C’era una parola chiave in cima agli impegni del professor Monti. Ed è la parola equità, dal latino “aequus”, uguale, ripetuta come un mantra anche dai partiti, soprattutto a sinistra, ma poi anche a destra. Doveva costituire un obiettivo obbligato, assieme agli altri due raccomandati dal nuovo premier: rigore e crescita. Su questi tre punti bisognava far leva per un’azione armonica, capace di fare accettare un programma di sacrifici inevitabili, ma allo stesso tempo intollerabili qualora non equamente ripartiti. Il che significa, in termini concreti, che la manovra doveva pretendere di più da quanti in questi anni hanno dato poco (o niente) rispetto a chi ha già dato molto. Francamente, non ci sembra che questo proposito si sia incarnato alla fine nel decreto varato dal Consiglio dei ministri. Che la manovra sarebbe stata assai pesante era risaputo. Quando bisogna fare cassa con un pacchetto per 30 miliardi lordi, e i tempi sono strettissimi, tali da pretendere una terapia d’urto, non si può andare tanto per il sottile, disegnando scenari futuribili. Però, era lecito attendersi qualcosa di più e di diverso.
Certo, qualcosa di meglio è stato fatto rispetto alla bozza originaria prevista dall’esecutivo. Il ritocco dell’ultima aliquota Irpef (dal 43 al 46 per cento) è stato cancellato, evitando l’ennesima frustata al ceto medio, quel lavoro dipendente che paga le tasse mentre nel lavoro autonomo si registrano denunce dei redditi scandalose. Si è introdotta l’ “una tantum” dell’1,5 per cento sui capitali recuperati con lo scudo fiscale di Tremonti. Ci sarà l’estensione dell’imposta di bollo per una serie di operazioni finanziarie. Ci saranno la tassa sugli yacht e il rincaro dei bolli sulle auto di lusso. E’ qualcosa, ma non basta Sarebbe stato troppo pretendere una sovrattassa maggiore sui capitali di cui il precedente governo ha consentito il rientro attraverso un importo che allora rappresentò un premio scandaloso all’evasione? Era improponibile un’imposta sulle grandi fortune secondo l’esempio francese? Non si poteva, almeno, tentare il riequilibrio dell’imposizione sulle rendite finanziarie? Troppi grandi patrimoni continuano a restare invisibili, mentre il livello dell’evasione tocca oltre un quarto dei cittadini. Il governo ha promesso la lotta all’evasione fiscale. Però, al momento, è poca cosa. Visto che ci si è limitati a reintrodurre la tracciabilità del contante a partire da mille euro, cancellando la soglia più bassa prevista nel menù originario. Quando si parla di equità e di lotta ai privilegi si impone l’immagine degli scandalosi privilegi di una classe politica pletorica, tanto a livello centrale quanto a livello locale. Monti ha cercato di dare qualche segnale di novità. La misura più forte è quella che trasferisce ai Comuni le funzioni delle Province, rendendo forse inevitabile la loro futura abolizione con legge costituzionale. Ma il più resta da fare. E il compito non può gravare solo sul “governo tecnico” se si vuole finalmente indurre la politica alla necessaria sobrietà.
Non sarebbe giusto pretendere miracoli da un esecutivo che può contare su una maggioranza quanto mai eterogenea benché vastissima. Monti ha dovuto cercare di distribuire i costi politici, in modo che nessuno dei partiti che lo sostengono si sentisse colpito più degli altri. Sta di fatto, però, che questa manovra fa pensare troppo alle maxistangate del passato. La casa subisce un durissimo colpo: c’è il ritorno all’Ici e, nello stesso tempo, l’aggiornamento degli estimi catastali. La “svolta”, nel segno delle riforme di struttura, è solo accennata. C’è, va riconosciuto, nell’intervento sulle pensioni, in certi casi doloroso ma in altrettanti casi giusto. Con un opportuno aggiustamento dell’ultimo momento, il meccanismo di rivalutazione delle pensioni è stato esteso fino a mille euro. Ma la giustizia sociale vorrebbe che venisse esteso oltre questa soglia, fino alle pensioni medie. Resta, in ogni caso, il problema di fondo: come si raccorda la riforma pensionistica con una nuova politica dal lavoro? Molto c’è da fare per il governo. Non è detto che ci riesca. La partita è dall’esito imprevedibile. Molto dipenderà dall’abilità del Professore. Ma anche dalla consapevolezza generale della gravità della crisi.
