La chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari

06 Feb 2012

Il 25 gennaio scorso il Senato ha approvato, con un emendamento al “decreto carceri”, il disegno di legge proposto quale primo firmatario dal senatore Ignazio Marino che stabilisce la definitiva chiusura, entro il 31 marzo 2013, degli ospedali psichiatrici giudiziari (quelli che, fino alla riforma penitenziaria del 1975 che ne ha cambiato solo il nome, si chiamavano manicomi giudiziari)

Il 25 gennaio scorso il Senato ha approvato, con un emendamento al “decreto carceri”, il disegno di legge proposto quale primo firmatario dal senatore Ignazio Marino che stabilisce la definitiva chiusura, entro il 31 marzo 2013, degli ospedali psichiatrici giudiziari (quelli che, fino alla riforma penitenziaria del 1975 che ne ha cambiato solo il nome, si chiamavano manicomi giudiziari).
L’inchiesta della commissione parlamentare presieduta dallo stesso senatore del PD, di cui il ddl è stato la conclusione, aveva documentato  una realtà già ben nota agli addetti ai lavori: per usare le parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, “l’estremo orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari”.
L’approvazione a larga maggioranza del testo di legge in Senato è un passo verso uno stato di diritto che voglia dirsi autenticamente democratico. La democrazia, scriveva Norberto Bobbio, “è per sua natura inclusiva, tende ad estendere agli altri i propri benefici e a rispettare tutti. Il processo di democratizzazione (…) è stato un processo graduale di inclusione di individui prima esclusi dal riconoscimento dei diritti”.
Nessuna sorpresa, allora, se ad opporsi in Senato al rispetto dei diritti di persone finora prive di riconoscimento sociale sia stata la Lega Nord che agita (non sapendo fare altro) la paura degli “incontrollabili istinti criminali” dei ricoverati negli ospedali psichiatrici giudiziari.

Di ospedaliero, in realtà, gli o.p.g. hanno ben poco. Sono luoghi di segregazione (così li ha definiti la Corte Costituzionale) per persone che si ritiene abbiano commesso un reato in mancanza della capacità di intendere e di volere, per questo prosciolte, sottoposte a misura di sicurezza e internate.
Lì dovrebbe trovare risposta la loro pericolosità sociale (concetto quanto mai discutibile sotto il profilo costituzionale, che attiene al profilo prognostico secondo criteri necessariamente assai opinabili, introdotto per la prima volta dal codice fascista del 1930, mai rivisto e accettato senza  particolari premure garantiste dalla giurisprudenza). Soprattutto però, secondo la Corte Costituzionale, dovrebbe trovare tutela il diritto alla salute degli internati. La sentenza n. 253 del 2003, premesso che il ricovero in o.p.g. riguarda persone malate di mente, non penalmente responsabili e che dunque non devono essere punite, è categorica: “le esigenze di tutela della collettività non potrebbero mai giustificare misure tali da recare danno, anziché vantaggio, alla salute del paziente”.
Ma dagli o.p.g. è difficile che il “paziente” esca guarito o anche solo migliorato. La sostanziale assenza sotto ogni profilo delle condizioni per un recupero almeno parziale della salute mentale fa di questi istituti luoghi che favoriscono piuttosto il perdurare o addirittura l’aggravarsi della malattia.
La Corte Costituzionale, oltretutto, ha segnalato la inammissibilità degli o.p.g. dopo che in base alla legge 180 del 1978 e alla legislazione che l’ha seguita gli ospedali psichiatrici civili, anche essi strutture segreganti, sono stati gradualmente superati e infine chiusi.
Secondo dati diffusi dal governo, ad ottobre 2011 gli internati negli ospedali psichiatrici giudiziari erano 1.322. Di questi l’osservazione interna agli istituti ne ha ritenuti “dimissibili” 213 che però non hanno lasciato gli istituti perché, secondo un comunicato ufficiale del ministero della giustizia, “il magistrato di sorveglianza ha prorogato la misura di sicurezza in ragione della impossibilità di riallocarli sul territorio”. Sono persone che, dopo lunghi ricoveri, non hanno più legami familiari o affettivi né risorse economiche e che solo per questo sono private della libertà.
Il disegno di legge Marino, per questa ragione, non si occupa soltanto della destinazione di chi non potrà essere dimesso ma anche dei ricoverati “dimissibili”. I primi saranno trasferiti in piccole strutture sanitarie dotate di presidi di sicurezza e vigilanza esterni, gli altri dopo la dimissione saranno presi in carico, se necessario, dal servizio sanitario nazionale attraverso i servizi psichiatrici territoriali che si occuperanno anche della loro sistemazione abitativa.
Naturalmente l’approvazione della legge, se e quando sarà definitiva, non risolverà tutti i problemi.
Secondo Psichiatria Democratica – che con il suo lavoro di documentazione, denuncia e pressione oltre che con un appello che può essere sottoscritto attraverso il sito internet della associazione ha dato e dà un forte contributo alla chiusura degli o.p.g. – dovrà essere tempestivamente approvato un Regolamento attuativo che detti tempi e modi del processo stabilito dalla legge e coordini le strutture statali della giustizia e quelle regionali sanitarie per rendere effettivi i progetti relativi ai singoli pazienti.
La nomina di Giovanni Tamburino a capo dell’amministrazione penitenziaria, competente anche per gli o.p.g., anche per questo è un’ottima notizia e ne va dato atto al ministro Severino. Non si poteva sperare di meglio quanto a senso di autentica giustizia e attenzione per i diritti di chi, fino ad oggi, non ha diritti.
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