Monti compie tre mesi

13 Feb 2012

Da tre mesi c’è il signor preside (così nominato con sottile sarcasmo da Giuliano Ferrara) a palazzo Chigi: era il pomeriggio inoltrato di domenica 13 novembre e Mario Monti, nominato pochi giorni prima senatore a vita, saliva le scale del Quirinale per ricevere dal Presidente Napolitano l’incarico di formare il nuovo governo

Da tre mesi c’è il signor preside a palazzo Chigi: era il pomeriggio inoltrato di domenica 13 novembre e Mario Monti, nominato pochi giorni prima senatore a vita, saliva le scale del Quirinale per ricevere dal Presidente Napolitano l’incarico di formare il nuovo governo dopo le dimissioni (attese da anni….) di Berlusconi.
Il preside (così nominato con sottile sarcasmo da Giuliano Ferrara) accettò e iniziò le consultazioni con modi, così si disse, sobri e pacati. Il 16 novembre giurò coi suoi ministri, entrando in carica formalmente.
Non intendo fare qui un bilancio dettagliato dei 90 giorni di Monti, delle luci e delle ombre (che naturalmente ci sono). Anzi, al contrario, voglio anzitutto voltare gli occhi all’indietro, perché da parte di molti osservatori e politici si dimenticano totalmente le ragioni che hanno portato al governo “strano” di Monti: si annebbiano i ricordi anche del passato recente, si oscurano gli episodi e le situazioni, non si pesano le condizioni nelle quali abbiamo vissuto, si rifiuta di riconoscere che eravamo arrivati proprio là, sull’orlo del baratro.
Secondo un grande intellettuale e giurista, Franco Cordero, commentatore pungente ma pacato e non certo rivoluzionario, il Berlusco magnus ha condotto l’Italia “a due dita dalla fossa” (non due passi, si badi bene, ma due dita!). E ancora più chiaramente Claudio Magris (nel testo scritto per il bicentenario della nascita di Dickens, pubblicato anche sul nostro sito) dice che il governo guidato da Monti “è nato per cercare di ridare decenza, e quel tanto o poco possibile, di sicurezza, ad un Paese che stava perdendo la bussola”.
In questo contesto di….ricordi e richiami, vale la pena di riportare la preoccupazione manifestata in Tv proprio da Monti pochi giorni dopo la nomina, quando disse agli italiani che “era molto concreto il rischio che il nostro Stato non potesse più pagare gli stipendi e le pensioni”. D’altronde è banale dire che i soldi che all’amministrazione statale servono ogni mese per le buste paga dei dipendenti pubblici non piovono dal cielo, ma vengono dalle entrate fiscali e anche dalla vendita dei titoli di Stato (Bot, Btp, etc) e dalla sottoscrizione di essi, da parte dei risparmiatori privati italiani o di banche nostre o straniere. E se non c’è fiducia nell’Italia (e sulla possibilità di rimborsare il debito a lunga scadenza) gli acquisti crollano, come è stato nei mesi scorsi – quando è intervenuta la Bce sul mercato secondario – o si devono pagare interessi elevati (spread a 570 punti base ai primi di novembre, Berlusconi in carica), vicini al 7 per cento, impossibili da sostenere a lungo senza andare in bancarotta.
Ben consapevole di questa situazione, Napolitano nell’autunno scorso chiamò Monti ed è ora istruttivo ricostruire i motivi di quell’incarico e soprattutto il mandato che il Capo dello Stato formalmente gli affidò e che tuttora resta valido. Al momento della conclusione delle consultazioni per la soluzione della crisi, il 13 novembre, Napolitano in un’ampia dichiarazione (ancora oggi recuperabile sul sito web del Quirinale) si mostrò molto preoccupato. Chiedeva al nuovo governo un impegno “su scelte urgenti di consolidamento della nostra situazione finanziari” , che è “grave”, a partire “dalla concretizzazione delle misure già concordate in sede europea”. La fragilità “particolare” del nostro paese “sta nell’altissimo debito pubblico accumulato nel passato””.  Ed è un peso che rischia di mettere a “dura prova l’impegno dello Stato”, per cui è “indispensabile” recuperare la fiducia degli investitori. Il Presidente spiegava perfino perché era urgente intervenire: ” Da domani alla fine di aprile verranno a scadenza quasi 200 miliardi di euro di Buoni del tesoro e bisognerà rinnovarli collocandoli sul mercato”.