In certe prudenze del governo nel colpire i privilegiati, come in certe nomine inspiegabili e discusse tra i sottosegretari, è difficile non leggere la pesante ombra del PdL, che ha pur sempre il maggior gruppo parlamentare, e degli interessi che rappresenta. Certo, in Parlamento Monti i conti li deve fare con i partiti. Ma nel paese li deve fare con la gente che lavora, già molto esasperata. I mercati oggi sembrano dargli ragione e nessuno vuole giocare allo sfascio. Ma non si può neanche colpire sempre gli stessi, perché qualsiasi corda tirata troppo si spezza. E la nostra società è già attaversata da troppe lacerazioni e ingiustizie. Del resto, se forze tutt’altro che ostili alla nascita di questo governo, dai sindacati alla Cei, invitano a correggere il tiro, un leader intelligente dovrebbe raccogliere questo invito e proporre qualche modifica in direzione dell’equità.
CARO MELI Come in altre occasioni quì si sta perpetrando ancora una volta il SACCO DI ROMA E DELL’ITALIA INTERA.Soltanto che i barbari hanno avuto la forza di saccheggiare i poveri ma anche i ricchi .Oggi mi sento di nuovo dentro il sacco tenuto in mano dai vecchi politici e Monti è forse costretto a versare le nostre ricchezze mettendo da parte quelle delle CASTE. Adesso è ora di finirla : O TUTTI O NESSUNO e MONTI deve avere il coraggio di cambiare queste leggi sporche volute dai M(n)ostri vecchi parlamentari che adesso se la ridono alle nostre spalle ingrassando con esse i nuovi barbarPerchè non crei un sito dove inviare le firme per fare bruciare queste LEGGI assurde e porcherie che i nostri politici perpetuano nascondendosi dietro leggi fatte da loro stessi? Noi possiamo soltanto incazzarci e per rabbia non andare a votare ,ma questo non cambia lo stato delle cose. IO TI DICO CHE OLTRE A SCRIVERLE QUESTE COSE SI DEVE POI AVERE IL CORAGGIO DI PRENDERE DELLE INIZIATIVE PER FARLE ABOLIRE.E CHI SE NON TU PUOI FARLO?? Facci da guida e vedrai quanti milioni di persone ti seguiranno e se no restano soltanto ….PAROLE AL VENTO. Se non ora ..QUANDO???? Reputo Monti una persona onesta ma in questi frangenti è obbligato ad appoggiarsi ai politici politicanti che potrebbero incastrarlo e farlo cadere. DIAMOGLI FORZA .AIUTACI A CAMBIARE L’ITALIA E NE AVRAI RICONOSCENZE
Non ho incarichi Istituzionali o politici, ma ho fatto il Sindaco per 17 anni e l’Assessore provinciale per 3 e credo di aver maturato un minimo di esperienza e conoscenza del mondo delle autonomie locali da permettermi di svolgere alcune valutazioni di merito su quanto si sta dicendo in questi ultimi tempi sul sistema dei governi locali e in particolare sulle Province.
Su questi argomenti leggo spesso analisi, giudizi, affermazioni di vari commentatori o editorialisti che, diversamente da quanto avviene su altre problematiche, non sono supportate da un minimo sforzo teso ad indagare, approfondire, comprendere ciò di cui si parla.
