Il ritorno di Berlusconi

07 Feb 2012

Roma è nel caos, l’Italia al gelo. E anche il governo rischia di restare ibernato, non certo per ragioni climatiche, ma per le polemiche e i sospetti all’interno della sua maggioranza. Più volte, Mario Monti l’ha definita “strana”. Definizione corretta visto che è nata in una situazione “anomala”, tra partiti sempre in guerra, costretti ad accettare una fase di “disarmo reciproco” per superare la crisi economica e sta tornando un vecchio andazzo: il chiacchiericcio aspro e sguaiato che speravamo di esserci lasciato alle spalle

Roma è nel caos, l’Italia al gelo. E anche il governo rischia di restare ibernato, non certo per ragioni climatiche, ma per le polemiche e i sospetti all’interno della sua maggioranza. Più volte, Mario Monti l’ha definita “strana”. Definizione corretta visto che è nata in una situazione “anomala”, tra partiti sempre in guerra, costretti ad accettare una fase di “disarmo reciproco” per superare la crisi economica. Ultimamente, però, a questa definizione il premier ne ha aggiunta un’altra, con un aggettivo che probabilmente gli è sfuggito: maggioranza “evanescente”. Non vorremmo risultasse la più appropriata alla luce della crescente divaricazione tra l’immagine che l’esecutivo dà di sé a livello europeo e internazionale e le poco edificanti vicende di casa nostra. Due su tutto: il colpo di mano alla Camera con la legge anti-giudici e le nomine Rai a garanzia degli interessi di Berlusconi e Bossi.

“Strano”, “anomalo”, “evanescente”.  Gli aggettivi corrono. Non sarà che questo governo è diventato fin troppo “ciarliero”? Dopo il riserbo dei primi giorni, ci troviamo sotto una pioggia di battute, chiose, commenti. Ne hanno fatto le spese l’articolo 18, il “buonismo sociale”, il posto fisso che è “un’illusione da mammoni”. Non siamo per il linguaggio felpato della politica. Ma con questa sovraesposizione mediatica si sta francamente esagerando. Il risultato è che l’immagine di questo governo ne esce appannata. Monti era partito con il sostegno pieno del Pd, oltre che del Terzo polo, e quello sofferto, pressoché imposto, del Pdl. Ora il piatto della bilancia risulta capovolto: da una parte, un Pdl  con Berlusconi che si è assunto il ruolo di padre nobile, “tutore” dell’esecutivo; dall’altra, un Pd diffidente e in sofferenza. Lo schema di partenza, per Monti, era questo: distribuire i necessari sacrifici in maniera equa, così da non scontentare nessuno. Terreno di verifica, gli interventi  su due temi centrali: le liberalizzazioni che toccano gli interessi elettorali del centrodestra; la riforma del mercato del lavoro che provoca pesanti mal di pancia a sinistra. Non si può dire che l’equilibrio tra i due poli sia stato mantenuto. Le liberalizzazioni sono state proposte in forma fin troppo soft e, malgrado ciò, stanno incontrando grandi resistenze, così che il provvedimento potrebbe essere ulteriormente svuotato. La riforma del lavoro, invece, il governo l’ha presa di petto. E nel mirino è l’articolo 18, diventato la vera e propria linea di confine, dal quale tutto sembra dipendere, mentre al principio sembrava potesse essere accantonato, procedendo ugualmente, come è possibile, a un miglioramento sostanziale della flessibilità e a una riforma positiva del mercato del lavoro.

Nel braccio di ferro, teme di restare soccombente il Pd che conferma il suo appoggio al governo, ma non può starci  a fare l’unico donatore di sangue. In questo clima, già avvelenato, il ritorno sulla scena di Berlusconi. Che opera a tutto campo. Difende Monti, anche dagli attacchi dei suoi (“è molto bravo”). E manifesta il proposito di “aprire”al Pd sulla riforma elettorale. Chi potrebbe opporsi a una larga convergenza per una buona legge che finalmente restituisca al popolo il potere di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento? E’ chiaro che, per raggiungere questo risultato, bisogna trattare col Pdl. Attenzione, però. Allo stato delle cose, la mossa di Berlusconi è fatta soprattutto per sparigliare i giochi: “apre” al Pd, ma vuole mettere alle corde l’Udc di Casini, inducendola a posizionarsi a destra, e tiene sotto minaccia la Lega che ha reagito, infatti, con veemenza.

Ci sono i soliti volenterosi, pronti a suonare le trombe per le “buone intenzioni” del Cavaliere. Ma stiamo ai fatti. Il punto è che Berlusconi è uscito dall’angolo. E, malgrado abbia un partito diviso fra tante tribù, che rischia l’implosione, mette sul tavolo i primi risultati. A cominciare dalla legge anti-giudici: un colpo di mano che, neppure negli anni del suo strapotere, gli era riuscito. Qualcuno dice che non forzerà perché venga sanzionata anche dal voto del Senato. Può diventare un utile strumento di baratto mentre attende le decisioni sul processo Mills e sul caso Ruby, da cui dipende la possibilità di riprendere respiro politico. Molto si parla dei progetti berlusconiani e dei possibili inciuci. Compreso un rinnovato interesse per il Quirinale, perseguito attraverso una nuova legge elettorale che stravolgerebbe gli attuali assetti e favorirebbe anche l’ingresso in politica di qualche “autorevole” tecnico del governo Monti. Sta tornando un vecchio andazzo: il chiacchiericcio aspro e sguaiato che speravamo di esserci lasciato alle spalle. Capire come finirà non è semplice. Ma cresce il pericolo di restare prigionieri nella tela dell’impotenza e della rassegnazione.

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