con temi autentici e proposte concrete, e lasciando alla loro quotidiana schermaglia delle dichiarazioni i logori reduci della Seconda Repubblica che si affannano per conservare la loro porzioncina di potere.
Ancora con l’antipolitica? Non ESISTE, è solo un termine coniato dai giornalisti, che tutto devono etichettare. E’ tutto politica: quella dei partiti, ormai inesistente e logora e quella dei cittadini che cercano strade alternative agli stessi, ormai incapaci anche semplicemente di sentire quali siano le REALI esigenze di chi vorrebbero governare. Sono completamente d’accordo con l’ultima parte del commento di Suman: i partiti e chi li guidi SONO IL PROBLEMA e fintantoché non ce ne libereremo, con le buone o con le cattive, i problemi resteranno. Lo vediamo continuamente, ad esempio, con la prosecuzione, anche peggiore, del periodo di mani pulite, con i partiti ed i loro uomini presi semplicemente a far interessi propri, senza curarsi di null’altro che di quello e del disperato tentativo di mantenimento di uno status quo della loro casta autoreferenziale. Allora ben venga la partecipazione dei cittadini alla vita della res publica, quello che avrebbe sempre dovuto essere, senza presunzioni di becero e furbesco né manicheismi risultanti solo a chi sia rimasto indietro con la visione della politica. I partiti nulla potranno se non liquefarsi come neve al sole, se non comprenderanno che altro viene loro chiesto da quello che imperterriti pretendono d’offrire, che riavvicinarsi ai loro “elettori” sia indispensabile, ma SOLO attraverso la realizzazione degli interessi di chi li mantenga come propri rappresentanti subordinati, ma senza spaventose velleità normalizzatrici.