Qualcuno sostiene che le Province non servono e rappresentano solo uno spreco funzionale alle esigenze della politica ed ecco che in tanti prendono l’argomento a simbolo della battaglia per rendere più efficiente la Pubblica Amministrazione e meno costosa la politica.
Ma è proprio questo ciò che serve al Sistema Istituzionale e a tutto ciò che è riconducibile ad esso, per avere uno Stato Migliore?
Se mi è concesso, vorrei motivare il mio dissenso nei confronti della vulgata pressappochista che ha preso piede in questo Paese e che sta trovando molti sostegni da persone assolutamente in buona fede, ma anche da chi in buona fede non è.
1 – Per prima cosa vorrei dire, a proposito del Decreto del Governo, che non è così strano che per abolire un organo dello Stato, previsto dalla Costituzione, tra l’altro composto da persone elette dal popolo, serva quanto meno una legge discussa e approvata in Parlamento. Intervenire con un Decreto che ha come obiettivo il risanamento dei conti pubblici (che è una esigenza assolutamente necessaria), è uno schiaffo alla Costituzione e, mi sia consentito, anche a quella Democrazia rappresentativa che è alla base di uno Stato democratico. Infatti non è certamente un caso che, proprio per questa ragione, sia stato il Presidente della Repubblica a correggere la norma introdotta nel Decreto. E’ stato il Presidente Napolitano ad evitare una figuraccia al Governo e un vero e proprio strappo Costituzionale. Certamente sarebbe stato auspicabile un segnale da parte del Parlamento, ma abbiamo visto che i Parlamentari sono sensibili solamente ai loro stipendi (costituzionali) e purchè non lo si tocchino sono disponibili a passare sopra ad ogni cosa.
2 – Detto ciò, quello che mi interessa veramente, è entrare nel merito della questione. E lo faccio ponendo una domanda: ma è proprio vero che le Province vadano ascritte tra gli Enti che sprecano il denaro pubblico perché fanno cose che non servono o che fanno già altri? Come ormai sanno tutti, le Province costano circa 12 Miliardi e incidono per l’1,5% sulla spesa pubblica, mentre l’insieme dei suoi organi (Presidenti, Assessori e consiglieri) costa 113 Milioni di euro. Queste risorse sono impiegate (purtroppo non sempre in modo efficiente, come spesso avviene nella Pubblica Amministrazione, dove abbiamo soggetti virtuosi e altri dissennati) per le Politiche territoriali (Urbanistica, Ambiente), per la Scuola, la Formazione, il Mercato del Lavoro e le Strade.
In base ad un principio di sussidiarietà, termine che pare non interessare molto, gestiscono competenze di “area vasta” che non potrebbero gestire i singoli Comuni.
Mi sto riferendo ai Piani Regolatori, ai Piani Energetici, al sistema autorizzativo per quanto riguarda insediamenti produttivi o Centrali di vario genere che hanno effetti su scala vasta e non sui singoli territori e per questo serve un soggetto sovracomunale capace di portare a sintesi le esigenze dei privati con quelle del Pubblico e dei cittadini.
Mi sto riferendo, poi, alla gestione di 125.000 km di strade provinciali. Questa rete viaria (l’ 84 % della rete nazionale) oggi ha una gestione sostanzialmente unitaria, perché c’è un unico soggetto che segue la manutenzione, che fa le gare, che controlla e fa politiche organiche sulla sicurezza stradale. Proviamo ad immaginare se ad ogni Comune venisse attribuito il pezzo di strada provinciale che insiste sul proprio territorio comunale. Ci troveremmo in un quadro di manutenzioni differenziate, con qualcuno che spende e altri no e, soprattutto, con la necessità per ogni Comune (o gruppo di Comuni associati) di allestire uffici tecnici (smantellati da tempo) per progettare, gestire, seguire questa enorme rete viabile. Certo, potrebbero beneficiare del trasferimento del personale delle Province, ma avendo spezzettato le gestioni, questo non sarebbe sufficiente.
Di fatti i costi RADDOPPIEREBBERO!!!!!
