Ora il Pd reagisca

03 Feb 2012

Che cosa aspetta il Pd ad aprire con la gente un dialogo più alto e più serio sulla crisi della politica? La crisi è molto grave. I corrotti ci sono, ma la classe politica non è una banda di ladri. Perciò va benissimo espellere le “mele marce”. deferire gli indagati alla commissione di garanzia. Ma ha ragione l’Unità.
La discussione che a noi spetta aprire deve riguardare il problema del perché la crisi sia così profonda e rischia di sfociare nel dramma di una democrazia malata e impotente. E quindi deve riguardare il problema della sua riforma. Questo è il nostro compito e il nostro dovere.
Non possiamo più accettare che di noi si parli solo per dire che il Pd “non esiste”: “non parla”, “non sa cosa vuole”. Altroché se esiste. Con tutti i suoi limiti esso rappresenta (forse per caso?) il solo perno solido dell’operazione “salva Italia”. Io ne ho viste tante nella mia lunga vita. Ma non ricordo una guerra feroce come questa. Sento che la democrazia è in pericolo. Intendendo per democrazia, ciò che consenta alla gente non solo di votare e di vedere i dibattiti in tv, ma di partecipare alla vita statale attraverso i suoi organismi intermedi, i suoi partiti. Perciò è così importante riformare i partiti e cacciare i corrotti. Ma bisogna anche sapere a che gioco si sta giocando. La posta è altissima. Cosa c’è dopo il governo Monti? Si può affermare una nuova classe dirigente o, sia pure in forme nuove, resta l’Italia di sempre? I poveracci pagheranno il conto e restano al comando quelle forze, quei mondi e quei poteri forti responsabili di aver consegnato l’Italia a Berlusconi e che in tutti questi anni gli hanno consentito di ridurla in queste condizioni: un paese sull’orlo della catastrofe, reso impotente di fronte ai saccheggi dell’oligarchia finanziaria e per di più irriso in tutta Europa e nel mondo. Qui sta il cuore dello scontro. Adesso nessuno può più negare la gravità della crisi. Il problema allora diventa quello di contro chi indirizzare la protesta. Contro la sinistra? Fino a un certo punto. Del resto chi è più di sinistra di Tremonti? In realtà contro il Pd. Cioè contro quella forza che, con tutti i suoi limiti, è la sola che potrebbe prendere realmente in mano la guida del Paese e riformarlo rendendolo più giusto.

Avverto subito che non sto cercando giustificazioni per il mio partito. Anzi. Io penso che noi stiamo sottovalutando il peso e la gravità di ciò che accade. Non mi consolano i buoni sondaggi. Al di là di essi esiste – altroché – un problema enorme di distacco della gente dalla democrazia dei partiti. Ma forse non ci rendiamo conto che non si tratta del solito, vecchio anarchismo italiano. C’è ben altro. C’è un grande vuoto. C’è la debolezza di una risposta democratica ai nuovi, grandi interrogativi, perfino esistenziali, posti da quella che non è solo una crisi dell’economia ma un passaggio della storia mondiale. Si è rotto un ordine, ed è per questo che il vecchio sistema politico non solo non regge più ma non tornerà più. Ma è esattamente qui che sta la necessità di un nuovo partito come il Pd, più largo della vecchia sinistra ma che sia capace di collocarsi all’altezza del nuovo livello dei problemi. Quel livello in cui la lotta politica interna non si distingue più da quella estera e che un partito nazionale diventa parte integrante delle forze europee che vogliono restituire all’Europa e alla sua civiltà un ruolo globale. Così da poter finalmente lottare ad armi pari contro lo strapotere delle oligarchie.
Perciò è così grave e insidioso l’argomento ripetuto in modo ossessivo che i partiti sono tutti uguali. Non è vero affatto, e non solo per ragioni morali. Ma rispondiamo, perbacco, con le rime. Domandiamoci quali problemi e quali pensieri occupano le menti delle nuove generazioni. Io penso che ha ragione Vendola quando parla della necessità di una nuova “narrazione”. Quella che lui propone non va bene ma il problema è questo. Si è aperto un enorme problema non soltanto economico ma di legittimità anche morale per un sistema come questo in cui l’economia di carta si mangia l’economia reale. Dietro i travagli dell’euro c’è la rottura del patto sociale tra il capitalismo industriale e la democrazia che ha garantito per quasi un secolo il progresso dell’Europa moderna. Esattamente questo è il cuore del problema: mettere in campo una nuova soggettività politica e culturale che abbia la forza di misurarsi con l’oligarchia non in nome di una inesistente rivoluzione proletaria ma di un nuovo patto democratico e sociale. Bersani fu trattato come un poveretto perché negli anni di Berlusconi cercava di dire alla tv che l’economia stava andando a rotoli e che questo dato era preoccupante almeno quanto le notti del Cavaliere. Poi tutti, due mesi fa, hanno scoperto lo “spread”.
Ma io vorrei soprattutto insistere sulla ragione principale della crisi della politica, la quale sta nel fatto che il lavoro umano è stato emarginato e che è stata avvilita la sua stessa funzione sociale. Qui sta la spiegazione di tante cose essendo il lavoro (non dimentichiamolo) il garante dei diritti politici e civili di tutti. La base dello Stato democratico.? Di qui la mia ostinata battaglia in difesa del Pd. Da un lato io non mi nascondo affatto la debolezza di un partito ancora appesantito da una vecchia idea della politica essenzialmente dall’alto e molto ristretta dentro i vecchi canali notabilari (candidati, elezioni, luoghi istituzionali, ecc.). E sostengo la necessità per il Pd di occupare un terreno di battaglie più ampio, che è il terreno delle nuove idee da contrapporre alla forza vera dell’avversario. La quale nel mondo attuale sta soprattutto in quella estrema concentrazione della ricchezza immateriale che consiste nel controllo delle coscienze. Nella capacità di imporre una visione della realtà come strumento di direzione di una società atomizzata.

Ma è proprio questa analisi delle cose che mi spinge non solo al sostegno ma alla militanza in un partito come questo. L’orgoglio di un militante che sa benissimo che la politica è in crisi e che in molte zone è anche corrotta. Ma sa quanto ha pesato, e pesa tuttora, il fatto che i grandi poteri sono altrove, ben oltre i confini di Montecitorio, e conosco il peso dell’intreccio politica-affari e la assoluta necessità di un sistema mediatico più libero che parta dai fatti e che fornisca non solo opinioni (peraltro tutte uguali) ma informazioni vere. Bersani fu trattato come un poveretto perché negli anni di Berlusconi cercava di dire alla tv che l’economia stava andando a rotoli e che questo dato era preoccupante almeno quanto le notti del Cavaliere. Poi tutti, due mesi fa, hanno scoperto lo “spread”. Ma io vorrei soprattutto insistere sulla ragione principale della crisi della politica, la quale sta nel fatto che il lavoro umano è stato emarginato e che è stata avvilita la sua stessa funzione sociale. Qui sta la spiegazione di tante cose essendo il lavoro (non dimentichiamolo) il garante dei diritti politici e civili di tutti. La base dello Stato democratico.

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