Abitare a Milano. Democrazia e governo della città

30 Nov 2011

Il riassunto dell’incontro-seminario tenutosi l’11 novembre nella sala Alessi di Palazzo Marino pensato nell’ambito delle iniziative che l’”Osservatorio Urbanistica e Ambiente” del Circolo di Milano di Libertà e Giustizia va programmando per accompagnare il lavoro della nuova amministrazione

Data la posta in gioco, ovvero la potenziale esemplarità dell’esperienza che si sta avviando, e viste le modalità attivate per la costruzione del consenso, nonché delle promesse coerentemente fatte di coinvolgimento dei cittadini nell’azione amministrativa, l“Osservatorio Urbanistica e Ambiente” del Circolo di Milano di Libertà e Giustizia ha ritenuto di dover mettere al centro dell’attenzione il tema principe del momento politico, non solo milanese: quello del rapporto fra democrazia e governo della città; o, per meglio dire, delle forme di democrazia più appropriate per restituire rappresentatività al governo della cosa pubblica. Mettendo con ciò in discussione non tanto le istituzioni in sé del governo e dunque della politica locale, quanto la vistosa insufficienza delle modalità praticate dell’interazione fra istituzioni e società o, più seccamente, fra governanti e governati.

Modalità inappropriate ormai perché non sembrano sapersi far carico della problematizzazione del rapporto istituzioni-società, vale a dire dell’insofferenza crescente della società, nelle sue plurali e multiformi articolazioni, per un trattamento top-dow di temi e questioni che investono, come minimo la qualità della vita quotidiana dei luoghi, ma che sembrano anche riguardare, come Revelli evidenzia nella sua relazione, un possibile alternativo modello di vita e societario.

In altri termini, bisogni, desideri e interessi di soggetti e attori che, pur diversamente consapevoli e apprezzati, tendono a coltivare una ormai insopprimibile e quasi naturale predisposizione a una presenza attiva e dialogante sulla scena pubblica.

Una presenza ribadirei, attivata proprio da quella dimensione del quotidiano che ha saputo farsi largo coi suoi minuti racconti di vita nei vasti spazi liberati dalla inattendibilità delle grandi narrazioni; che ha saputo altresì, rivendicando l’attenzione delle istituzioni alle specificità dei contesti, acquisire, per la sua capacità di mobilitazione, di organizzazione, di interlocuzione, una valenza politica centrale nello scenario urbano contemporaneo. Scenario connotato dagli inequivocabili segni di una decostruzione della sua condizione di bene pubblico per eccellenza.

Dunque, la vita quotidiana come mezzo di conoscenza dei processi di complessificazione dell’attuale società urbana, quale ingrediente fondamentale per la modellazione di una nuova dimensione sociale e politica; la vita quotidiana in altri termini, quale cardine di un nuovo, praticabile nesso conoscenza-azione.

In tali vesti peraltro, la riflessione sul quotidiano avvicina a quella voce – abitare – che abbiamo assunto come denominatore comune dell’intero ciclo. Abitare come realtà, come configurazione del portato di materiali, segni, forme, immaginari della vita quotidiana; come dimensione dell’addomesticamento del reale, dell’identificazione dell’appartenenza. L’abitare, ancora, come nucleo ispiratore del progetto di possibili nuove forme di vita e di relazione nel contesto cangiante dell’urbanità contemporanea e, specificamente, milanese.

In estrema sintesi, come misura, così pare al curatore di questi incontri ed estensore di queste note, delle possibilità della costruzione di un nuovo”vivere insieme”, inteso come quella coesione sociale che l’insorgere acuto di una nuova questione urbana incrina, mettendo in discussione lavoro, welfare, casa e, più in generale, il faticoso e contraddittorio percorso della democrazia: vale a dire, conquista ed estensione dei diritti di cittadinanza, convivenza su fondamenti di equità. L’abitare suggerirei, come una sorta di metro di orientamento e allo stesso tempo, meta di programmi e azioni di governo.

Se il quadro della condizione contemporanea, appena abbozzato, tiene, allora pare d’obbligo prendersi cura delle sorti incerte della democrazie, cercare di rivitalizzarla riattivando la sua storica funzione e capacità di alimentare, con continuità, processi di democratizzazione. In altri termini riattivare la sua funzione di costruzione e alimentazione della cittadinanza; questa, a sua volta, per la sua intrinseca qualità di garante di sovranità, sostegno naturale della democrazia, forma politica dalla quale, non a caso, i meccanismi sovraordinati della tecnica, della scienza e della finanziarizzazione tendono a prescindere.

Ma allora democrazia, cittadinanza e città devono tornare a integrarsi strettamente secondo una circolarità virtuosa e di contrasto. Virtuosità che impone però di assumere, da un lato la città come possibile luogo di sperimentazione, dall’altro, l’aspirazione di cittadinanza attiva, a Milano emersa con prepotenza, come leva del cambiamento. Che è poi aspirazione a modificare la relazione politica-società, governanti-governati.

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Queste le questioni sollevate dai relatori e sulle quali hanno in particolare insistito Ernesti e Revelli, sottolineando il deficit attuale di rappresentanza della politica, delle sue istituzioni e ovviamente, delle forme della democrazia rappresentativa, per le quali passa, insistentemente, la relazione governanti-governati. Evidenziando, altresì, la necessità di attivare forme nuove di connessione fondate sull’ascolto, il coinvolgimento, in modo continuativo, dei cittadini, su questioni che, sempre più, li interessano direttamente.

E ciò per costruire e sedimentare reciprocità e fiducia, fra istituzioni e società nel suo complesso; affrontando, nel contempo, la delicata questione della responsabilizzazione delle scelte da parte degli attori, istituzionali e non. Attori ormai frequentemente presenti sulla scena urbana; una scena segnata e caratterizzata da schegge sempre più diffuse di conflittualità.

Forse il contesto con cui dovrà misurarsi l’intelligenza della politica dei prossimi anni, inclusa quella del nuovo corso milanese, la cui cultura istituzionale e politica verrà certamente messa alla prova in termini di capacità di apprendimento. Vale la pena di evidenziare, ancora, l’apertura di un orizzonte che valica i confini della società locale fatta dal richiamo di Revelli allo strepitoso successo dei referendum. Una esplicita rottura del senso comune dominante, una svolta antropologica e culturale, fondate sulla rivendicazione del carattere pubblicistico di beni essenziali; ma, soprattutto, sulla non identificazione della sfera pubblica con la sfera della politica e delle sue istituzioni. Un bisogno in definitiva, di riappropriazione da parte dei governati anche contro la volontà dei rappresentanti.

Rispetto ai contenuti delle prime due relazioni, Massimo Bricocoli ha sviluppato un’interessante riflessione a partire da alcuni casi concreti di trasformazioni di parti di città in Italia e in Europa. Da queste esperienze ha sollevato consistenti dubbi sull’adesione incondizionata alle pratiche della democrazia partecipativa e/o deliberativa, evidenziando le delicate questioni delle risorse, dei tempi, e quella cruciale, della distanza che spesso separa politica e burocrazia.

Tema, quella della necessità per il governo della città di una sostanziale solidarietà fra politica e burocrazia, su cui ha utilmente costruito il proprio contributo l’assessore Lucia Castellano; sottolineando con forza l’esigenza di uno sguardo realistico e paziente sulle difficoltà che l’innovazione partecipativa tentata dalla nuova amministrazione incontra.

* L’autore è responsabile del gruppo urbanistica del circolo milanese di LeG e Professore Ordinario di Urbanistica Facoltà di Pianificazione del Territorio, Università IUAV di Venezia

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