Zagrebelsky, Monti e il governo senza partiti

14 Dic 2011

L’Unità sceglie di pubblicare un articolo polemico nei confronti di un editoriale di Gustavo Zagrebelsky, uscito su la Repubblica dello scorso lunedì, “La democrazia senza i partiti”

Ma che tipo di governo è quello di Monti? È forse un governo di destra? Ed è vero che comanda sempre lui? Né di destra né di sinistra, quello di Monti è piuttosto un governo di compromesso, a visibile prevalenza moderata, espresso in una fase di chiara emergenza, priva delle normali risorse della politica.
Il fisiologico sbocco di una emergenza esterna (catastrofe economica) ed interna (dissoluzione non solo della maggioranza ma degli equilibri sistemici) altrove è una grande coalizione. In Italia questa strada è preclusa per ragioni storico-politiche. Non si può infatti passare da un ventennio di bipolarismo oltranzista a una condivisione esplicita di una stagione di governo.
Questa impossibilità politica di stipulare un accordo temporaneo ha imposto un surplus di iniziativa del Colle. Lo stato di eccezione di Schmitt evocato dal Corriere della Sera non c’entra proprio nulla. Accadde così già con il governo Ciampi. Con una modica forzatura delle regole tradizionali, il capo dello Stato fu anche vent’anni fa il regista delle operazioni necessarie per attutire i contraccolpi di una caduta repentina del sistema politico.
La parentesi tecnica è più volte comparsa come l’equivalente funzionale dei governi di grossa coalizione. Si è verificata non solo in occasione della crisi di regime (governo Badoglio) ma anche nel corso della crisi di sistema politico (governo Ciampi). Il dicastero Monti è dentro questa tradizione storica che scavalca la polarità maggioranza-opposizione, silenziosa quando a naufragare non è una semplice formula di governo ma un sistema politico.
Per questo è del tutto inadeguata la definizione di Gustavo Zagrebelsky che, su Repubblica di lunedì, ha parlato di un mero allargamento della vecchia maggioranza.
Intanto, non può esserci stata una assimilazione dell’opposizione nell’alveo della destra giacché proprio quest’ultima si è dissolta. Un blocco politico che è evaporato non può inghiottire altre forze che ad esso si opponevano. La Lega ha persino rotto ogni collegamento con il Pdl. Quindi non può parlarsi di un governo di destra ampliato perché quella coalizione di destra, proprio essa, non esiste più e pertanto non può in alcun modo allargarsi oltre i suoi confini.
Dal punto di vista istituzionale, non c’è affatto la vecchia maggioranza che sopravvive con l’innesto di apporti nuovi ma si è presentata una diversa formula politica. Le forze che prima erano assenti dall’esecutivo (il Terzo Polo, l’Idv e il Pd) sono diventate la parte più cospicua della maggioranza che in aula ha votato per Monti. E il Pdl, pur essendo un partner rilevante la cui presenza scongiura un ribaltone che nessuno ha mai cercato, rimane pur sempre minoritario entro la convergenza parlamentare (non si tratta di una coalizione riproponibile) che ha accordato la fiducia al governo.
Quindi non è vero che comanda sempre lui. Magari anche nel “consiglio di facoltà” dovrebbero rammentarsene ogni tanto e mostrare più coraggio politico, senza spezzare la logorante logica della mediazione. Dove Zagrebelski vede solo la fine della politica per l’abdicazione del Pd in realtà si nasconde una scelta politica, difficile e costosa, certo, ma politica. Il Pd, che accetta l’imponderabile, non è affatto un esemplare malconcio di una politica malata. Solo un vero partito può sopravvivere a una sfida di questa asprezza, tipica della grande politica.
O Zagrebelsky pensa che per “non alzare bandiera bianca” il Pd avrebbe dovuto affrontare la prova del fuoco delle urne quando tutte le armate delle potenze mondiali erano già schierate? Non era a disposizione del Pd la strada del voto. Avrebbe dovuto scatenare le ire di sua maestà il mercato, entrare in frizione con il Quirinale, rompere con il Terzo polo e, facendosi scudo con una maggioranza negativa (con Idv e Lega), prepararsi al duello finale? L’irresponsabilità può apparire vigore ma si tratta di una illusione di potenza, alla lunga assai costosa.
Per non siglare una “autodichiarazione di bancarotta”, come scrive Zagrebelski, il Pd avrebbe dovuto imporre il voto e sbarrare la strada a un governo senza i partiti? Che la vitalità della politica sia legata all’eccezione che gode dell’emergenza sembra molto difficile da sostenere. Né un novello Celestino V che rinuncia ad una vittoria scontata per incassare una variante spuria della grossa coalizione, né un irresponsabile amante del pericolo ma un politico di grande scuola che non ha avuto esitazioni dinanzi a certi dilemmi e ha imboccato la strada giusta, questo è apparso Bersani.
Un governo di emergenza non è una scelta, è una condizione che capita e il leader del Pd non poteva scartarla senza assumere rischi incalcolabili. Imporre grandi temi di sinistra anche a un esecutivo di compromesso, questo è ora il compito. Il resto è chiacchiera.

Supportaci

Difendiamo la Costituzione, i diritti e la democrazia, puoi unirti a noi, basta un piccolo contributo

Promuoviamo le ragioni del buon governo, la laicità dello Stato e l’efficacia e la correttezza dell’agire pubblico

Leggi anche

Le scuole di Libertà e Giustizia

L’Unione europea come garante di democrazia, pace, giustizia

In vista della legislatura 2024-2029, l’associazione Libertà e Giustizia propone sette incontri sul ruolo del Parlamento europeo e le possibilità di intervento dei singoli cittadini e delle associazioni

Approfondisci

Newsletter

Eventi, link e articoli per una cittadinanza attiva e consapevole direttamente nella tua casella di posta.