La stessa cosa si potrebbe dire per altre funzioni che attengono al mercato del lavoro, alla scuola o alla formazione.
Ed è a questo punto che formulo un’altra domanda: come mai in tutti i Paesi Europei esistano enti parificabili alle Province? Per la precisione tutti i paesi hanno i comuni; 23 su 25 hanno le Province; 17 hanno le regioni. Spesso mancano altri livelli istituzionali che in Italia ci siamo inventati, ma di questi sia la manovra che la politica, non parlano.
3 – Immagino che non interessi molto quanto si fa in Europa, almeno quando non vengono esempi che confermino le proprie tesi, e allora faccio il passaggio successivo che solitamente si fa quando si affronta questo argomento. Cioè, prendendo atto che non si possono attribuire tutte le competenze delle Province ai Comuni per le ragioni che prima dicevo, c’è chi sostiene con convinzione (peraltro questa era l’ossatura della norma contenuta nel decreto salva Italia) che le competenze dovrebbero passare alle Regioni.
Ecco, proprio le Regioni. Ma non vi è capitato di leggere che i veri sprechi, i veri costi della politica, in gran parte vengono proprio di li’? I Consiglieri, che come si sa hanno ben poche responsabilità, percepiscono stipendi, nelle Regioni morigerate, che sono 3 volte quelli dei sindaci di medie città; nelle Regioni meno morigerate, cioè la stragrande maggioranza, arrivano a stipendi come quelli dei parlamentari. E il bello è che essendo così distanti dai cittadini, nessuno sa bene cosa facciano, la trasparenza è un optional e il controllo popolare praticamente non esiste.
Ma questo, evidentemente, non è un argomento che fa battere il cuore. Potrei aggiungere che un’organizzazione dello Stato basata su due centralismi distanti entrambi dai cittadini, quello Statale e quello Regionale, non va bene perché allontana i luoghi delle decisioni e la capacità di controllo dai cittadini stessi. Potrei segnalare che è proprio l’Unione Europea a sottolineare con enfasi “la necessità di attribuire funzioni istituzionali ai livelli bassi della scala gerarchica in attuazione al principio della sussidiarietà”. Attraverso questo principio viene affermato “che il maggior numero di funzioni devono essere attribuite ai livelli più bassi di governo in funzione della maggiore rispondenza ai bisogni ed alle preferenze dei cittadini, proprio in considerazione di una maggiore vicinanza e migliore interpretazione delle loro necessità”. Ma non credo siano argomentazioni così efficaci per chi cerca soluzioni semplici e immediate per dare il segno che si è masso mano ai costi della politica.
Allora provo a indicare qualche dato per far comprendere che la strada che si è intrapresa non funziona neppure sul piano del risparmio . Lo sapete che cosa significherebbe trasferire il personale delle Province alle Regioni? Dal 15 al 20% in più di costi solamente per pagare gli stipendi. E questo in una delle Regioni più virtuose come l’Emilia Romagna. Se si immaginano altre Regioni, i costi crescerebbero ulteriormente. Vi prego di chiedere informazioni circa i diversi contratti dei dipendenti provinciali e regionali e di verificare chi esercita funzioni di controllo del lavoro in Enti come le Regioni. Comunque, per ritornare ai numeri, se il costo del personale complessivo delle Province è di 2,5 miliardi e solo un 50% passasse sotto le Regioni, credo si abbia chiaro cosa significherebbe in termini di costi per le nostre tasche.
A titolo puramente informativo segnalo anche che quando le competenze in materia urbanistica erano in capo alle Regioni, per avere approvata una variante per un’attività produttiva, quando andava bene servivano 2 anni; quando andava male oltre i 3.
4 – Questo significa che non c’è spazio per mettere mano ai costi di un sistema pubblico certamente condizionato dalle esigenze fameliche della Politica? Assolutamente no! Gli spazi ci sono e sono enormi!
