Asse Pdl-Lega contro le toghe “Sì alla responsabilità civile”

02 Feb 2012

Liana Milella

La storia della responsabilità civile dei giudici potrebbe cambiare stamattina, tra le 10 e le 11. Con un blitz della Lega e il voto complice del Pdl e dei Radicali, da sempre favorevoli. I giudici, da sempre, sono contrari alla responsabilità diretta. Convinti come sono che essa colpisca a morte la loro autonomia e indipendenza.

La storia della responsabilità civile dei giudici potrebbe cambiare stamattina, tra le 10 e le 11. Con un blitz della Lega e il voto complice del Pdl e dei Radicali, da sempre favorevoli.

Con la maggioranza che si spacca clamorosamente su una questione fondante come quella se il magistrato, nell’esercizio delle sue funzioni di giudice o di pm, sia o no responsabile, e quindi costretto a risarcire in proprio, per gli errori commessi «per dolo o colpa grave».

È un fantasma che torna. È lo stesso emendamento Pini che a giugno dell’anno scorso, infilato nella legge comunitaria, rischiò ugualmente di essere approvato. Adesso rieccolo. Protagonista sempre lui, Gianluca Pini, il deputato romagnolo fan sfegatato di Bobo Maroni. Convinto che i giudici debbano pagare di persona se sbagliano. Nel governo ieri sera c’era grande allarme.

I numeri sono in bilico. Dal Pd è partito un ordine perentorio di presenza in aula obbligatoria.

Mentre all’opposto, in casa leghista, si poteva cogliere un notevole ottimismo sulla possibilità di un voto a favore dell’emendamento. Nella cabala del voto segreto c’era una certezza: il Pdl non perderà l’occasione per approvare una norma che l’ex Guardasigilli Angelino Alfano aveva messo come pilastro della “riforma” costituzionale della giustizia, proprio la responsabilità diretta dei giudici, che riuscirebbe a passare addirittura con una legge ordinaria.

Ma andiamo per ordine. Legge comunitaria 2011. Tra gli emendamenti da votare stamattina figura quello di Pini che inserisce ex novo l’articolo 30bis. Il quale recita: «Chi ha subìto un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato in violazione manifesta del diritto, o con dolo o colpa grave, nell’esercizio delle sue funzioni, ovvero per diniego di giustizia, può agire contro lo Stato e contro il soggetto riconosciuto colpevole per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale. Costituisce dolo il carattere intenzionale della violazione del diritto». Segue una disquisizione su come si configuri la «violazione manifesta del diritto» e la conseguente copertura degli oneri finanziari.

Una settimana fa, martedì 24 gennaio, non appena l’emendamento Pini ha cominciato a circolare, è toccato a Donatella Ferranti, ex magistrato ed ex segretario generale del Csm, attuale capogruppo del Pd in commissione Giustizia alla Camera, diffondere l’allarme. Lei dice: «La responsabilità diretta dei giudici è una follia. L’emendamento Pini dovrebbe essere dichiarato inammissibile perché, violando il principio di autonomia e indipendenza della magistratura, risulta palesemente incostituzionale. Peraltro la stessa Corte di giustizia europea è stata molto chiara nel dire che la responsabilità per gli errori giudiziari grava sullo Stato e non sui giudici». L’emendamento passa del tutto inosservato. E sarà dichiarato ammissibile, mentre all’opposto è sicuro che il governo darà un parere contrario. Ma questo poco conta al momento del voto. Se nell’emiciclo si dovesse consolidare una maggioranza a favore, l’emendamento Pini diventerebbe operativo.

Certo, dovrà essere confermato dal Senato, ma lo smacco per il governo, nonché la spaccatura in due tronconi, sarebbero evidenti. I giudici, da sempre, sono contrari alla responsabilità diretta. Convinti come sono che essa colpisca a morte la loro autonomia e indipendenza. La Ferranti spiega il perché: «Una scelta come questa andrebbe contro gli interessi dei cittadini perché, intimidendo la magistratura, essa ingesserebbe e blinderebbe l’interpretazione della legge. Verrebbero così inibite le sentenze più innovative procurando gravi danni a tutto il paese». In pratica il giudice, per evitare di essere denunciato, finirebbe per appiattirsi sulle scelte già fatte dai colleghi. In questo senso, la sua autonomia, oggi tutelata dalla Costituzione, verrebbe colpita a morte.

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