Legge elettorale: chi rema contro

26 Gen 2012

In linea teorica, ci sarebbero le condizioni per cancellare l’infame “Porcellum”. Ma la questione si sta giocando sulla base delle alleanze elettorali e degli interessi dei partiti, che il Parlamento dovrebbe superare con un soprassalto di senso di responsabilità per non approfondire la distanza tra cittadini e istituzioni

Avanti adagio. Non c’è oggi chi si senta di scommettere sul futuro della riforma elettorale. Eppure, in linea teorica, ci sarebbero le condizioni per cancellare l’infame “Porcellum”. Sul fronte economico, il governo sta facendo la sua parte, prima con la manovra sui conti pubblici, poi col piano di liberalizzazioni. Il Quirinale è da tempo in campo, a spronare il Parlamento perché si muova sul terreno delle riforme. La stessa Corte Costituzionale, se è vero che ha bocciato i referendum per il timore del vuoto legislativo, elenca tuttavia le carenze dell’attuale sistema elettorale e passa la palla alle Camere. Non avrebbero i partiti la propria convenienza a scuotersi dal torpore, a colmare il vuoto, a porre termine alla lunga “vacanza” della politica? In realtà, la situazione è ben più complicata di quanto non dicano le apparenze. “Stiamo uscendo dalla crisi”, sostiene Monti mentre si accinge a un più stringente negoziato con la Germania e  la Merkel.  Però, timori e sospetti si addensano sulla “strana” maggioranza che lo sostiene. Il problema sta nella persistente ambiguità di Berlusconi, che intorbida il clima. E’ qui l’anello debole. Il centrodestra rappresenta il terreno ideale sul quale potrebbe saltare il banco. Per il Cavaliere non è facile staccare la spina, ma non può nemmeno permettere che l’esecutivo diventi più forte. Se provocasse le elezioni, andrebbe incontro a una strada piena di rischi, come avvertono tutti i sondaggi che danno il partito in caduta costante. Ma il sostegno a Monti, sino alla fine della legislatura, potrebbe condurre alla rottura con Bossi, forse già a partire dalle prossime elezioni amministrative, e mette a rischio la giunta Formigoni in Lombardia. Così Berlusconi vive alla giornata. Minuto per minuto. Indeciso a tutto. Ma comunque con l’orecchio teso a ciò che verrà dal processo Mills e a come si concluderà la vicenda delle frequenze digitali per la sua Mediaset.

E’ una commedia indecente. Nella quale il Pdl, con la sua confermata incapacità di definire un’autonoma strategia, occupa la posizione più sgradevole. Però, bisogna riconoscere che, in linea generale, la questione della legge elettorale si sta giocando sulla base delle alleanze elettorali e degli interessi dei partiti, mentre dovrebbe, al contrario, avere per oggetto quale sia il modello migliore di democrazia per il Paese. Oggi, sul centrodestra soprattutto, ma anche sul centrosinistra, non si sa con quali alleanze si affronteranno le elezioni. Si fanno, quindi, molte chiacchiere, ma non c’è nessun fatto concreto. Eppure, la riforma elettorale rappresenta un punto cruciale. E’ il terreno sul quale si potrebbe fare il primo passo per ristabilire il rapporto tra i partiti e il consenso popolare. E’ vero che la gravità della crisi economica e sociale sta in cima a tutto. Ma se il governo tiene, se Berlusconi non fa saltare il banco, come pensano i partiti di occupare il loro tempo fino alle elezioni del 2013? Anche se molti mostrano di non accorgersene, il “Porcellum” rappresenta il principale  motivo dell’ulteriore delegittimazione della classe politica. La risorsa di cui i partiti ancora dispongono sta nella capacità di varare una nuova e buona  legge elettorale. E di gettare  nella pattumiera quel mostro giuridico, nato dall’accordo di potere tra Berlusconi e la Lega, che ha privato i cittadini, con la vergogna delle liste bloccate, del diritto di scegliere i candidati e, nello stesso tempo, ha aggravato il problema della governabilità perchè, in nome di un apparente bipolarismo, l’ha resa addirittura più fragile, favorendo la maggiore frammentazione tra i partiti.

Quando si parla di una buona legge elettorale si pensa a tre obiettivi da raggiungere: restituire la scelta degli eletti agli elettori, garantire la governabilità del sistema politico; creare coalizioni di governo che non siano semplici cartelli elettorali. Chi scrive ritiene che la soluzione migliore sia la reintroduzione dei collegi uninominali, questa volta con elezione a due turni, secondo il modello francese. E’ però l’ipotesi, allo stato delle cose, di più difficile, pressoché impossibile,  realizzazione. E, d’altra parte, quando si discute di legge elettorale, bisogna puntare a una vasta convergenza di consensi. I compromessi possono, dunque, rivelarsi necessari. A condizione che non compromettano gli obiettivi di fondo. Ma quello che manca, al varo di una buona legge, è la convenienza di Berlusconi e di Bossi. E’ questo il primo ostacolo. Che il Parlamento dovrebbe superare con un soprassalto di senso di responsabilità. Se lo facesse, sarebbe davvero un miracolo. Ma, senza questo miracolo, i partiti perderebbero definitivamente il loro ruolo di indirizzo. E il vuoto tra cittadini e istituzioni si farebbe incolmabile.

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