Vi chiedo, a cosa servono le Prefetture in una organizzazione dello Stato Federalista? Vi posso garantire che quel pò che fanno, con strumenti dell’Ottocento e generalmente senza nemmeno applicare le norme sulla trasparenza degli atti, potrebbero essere fatte (come in parte avviene) da Province e Comuni, mentre un’altra parte di cose che fanno, per esempio far perdere tempo alle Questure e alle Forze dell’Ordine in genere (si provi a chiedere in giro per averne un’idea), si potrebbero cancellare proprio.
A cosa servono poi decine e decine di Consorzi che gravitano sullo stesso bacino idrico e che, oltretutto, salvaguardano gli interessi degli agricoltori e non quelli dei cittadini che rischiano di allagarsi ogni volta che piove un po’ più del solito?
A cosa servono Enti, Autorità ed Agenzie d’ambito costruiti per essere soggetti terzi rispetto agli Enti Locali nella gestione di certi servizi (trasporti, rifiuti ecc.) quando i Comuni sono proprietari delle Aziende che gestiscono i servizi pubblici, controllano le Agenzie/autorità che dovrebbero controllare le loro aziende e rispondono ai cittadini della qualità dei servizi che gli vengono offerti? In sostanza si spendono soldi, tanti, per tenere in piedi un vero e proprio conflitto di interessi.
E’ mia opinione che le Province, nel quadro di una riorganizzazione complessiva delle Autonomie locali, dovrebbero smettere di fare cose che non servono e farne altre attribuite a soggetti che non sono eletti e controllati dai cittadini, nonostante gli siano attribuite funzioni pubbliche anche importanti.
Da domattina si potrebbero tagliare le spese per la cultura e per il sociale, che non rientrano nelle competenze delle Province ma in quelle dei Comuni. Si potrebbero sostenere le Province virtuose e penalizzare quelle che non lo sono. Si potrebbero introdurre per le Province, ma anche per Regioni e Comuni, degli standard oltre i quali si è penalizzati. E’ possibile che ci siano Enti che hanno costi del personale che incidono per il 60/70% e altri che arrivano al 30%. Qui bisogna colpire. E’ ora di finirla con questo atteggiamento di difesa indistinta dei Comuni o delle Regioni o delle Province. Ci sono Enti che funzionano bene, altri che sono un disastro. Occorre, con strumenti coercitivi, introdurre elementi di garantiscano maggior uniformità.
Poi, si potrebbe intervenire duramente anche sulle spese sostenute per la formazione e il mercato del lavoro, lasciando molto più spazio al valore dei progetti formativi e ai privati che già operano nel settore con risultati importanti. Certo, si andrebbero a toccare molti interessi che gravitano in questo mondo, si provi a pensare agli Enti di Formazione dei Sindacati, delle Associazioni di categoria o degli imprenditori, ma anche qui bisogna liberalizzare. O no?
Sto parlando di interventi strutturali, che eliminino privilegi consolidati nel tempo e ambiti di sottogoverno della politica e delle diverse componenti sociali; sto parlando di semplificare la nostra organizzazione dello Stato ridefinendo competenze e funzioni con l’obiettivo di lasciarle il più vicino possibile ai cittadini; sto parlando di risparmiare parecchi miliardi di euro.
Quello che invece si sta ipotizzando, nell’indifferenza più totale, è un risparmio di alcune decine di milioni di euro promosso con tanto clamore per dare un contentino all’antipolitica e distogliere lo sguardo dai veri centri di costo che sfuggono al controllo dei cittadini e alimentano il sottobosco della politica e di ciò che vi gravita attorno.
Sparare nel mucchio è diventato uno sport di massa, ma non serve coraggio per questo. Serve coraggio, invece, per iniziare a dire cose che paiono impopolari o, ancor peggio, che quasi tutti (spesso in modo bipartisan) tacciono perché attengono a quegli spazi d’ombra dove la politica, le lobbies, il potere (anche quello dei media) coltivano i loro piccoli o grandi interessi.