Ecco l’emergenza finanziaria che, se non affrontata e governata, poteva portare l’Italia vicino alla Grecia (che tra innumerevoli convulsioni chiede ancora i fondi alla troika Fmi-Bce-Ue, perché il 20 marzo scadono 14,5 miliardi di bond emessi e lo Stato deve rimborsarli e pagare gli interessi). Ed era il motivo per cui Napolitano
non chiamava il paese alle urne: “Evitare un precipitoso ricorso a elezioni anticipate e quindi un vuoto di governo, è un’esigenza su cui dovrebbero concordare tutte le forze politiche e sociali preoccupate delle sorti del paese”.
Quindi, erano in gioco le “sorti” dell’Italia. Nel trimestre di governo, Monti ha varato i ben noti provvedimenti ‘salva-Italia’ e ‘crescita-Italia’ con le liberalizzazioni (in attesa di approvazione) e le semplificazioni normative. Mentre  sono aperte le consultazioni con i sindacati sulla riforma del mercato del lavoro (articolo 18 e altre misure). Tutti interventi articolati per allontanare il paese dalla “fossa”. Non sempre le scelte sono state eque, e condivise in pieno dai partiti che appoggiano il governo in Parlamento, o dalla società civile. Inoltre, lo stesso Monti ed alcuni ministri hanno compiuto anche errori di comunicazione (o di comportamento personale) plateali, che sono stati censurati: la gaffe sulla “monotonia” dell’impiego fisso, e quella sui laureati ‘sfigati’, e poi le dimissioni del sottosegretario Malinconico (vacanze a sua insaputa al ‘Pellicano’) e la nostalgia del sottosegretario all’Economia Paolillo per Berlusconi che “ha salvato la democrazia”, e altre ancora che hanno sollevato critiche in gran parte giustificate verso il governo “strano” e sobrio. Con un’avvertenza: se il paese fosse in una situazione normale forse qualche ministro sarebbe andato a casa e il governo stesso sarebbe in crisi. Ma non siamo in una condizione normale. Sono ancora in gioco le “sorti” dell’Italia, come aveva ricordato Napolitano. L’incubo della Grecia, che in queste ore vive momenti drammatici, si è allontanato (proprio per merito di Monti, però) ma non è del tutto scomparso. Tanto che si continua a discuterne, per allontanare da noi quella catastrofica prospettiva. Il ministro dell’Economia di Atene ha detto poche ore fa che il Parlamento approvava le misure-capestro imposte al suo paese, perché era necessario “scegliere il male, per evitare il peggio”.
Lo stesso Napolitano in visita ad Helsinky due giorni fa, ha detto che “L’Italia non è la Grecia, la nostra situazione è diversa”.  Perché? ” Noi abbiamo accolto le istanze che ci sono giunte dalle istituzioni europee e dai consigli europei. Le stiamo affrontando, stiamo rispondendo, e questo significa anche sacrifici”.  Anzi, “noi siamo convinti che non ci sono alternative ai sacrifici”.
E poi perché, soprattutto dopo il viaggio negli Usa del premier, l’Italia e il governo hanno riacquistato quel necessario livello di credibilità e stima che mancava ormai da anni presso la comunità internazionale, politica e finanziaria. Come hanno ricosciuto sia Obama che i leader europei,  l’Italia  sta compiendo dei “passi  impressionanti” sul tema delle riforme economiche e sociali. Così che Monti dopo aver incontrato gli investitori americani e gli operatori di Borsa a Wall street ha potuto assicurare che sta tornando “l’interesse per il mercato italiano economico e per i nostri titoli”” (intanto lo spread con i bund tedeschi è sceso a circa 370 punti base).
Naturalmente, i finanzieri all’estero che investono in Italia sono molto attenti al livello di conflittualità (proteste, lamentele, dubbi) tra i partiti che sostengono il governo. E davvero comprendono  poco la scelta di presentare in Parlamento ben 2.300 emendamenti per modificare radicalmente il decreto sulle liberalizzazioni.
Il Presidente Napolitano però, conta molto (“faccio forte affidamento”), nonostante tutto, sul senso di responsabilità delle forze politiche italiane: “Non rovesceranno il tavolo per mettere in crisi il governo Monti. Non sarebbe nell’interesse del paese”. Solo percorrendo questa via l’Italia sarà in salvo.

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