Una riforma non impossibile

13 Gen 2012

Che il porcellum sia indigeribile per gli elettori è ormai noto a tutti, sia nei palazzi che fuori. Ma le distanze tra i partiti, e anche dentro di essi, sulla ricetta da proporre per superarlo continuano ad essere abissali

Dopo la giornata del doppio no, all’arresto di Cosentino e ai referendum elettorali, fioccano le previsioni su quel che accadrà. Due spiccano su tutte: c’è chi dice che esista un patto segreto tra Berlusconi e Bossi per staccare la spina al governo e andare alle elezioni in primavera, e c’è chi sostiene che, al contrario, il marasma della politica sarà per Monti come l’elisir di lunga vita.

Diciamo subito che la seconda ipotesi appare più plausibile, nonostante l’esultanza del centro destra dopo il salvataggio di Cosentino possa far pensare il contrario. E’ vero che la frattura tra Lega e Pdl sembra ricucita e che i numeri (non ci avventuriamo qui in elucubrazioni sui possibili incroci di franchi tiratori: col voto segreto tutto è possibile ma nulla è dimostrabile) confermano che la maggioranza parlamentare berlusconiana esiste ancora. Ma pensare che possa uscire vittoriosa da elezioni politiche anticipate è davvero un azzardo.

Il discredito che circonda il Cavaliere è intatto e, in più, la Lega appare vicina all’esplosione. Qui la diagnosi degli osservatori è unanime: Maroni ha perso nel voto dell’aula, ma la base leghista gli è più vicina che mai, mentre la leadership di Bossi vacilla. Inoltre, la ritrovata intesa tra i due capi del centro destra allontana ogni accordo con Casini, il cui apporto viene considerato indispensabile per affrontare eventuali elezioni con una ragionevole speranza di successo.

L’espediente tattico di un gioco delle parti per il quale Berlusconi si occupa di Bossi mentre Alfano cura i rapporti con Casini è, appunto, un espediente. Il capo dell’Udc gradisce il corteggiamento perché ha tutto l’interesse ad essere al centro dell’attenzione ma, se si dovesse venire al dunque, non ne avrà alcuno a ricostituire la vecchia alleanza, per di più senza Fini. Dovrebbe ottenere in cambio una legge elettorale proporzionale, ma a quel punto, dopo le elezioni, Berlusconi non avrebbe nessuna certezza di trovarlo al suo fianco.

Il Pd ha problemi analoghi. Per Bersani la spina nel fianco si chiama Di Pietro. L’attacco forsennato sferrato dall’ex pm nei confronti del Quirinale dopo il verdetto della Consulta sui referendum rende sempre più improbabile l’alleanza elettorale tra Pd e Idv. Ne deriva la necessità vitale di agganciare l’Udc, pena l’isolamento e l’inevitabile sconfitta nelle urne. Anche in questo caso Casini gradisce le avances, ma sempre con lo stesso obiettivo: legge elettorale proporzionale.

Se questo è il quadro, se ne deduce che la riforma della legge elettorale è più probabile di quel che si potrebbe pensare dopo la bocciatura dei referendum. Perché se nessuno dei due schieramenti contrapposti riesce a costruire un’alleanza competitiva, allora l’interesse generale è quello di creare le condizioni per poter giocare comunque la partita. Molto dipenderà dall’impulso che la stessa Corte Costituzionale darà alla questione con le motivazioni della sentenza di non ammissibilità dei quesiti referendari, attese tra circa un mese. E molto conterà anche l’azione di moral suasion che Giorgio Napolitano sembra deciso a portare avanti per non buttare al macero l’impressionante numero di firme raccolte sui referendum.

Che il porcellum sia indigeribile per gli elettori è ormai noto a tutti, sia nei palazzi che fuori. Ma le distanze tra i partiti, e anche dentro di essi, sulla ricetta da proporre per superarlo continuano ad essere abissali. Tuttavia la difficoltà di andare ad elezioni con questa legge, vista l’impossibilità di costruire alleanze credibili, rende possibile la riforma. E qui si vedrà la capacità dei partiti di avanzare proposte praticabili. Per ora, l’unica constatazione possibile è che, obiettivamente, quello messo meglio è proprio Casini.

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